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Psicologi & Professione

Interrogazione parlamentare su presunto abuso di professione del counselor

Il 3 Maggio 2012 il Deputato On. Binetti Paola ha presentato alla Camera un’interrogazione parlamentare sulla figura del counselor, chiedendo di appurare se, ed in che misura, la pratica professionale del counselor si accavallerebbe a quella tipica dello psicologo, entrando quindi in una dimensione di abuso di professione.

Già nel Giugno 2010, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Laura Ravetto, si disse preoccupata riguardo il rischio che la figura del counselor possa illecitamente esercitare attività di esclusiva competenza dello psicologo.
Ad inizio primavera 2011 fu invece l’Antitrust – chiamato in causa da una denuncia dell’associazione Assocounseling – ad accogliere la legittimità dell’Ordine Psicologi Piemonte nell’affermare che “gran parte delle attività svolte (e degli strumenti utilizzati) dai counsellors rientrano nell’area del “sostegno psicologico”Per tutte le ragioni sin quilustrate, quindi, l’Ordine scrivente invita gli Enti/Aziende adastenersi dall’affidare a figure professionali diverse dallo psicologo lo svolgimento di incarichi che siano riconducibili nell’ambito delle competenze riservate dalla L. 56/1989 agli psicologi”.
Fino ad arrivare alla famosa Sentenza Zerbetto che stabilisce che gli psicologi non potranno più formare all’uso di strumenti psicologici dei non-psicologi in quanto “l’insegnamento dell’uso degli strumenti a persone estranee equivale in tutto e per tutto a facilitare l’esercizio abusivo della professione“. Sentenza ricorsa da alcuni soggetti e di cui conto di scrivervi a breve termine.

Insomma, un percorso di riconoscimento e tutela che sta continuando e che presto fornirà ulteriori sviluppi. Ebbene l’On Binetti Paola – Medico e Neuropsichiatra Infantile – ha presentato un’interrogazione parlamentare molto chiara e circoscritta. Vi riporto il testo:

 

BINETTI.

Al Ministro della salute, al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

– Per sapere – premesso che:

la crescita del disagio esistenziale, soprattutto nell’età evolutiva, rende imprescindibile disporre di strumenti sempre più flessibili e articolati per contenerlo, ma proprio l’estensione del disagio richiede forme di intervento sempre più mirate ed efficaci che non comportino un costo eccessivo in termini di tempo, di denaro, di energia; per questo negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare di differenti professioni, che hanno prodotto una molteplicità di interventi di aiuto, come risposta ai bisogni del nostro tempo;

tra le nuove professioni sta emergendo quella del counsellor, impegnato in una relazione di aiuto che assume caratteristiche diverse a seconda dei problemi da affrontare e dei contesti in cui questi problemi si sviluppano. Il counseling è definito come un insieme di tecniche, abilità e atteggiamenti mirati ad aiutare le persone a gestire i loro problemi utilizzando le loro risorse personali; con il counseling si vuole implementare i livelli di sicurezza e di autostima del soggetto per renderlo più capace di prendere le decisioni necessarie;

il metodo del counseling è stato inserito in molte professioni in campo pedagogico, didattico, comunicativo, economico, aziendale, medico, spirituale, psicologico, psicoterapeutico, religioso, per facilitare il necessario processo di empowerment che rende la persona capace di gestire le proprie emozioni, di differire la soddisfazione di un bisogno, di tollerare le proprie frustrazioni e di agire con autonoma, e altro;

la legge n. 56 del 1989 definisce la professione di psicologo stabilendo che essa «comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende, altresì, le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito» (articolo 1);

si tratta di un ambito molto ampio, che abilita lo «psicologo» ad operare efficacemente in moltissimi settori: clinico, sociale, psicologia del lavoro, benessere psico-fisico e crescita personale (crescita emotiva, cognitiva, relazionale, eccetera). Ciò vale, appunto, per lo «psicologo»: cioè per il soggetto che mostri di aver acquisito la necessaria competenza, conseguendo l’abilitazione a svolgere la propria attività in ambito psicologico mediante l’esame di Stato e l’iscrizione all’apposito Albo professionale;

il diffondersi del disagio psicologico, non come segno di una patologia di tipo psichiatrico, ma come manifestazione di una difficoltà adattativa all’ambiente, ha fatto emergere dei «consulente di psicologia», o «counsellor», con competenze diverse, a seconda del lavoro svolto; non stupisce quindi che negli ultimi tempi si sia andata moltiplicando l’offerta di prestazioni da parte di counsellor che hanno tutte le competenze necessarie;

