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Testimonianza di una “counselor in formazione”

L’articolo “Counseling, in relazione d’aiuto è psicologico” ha suscitato un gran dibattito. In 3 giorni e poco più, è stato letto circa 4000 volte, ha avuto una importante diffusione social e ricevuto un numero importante di commenti. Tra tutti i feedback ricevuti ne riporto – integralmente – uno in particolare 😉

Me lo ha inviato una persona che sta seguendo un corso di formazione per counselor. In maniera molto lucida ed onesta ha di fatto rappresentato una dinamica comune a molte persone che scelgono formazione per counselor. Ecco il messaggio (i grassetti sono miei):

Buongiorno, Sono Silvia e sto frequentando il corso di formazione per counselor. In tutta onestà mi rendo perfettamente conto che l’approccio con la persona e quindi anche i relativi incontri che ne seguono debbano essere fatti da soggetti altamente preparati, per un semplicissimo motivo: come posso individuare se il cliente abbia bisogno di un aiuto differente, se le mie competenze non vanno oltre un certo limite?

Questo è il cruccio che più mi assilla. Sto tentando di risolvere la questione in maniera piuttosto razionale, ossia iniziando a seguire dei MOOC per il momento, poi, a tempo debito, con l’iscrizione alla facoltà di psicologia.

Cmq si, da studente in corso, devo ammettere che forse, i campi si potrebbero sovrapporre, inutile nascondersi dietro al fatto che il counselor tratti con persone sane, quando in realtà dal canto mio non posso dire con esattezza se colui che ho difronte lo sia. Il mio percorso di psicoterapia, mi ha portata a questa conclusione, se qualcuno chiedesse a me, ora: Silvia, tu credi io sia malato o semplicemente sto accusando il colpo di una serie di eventi? io con tutta l’onestà del mondo avrei difficoltà a poter rispondere esattamente, perché mi mancano le fondamenta. Quando il mio “dottorino”, disse a me, tesoro, ti certifico, non sei malata, non lo sei mai stata, hai solo bisogno di ritrovare te stessa e fare qualcosa per te, e lo fece guardandomi dritto negli occhi, capii che la strada per il cambiamento era dentro me, da lì decisi di iscrivermi al corso di formazione in conselor, da lì compresi molte cose, da li mi accorsi di quanto potesse essere bello poter aiutare chi è in difficoltà. Lavorando a tempo pieno, con un bambino piccolo, studiando nei tempi morti, non so come e se potrò raggiungere l’obiettivo prefissato, ma non mi sono data una scadenza, ho semplicemente voluto farmi questo meraviglioso regalo, togliermi il velo, comprendere tanti perché in maniera profonda, poi se questo porterà i suoi frutti, sarò ben lieta di accoglierli. Buona giornata a tutti e grazie per la riflessione.

Ebbene, Silvia, grazie a te per la testimonianza!

Questa storia, così limpida e diretta, risuona a diverse altre testimonianze – magari più labili – sentite da persone che hanno seguito corsi di formazione per counselor. Di fatto rappresenta lo stato dell’arte…

Voi che ne pensate? Vi va di continuare il dibattito lasciando un vs commento?

12 risposte su “Testimonianza di una “counselor in formazione””

Bravo Nicola. Mi piace questo discretamente nuovo punto di vista sulla questione counseling. Personalmente -al di là della battaglia che bisogna portare avanti ai livelli istituzionali (CNOP, Scuole di Psicoterapia e di Counseling, Campagne di promozione e sensibilizzazione)- il mio pensiero va sempre al popolo degli allievi dei corsi di counseling. Forse perchè ho fatto parte anch'io di quella schiera prima di maturare -come Sara- il bisogno e la coscienza di una formazione professionale degna di questo nome! E' un popolo anonimo, non sappiamo niente di loro…. quanti sono, quanti abbandonano, quanti restano inattivi, quanti di loro nascondono una domanda d'aiuto dietro la loro domanda formativa e quanto quei percorsi -molto esperienziali, suggestivi di elaborazioni individuali- sono idonei a rispondere a queste domande? C'è molto di più dietro la questione counseling, non c'è solo l'abusivismo, c'è anche la mercificazione e la manipolazione di bisogni che andrebbero diversamente presi in carico.

