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Il mandato sociale e professionale dell’Art.1 degli psicologi italiani, tra Atti e Funzioni, tipiche e riservate

Durante la seduta dell’Ordine Psicologi Lazio di Maggio scorso il Consiglio ha deliberato la mia proposta di avvio di un Expert Meeting  sul “mandato sociale e professionale dell’Art.1 degli psicologi italiani, tra Atti e Funzioni, tipiche e riservate“. Si tratta in pratica, di un percorso partecipato da alcuni dei principali esperti della Psicologia professionale ed accademica italiana, finalizzato a meglio declinare, in modo operativo e facilmente comprensibile e comunicabile, il mandato che l’Art.1 della Lg 56/89 (ovvero dello Stato italiano) riconosce allo psicologo.
Il percorso vedrà anche l’attivazione di tutti i colleghi psicologi interessati a partecipare 😉

Un ‘operazione culturale e scientifica di assoluto valore, dentro e fuori la comunità professionale!

 

Di questa iniziativa ve ne parlerò meglio in un Facebook Live dedicato, che terrò questo Venerdì 23 Giugno, alle 12, sulla mia pagina personale Facebook. Qui di seguito ti riporto un estratto del contenuto di presentazione dell’Expert Meeting votato in Consiglio 🙂

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Gli Ordini, Enti pubblici, vennero istituiti con lo spirito e l’intento di certificare e garantire un livello di qualità attesa della prestazione professionale dei propri appartenenti. Da un’istanza, quindi non meramente a tutela di interessi corporativi, bensì a vantaggio del cittadino, cui debbono essere garantite prestazioni di qualità, erogate da soggetti di cui sia verificata una competenza formativa di base.

Tale istanza era tanto più cogente laddove gli appartenenti ad un Ordine intervenissero in ambiti e con prestazioni inerenti la Salute del cittadino, in sintonia con lo spirito dell’Art.32 della Costituzione Italiana che così recita: “La Repubblica tutela la Salute come fondamentale Diritto dell’Individuo e interesse della Collettività…“.

In altre parole, i Padri fondatori valutavano che una prestazione improvvisata, erogata da soggetti senza adeguata preparazione, senza responsabilità in ambito civile e penale, né deontologico, espone il cittadino a prestazioni non soltanto dagli esiti incerti, ma sovente anche dannose per la salute e gli interessi dello stesso e, di conseguenza, della collettività.

L’Art.1 della Legge 56 del 18 Febbraio 1989, istituente la professione di Psicologo in Italia, recita: “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità

Il Legislatore ha inteso, con questo articolo, da un lato accomunare gli psicologi a medici e odontoiatri come uniche figure professionali con facoltà di diagnosi e dall’altro limitare ai soli psicologi la possibilità di formulare la diagnosi psicologica. Allo stesso tempo ha previsto una serie di ulteriori ambiti e contenuti di “ambito psicologico” appartenenti in via esclusiva, all’interno del quadro professionale, culturale, sociale e normativo italiano, alla professione di Psicologo. E ciò, nell’ottica di tutelare al meglio la Salute ed il Benessere psicologico di “persone, gruppi, organismi sociali e comunità“.

A fronte di tale riconoscimento e mandato sociale ed istituzionale, si è da sempre rilevata l’esigenza di dare corpo a quanto stabilito dall’Art.1 della Legge 56/89, di definire in modo concreto e comunicabile gli atti e le funzioni, tipiche e/o esclusive, della professione di psicologo. D’altro canto, sa da una parte il Legislatore provvede a definire gli ambiti formali di fondazione di una professione, dall’altra la comunità dei professionisti è poi chiamata a definire in modo ottimale i contenuti pertinenti.

Quest’ultima responsabilità si è dovuta confrontare con una serie di contenitori semantici quali “prevenire“, “curare“, “salute“, “benessere“, “abilitazione“, “sostegno“, “promozione“, “colloquio“, “valutazione“, “osservazione“, “ascolto“, “relazione“, “domanda“, ecc… che non sono di appannaggio assoluto della Psicologia. Alla intrinseca complessità semantica si è aggiunto, negli anni, un profondo e continuo cambiamento nel tessuto economico, politico, sociale e culturale italiano.

In tal senso, affrontare, oggi, la concreta definizione di atti e funzioni, tipiche e/o esclusive, dello psicologo significa anche ri-attualizzare il mandato sociale ed istituzionale della Legge 56/89, situando tale riflessione all’interno delle trasformazioni scientifiche e culturali che in questi quasi 30 anni hanno e stanno attraversando la società italiana.

Il passaggio baumaniano dalla società solida alla società liquida, diviene passaggio da una “cultura focalizzata sulla eliminazione della malattia” ad una “cultura focalizzata sulla promozione della salute e del benessere“. Nella ricerca “Libro bianco sulle professioni psicologiche” effettuata dal Consiglio Nazionale Ordine Psicologi nel 2012, risulta che il contenitore semantico “Salute” passa da una rappresentazione sociale nel 2000 legata principalmente al “…non aver dolori, disturbi o malattie” a quella del 2011 legata principalmente a Salute come “…essere in armonia, equilibrio con se stessi, col proprio corpo e la propria mente“. Se prima l’opposto di “Salute” era “Malattia”, adesso è “Malessere”, “Squilibrio”, “Negativa qualità di vita”, in tutte le dimensioni fisiche, psicologiche e/o sociali.

Il mandato sociale dell’Art.1 della Legge 56/89 di intervenire “per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità ” deve quindi essere – oggi – ri-letto, ri-situato, ri-declinato all’interno degli odierni contenitori semantici su cui ciascun “ambito formale” insiste.

Così come deve essere ri-articolato a fronte della successiva Legge 170 dell’11 Luglio 2003, inerente “materia di abilitazione all’esercizio di attività professionali“, che in via indelebile riconosce e posiziona la Psicologia come “Scienza della Relazione”, tra individui, gruppi, contesti, comunità, con mandato di favorire benessere individuale, familiare e sociale.

Ebbene, all’interno di tale scenario ed a fronte di tali considerazioni, possiamo attivare un percorso di confronto e consenso teso a declarare e dettagliare concretamente Atti e Funzioni Professionali, tipiche e riservate, dello Psicologo in Italia?

E’ sostenibile che a quasi 30 anni dalla Legge istitutiva si faccia ancora confusione tra gli Atti e le Funzioni dello Psicologo, quelle di uno Psicoterapeuta, di uno Psichiatra o – ancora peggio – si trovino liquefatte competenze, tecniche e metodologie di intervento tipicamente psicologiche all’interno di pseudo-psico-professioni non meglio regolamentate?

E’ possibile migliorare l’allineamento tra i percorsi formativi professionalizzanti universitari di Psicologia, quelli formativi post-universitari (e non solo di Psicoterapia) e le reali domande di Salute e Benessere che arrivano da individui, gruppi, organizzazioni e comunità sociali? Ovvero permettere di ri-definire l’incontro tra domande e offerte all’interno di attuali contenitori semantici propri dell’Art.1?

E’ auspicabile che la comunità professionale degli psicologi italiani riesca a definire e comunicare efficacemente Atti e Funzioni, tipiche ed esclusive, senza delegare ciò a Giudici, Sentenze e Tribunali?

E’ realistico poter avviare un processo culturale e di riconoscimento identitario della professione di psicologo in Italia, prima di tutto interno alla comunità degli oltre 100.000 iscritti, e contestualmente partecipato dalle varie committenze civili, professionali e istituzionali di riferimento? Un processo che permetta di riconoscerci ed assieme di costruire committenza maggiormente consapevole?