sulla base delle segnalazioni pervenute (principalmente afferenti l’impiego di tale figura professionale in ospedali, scuole, aziende sanitarie, consultori, eccetera), l’Ordine degli psicologi ha potuto riscontrare che gran parte delle attività svolte (e degli strumenti utilizzati) dai counsellor rientrano nell’area del «sostegno psicologico», riconducibile all’ambito delle competenze riservate agli psicologi ex articolo 1 legge n. 56 del 1989;

tuttavia proprio la varietà dei campi di impegno e la successiva specializzazione delle competenze richieste, rende necessario, di volta in volta verificare se lo specifico servizio che si intende affidare al counsellor rientri o meno nell’ambito delle loro competenze, se sia «regolamentato» – «riservato» – a psicologi, tenendo conto sia del tipo di incarico che si intende affidare, sia degli strumenti di indagine e delle tecniche di intervento che si renderanno necessari ai fini dell’espletamento del medesimo;

altrimenti il danno che potrebbe derivare al destinatario di prestazioni psicologiche eseguite da soggetti non autorizzati potrebbe essere particolarmente grave e pervasivo, in considerazione della domanda rivolta al professionista e della situazione personale dell’utente; il moltiplicarsi di figure di counsellor ha un notevole rischio di generare confusione: il cittadino rischia di rivolgersi a soggetti non solo scarsamente qualificati rispetto allo psicologo, ma anche esenti dagli obblighi che questi è tenuto a rispettare al fine di tutelare l’utenza -:

quali urgenti iniziative anche di carattere normativo, intendano attuare al fine di garantire il raggiungimento dei necessari obiettivi professionalizzanti (conoscenze, abilità, capacità, competenze) nel contesto di professioni d’aiuto, quali quella del counseling, così delicato e denso di responsabilità, sotto il profilo scientifico e soprattutto sotto quello etico;

se non ritengano necessario tutelare con ogni mezzo i destinatari di attività psicologiche non sanitarie – come quelle svolte in ambito aziendale, scolastico, sportivo e di altro tipo – riservandole in via esclusiva allo psicologo in possesso di una adeguata certificazione delle competenze acquisite e quindi regolarmente abilitato dallo Stato. (3-02234)

 

Ebbene, l’interrogazione – come dicevo – appare ben costruita e molto circoscritta. In alcuni passaggi richiama anche alcune delle sentenze che vi ho linkato ad inizio articolo… a testimonianza dell’urgenza ed importanza di costruire uno storico giuridico in materia.

Monitoreremo lo sviluppo di questa interrogazione, spero di aggiornarvi quanto prima.

Voi che ne pensate?

Buona giornata
Nicola Piccinini

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sono molto daccordo, pur nel rispetto di alcuni professionisti counsellor che sono preparati e lavorano bene,
purtroppo molti sono poco preparati, e di questo olta responsabilità hanno le scuole di formazione che
su questa ambiguità normativa hanno fattto sicuramente dei guadagni poco deontologici!
L’idea per cui se uno è bravo ha pazienti altrimenti no mi sembra un pò riduttiva, questa autoselezione non funziona
anche nel caso degli psicoterapeuti, e le segnalazioni di pessimi trattamenti agli ordini ne è la testimonianza

Già finalmente, che ognuno stia al suo posto e faccia il lavoro che gli compete, non ho mai sopportato le prevaricazioni tra i diversi ruoli professionali. Speriamo bene perchè purtroppo i conunselor sono bravi a spacciarsi per esperti e fautori del benessere, coloro che hanno la soluzione a portata di mano! mentre noi psicologi siamo presi per quelli che curano i matti….e tutti ovviamente scappano perchè ovviamente non si ritengono tali…

Sono totalmente d’accordo! Mi é capitato più volte di vedere operare, soprattutto nelle scuole, persone non competenti e non provviste della formazione necessaria agli interventi sui minori(sportelli di ascolto; interventi nelle classi,addirittura valutazioni! ecc…)
Credo che la professione di psicologo non sia sufficientemente tutelata e che non ci sia nella popolazione una adeguata conoscenza delle competenze dei diversi professionisti.
Sarebbe meglio fare chiarezza!