Sono un'educatrice che ha seguito una scuola triennale di counseling sistemico-relazionale. E' stato un percorso molto istruttivo che mi ha aperto nuovi punti di vista sulla relazione d'aiuto, intesa questa come scambio fra esseri umani in cui ognuno mette in gioco sé stesso e le sue competenze.
Fra parentesi, anche nel mio lavoro si parla di relazione d'aiuto e mi viene da chiedere: quanti tipi di relazione d'aiuto ci sono? Certamente più di una!
Ricordo che un'intera sessione del corso è stata spesa per illustrare le differenze di ruoli e competenze fra counselor e psicologo, anche perché tutor e insegnanti del corso erano fra gli altri uno psichiatra e una psicoterapeuta, la quale ci raccontava di come lei stessa attingesse a uno o all'altro dei due ruoli a seconda del bisogno.
Quando ero giovane ho fatto diversi anni di analisi con una brava psicoterapeuta, evidentemente oggi le cose sono cambiate, ma io ricordo che la relazione che avevo allora con lei era molto rigida e che quando intraprendevi un percorso di quel tipo dovevi mettere in conto di investire degli anni.
Il counseling invece offre un approccio molto diverso, che certamente può in certi casi rischiare una sovrapposizione, ma mi sembra che gli strumenti per ovviare a questi inconvenienti ci siano.
Per esempio, mi è stato insegnato che non è mio compito occuparmi degli aspetti intrapsichici, e soprattutto che come counselor non devo chiedermi o chiedere "perché" ma "come", poiché posso lavorare solo su aspetti pragmatici e su una lettura della realtà che non per forza deve essere quella vera (chi può dire qual'è quella vera?) ma che deve avere un significato per la persona.
Questi sono solo due esempi, un po' semplificati, di un percorso che secondo me può benissimo coesistere con quello psicoterapeutico, al di là delle questioni di legge sulle quali non entro.
Per quanto riguarda perché uno sceglie di fare conuseling, mi sembra che non sia argomento di discussione, altrimenti potremmo chiederci perché uno fa lo psicologo o il medico o l'attore e dietro a ogni scelta troveremmo questioni intrapsichiche che ognuno dovrebbe farsi analizzare… da uno psicologo, naturalmente!

Pur non essendo giovincella, dopo aver frequentato una scuola di counseling e avervi collaborato per anni, ho deciso di prendere la laurea in psicologia. Con grande fatica (giacché lavoro a tempo pieno e ho famiglia) ho preso a triennale e poi la magistrale, frequentando per un anno il tirocinio per l'EDS. Sono contenta di averlo fatto, nonostante mi sia costato tempo e fatica e soprattutto, nonostante chi gestisce la scuola di counseling (ancora viva e vegeta), mi abbia denigrata e abbia tentato di scoraggiare il mio volermi laureare (anche di fronte ai corsisti). Me ne sono andata sbattendo la porta, ma ho ancora tanta rabbia dentro per le "schifezze" che ho visto fare e dire lì dentro.
Ho posto la domanda più volte, ma nessuno dell'Ordine mi ha mai risposto: quando l'Ordine entrerà in queste scuole a verificare di persona cosa succede? A parole le condanniamo, ma nella pratica restano aperte e gli psicologi che le dirigono ci ridono in faccia e continuano la loro strada.

PS: ultimamente sono stata anche ampiamente "sbeffeggiata" da AssoCounseling per aver commentato sulla loro pagina, riguardo il ricorso al TAR verso le scuole di counseling. Avanti così…e la rabbia cresce!

La cosidetta 'diagnosi differenziale', che poi non sarebbe altro che quel problema che si pone la futura counselor, non è per nulla banale. Anche se ci piacerebbe molto avere clienti che cercano consigli e benessere, è molto facile che invece ci arrivino persone che stanno male e rischiano di stare peggio, e non è facile nemmeno per uno psicologo o un medico specialista cogliere il grado di gravità: non per niente esiste un fiorire di letteratura specifica sulla domanda: 'come faccio a distinguere QUANTO sta bene/male uno'? quanto è a rischio di peggioramento, di vita, di comportamenti dannosi? L'argomento per cui il counseling si occuperebbe solo di situazioni 'light' crolla sotto il peso della realtà: chi ha situazioni 'light' di solito non spende soldi per farsi aiutare, e chi ha situazioni 'strong' di solito non va in giro con un cartello che specifica il grado di gravità a beneficio del primo counselor che deve decidere cosa fare.

Gentile Susanna, in chiusura ricadi in una confusione tipica del "formato counselor": contrapporlo allo psicoterapeuta ed alla psicoterapia. Ebbene, non è lì il problema, bensì con lo psicologo e la psicologia! E' l'intervento psicologico, a differenza di quello psicoterapeutico, che tendenzialmente (ma non è una regola) non ragiona in termini di "perché, ma di "come"… I counselor hanno molta difficoltà – evitano – di contrapporti a psicologo e psicologia perché di fatto non saprebbero che termini ed argomentazioni usare, visto come il counseling genericamente inteso – qui in italia – si accavalla al COUNSELING PSICOLOGICO, atto esclusivo dello psicologo. Con buona pace di chi fa business nella formazione di counselor… grazie comunque del contributo! Non la vivo come una battaglia personale, però spero si possa comprendere lo stato d'animo degli psicologi… d'altro canto parlate molto di EMPATIA quindi ci conto 😛
Buona vita, Nicola

Servirebbero più corsi di counseling esclusivi per psicologi, in modo da avere tanti psicologi "esperti" in counseling. Perché, dopo il titolo, servono le competenze. Purtroppo ad oggi le scuole che offrono questa formazione per psicologi non sono molte, esistono prevalentemente nelle grandi città (Milano, Roma) e per chi non abita lì vicino è difficile intraprendere questi corsi. Ci sono molti counselor perché ci sono moltissime scuole di counseling aperte a tutti…sarebbe bello se ne esistessero altrettante solo per psicologi.

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