Va benissimo tale interrogazione.
Sarebbe da approfondire anche il tema delle scuole di specializzazione per infermieri dove , come a roma, vengono effettuate lezioni sull’utilizzo di strumenti per psicologi ( da quanto a me riferito )ed inoltre sapere perchè la selezione del personale non viene mai considerata un abuso della professione quando viene praticata da laureati in econonomia, ingegneri, lettere ecc . Per la figura del counsellor mi arrabbio con chi ha creato queste mezze figure tecniche tanto per speculare sulle cattedre senza rispetto alcuno per il nostro albo professionale.

Penso che la figura del counselor é conosciuta fin dall’inizio del secolo scorso negli Stati Uniti e dagli anni quaranta circa nel resto d’Europa e non mi sembra che abbia in tali contesti creato problemi, anzi… Ha creato un cambiamento sociale profondo, ha educato la società. Poi, se l’educazione (il couns. è una professione principalmente pedagogica e non medica) porta anche cambiamento e benessere qualcuno può dire che è terapeutica ma si tratta solo di intendersi sulle parole e le parole sono di tutti, non appartengono alle lobbies. Penso che dovremmo iniziare a diventare un po’ più europei che abbiamo intrapreso la strada giusta e che va percorsa fino in fondo. La professione del counselor è in realtà molto diversa da quella dello psicologo che, per quanto ne so’, senza un’adeguata formazione post laurea non potrebbe fare colloqui di counseling e se fa addirittura colloqui clinici, lo fa senza verne le competenze, soprattutto pratiche. Raramente a psicologia si fanno simulazioni in aula, colloqui reali tra studenti. Sarebbe opportuno che gli psicologi impostassero la loro “guerra santa” anziché contro i counselor, per migliorare l’offerta formativa all’interno degli atenei pretendendo di uscire con abilità operative chiare (su questo punto….ho visto cose…) Io ragiono in termini molto pratici. Se il counselor è un pessimo counselor non avrà clienti, se ne ha significa che stà fornendo un servizio di qualità. Lo stesso vale per ogni altra professione. Non esiste pezzo di carta (e lo dico pur essendo dottoressa di ricerca) che garantisca una competenza completa comprensiva di sapere, saper fare e saper essere. Il resto sono interessi di casta, discorsi attempati e poco europei. PS: Come mai, chiederei alla Binetti tra i migliori psicoterapeuti nel nostro Paese, regolarmente iscritti all’Albo, molti sono laureati in filosofia? Che la psicologia e la medicina centrino poco con la psicoterapia? E perchè un counselor laureato non può accedere ad una scuola di psicoterapia come avviene negli Stati Uniti, seguendo criteri di crediti e debiti formativi? Inoltre ogni counselor, per mantenere il titolo deve formarsi in modo permanente secondo il modello europeo degli ECP… a loro discrezione, senza obblicghi di sorta,ci sono psicologi bravi che si aggiornano ed altri che una volta laureati e assunti p.e.nel pubblico possono tranquillamente smettere di aprire i libri o formarsi. Per questo il semplice titolo di laurea non garantisce un bel nulla senza un obbligo di formaz. permanente.
Buona vita e splendida giornata.

Il problema sta sì nella parziale sovrapposizione delle due figure, ma soprattutto nell’utilizzo rivolto concretamente alla psicoterapia che parecchi counselor fanno del loro titolo professionale.
Ritengo sia accaduto a tutti gli psicoterapeuti, come a me, di dover “mettere le mani” in disastri di tale causa, originati non so se dalla bravura o meno del singolo counselor, ma in ogni caso dal travalicamento dei limiti della preparazione specifica.

Comprendo, anche a me è successo di mettere mano in alcuni disastri cousati da professionisti con tutti i crismi che evidentemente avevano poco lavorato su di sè e poco compreso le loro stesse tecniche. C’è stato per esempio ilcaso di uno psicoter. che ha utilizzato la tecnica della sedia vuota con però la persona presente invitando l’altro ad urlargli tutta la rabbia senza freno alcuno e senza che possa rispondere. Una sorta di toruta….Credo e ripeto che il titolo purtroppo, di fatto, non garantisca la qualità nè per i counselor nè per gli psicologi e nenache per gli psicoterapeuti. Credo che la qualità sia legata sì al livello della formazione ma soprattutto al lavoro personale ed alla consapevolezza individuale

Gentile Elisabetta, trattare anche solo succintamente le diverse implicazioni giuridiche, storico-politiche o metodologiche contenute nel suo intervento, richiederebbe un intero convegno suddiviso in sezioni. Pertanto la lascerò tranquilla a godersi, compiaciuta, il suo sincretismo apparentemente bonario. Almeno su un punto, però, vorrei provare a replicare, dandole perfino ragione: è vero, non è detto che un counselor non possa essere più bravo di uno psicologo e che, correlativamente, uno psicologo non possa essere più somaro di un counselor (vorrà pur riconoscere che tale paragone non sarebbe nemmeno istituibile se, come in altra parte e contraddittoriamente lei sostiene, le due professioni fossero culturalmente del tutto indipendenti e diversificate, ma lasciamo correre anche questa aporia, per il gusto di provare a ragionare). Ed ancora ha ragione quando scrive che tra riconoscimento legale e competenza concreta il rapporto è meno diretto e consequenziale di quanto apparirebbe utile (cosa che vale per ogni professione). La domanda che vorrei suggerirle di prendere in considerazione ha natura più generale: viviamo in una civiltà giuridica, fondata sul diritto razionale, e ne sosteniamo il valore e la irrinunciabilità, pur consapevoli delle ombre e delle contraddizioni di essa? Ovvero, viviamo in una giungla in cui ciascuna delle fiere che la popolano balza sul suo vicino senz’altra ratio che la sua pulsione sopravvivenziale?
Perchè credo che, se scegliamo la prima opzione, come orientativamente farei io, ha certamente ragione la Binetti. Se, al contrario, optiamo per la seconda scelta, indubbiamente avrebbe ragione lei.
Non so, se sono riuscito a spiegarmi. Buona vita anche a lei … In una civiltà illuminata da un diritto giusto, più che non in una caotica giungla che lei chiamerebbe, forse, Europa.

Io semplicemente non ho problemi legati al controllo e credo che maggiore è la consapevolezza e dunque l’educazione dell’indivviduo e dunque della società d’appartenenza minore è il bisogno di normare. Siamo il Paese con più norme e meno giustizia ci siamo mai chiesti il perché?

Forse la non approfondita conoascenza delle professioni d’aiuto fa ritenere il counselling come “una professione”. In realtà questa attività è costituita da un insieme di tecniche e strategie relazionali, ed essa stessa è dunque una tecnica. Poi per motivi commerciali, complice la non grande conoscenza dell’Inglese, in Italia il counselling, come anche il coaching, sono stati contrabbandati come professioni dal nome magico.
Se da un lato le tecniche sottostanti al counseling sono alla portata di tutti, è la strategia relazionale che fa la vera differenza. Mentre lo psicologo si prepara e approfondisce le possibili relazioni con il cliente/utente e le probabili conseguenze, non troviamo la stessa preparazione nei counsellor “certificati” dopo poche decine di ore di sedicenti master. Sia per origine sia per risultato didattico non sono equiparabili allo psicologo, salvo rare e benvenute eccezioni.
Sugli effetti benefici del counselling negli Stati Uniti e in Europa, si tratta di affermazioni senza base:su quali fatti si appoggiano?
Se vogliamo davvero avanzare nel campo scientifico occorre smettere di esprimersi in modo fideistico e ideologico. Cordialmente,
AC

Se permetti il master in counseling è di 1500 ore di cui 900 ore d’ula e le restanti suddivise tra lavoro sul campo e supervisione individuale o di gruppo. Non mi pare che sia poco. Parlo di master di qualifica diversi sono i corsetti, e là ti dò ragione, ma sono corsi non certificati da associazioni serie di categoria in cui si vuole vendere una specie di “ounselor in ventiquattrore” tipo i vecchi corsi per chitarra che ovviamente non hanno mai insegnato nessuno a suonare.

D’accordo su tutta la linea. Mi riferisco ai corsi privati che sono spuntati, qui a Milano, come i funghi. E’ puro business, ma danno l’illusione a persone in cerca di occupazione di poter esercitare facilmente. Così aumenta il numero di questi soggetti approssimativi che lavorano nelle aziende e in altre organizzazioni togliendo delle opportunità soprattutto ai nostri colleghi giovani, più preparati e formati per una relazione di aiuto professionale.

Concordo pienamente con Elisabetta. Hai centrato due punti fondamentali: la laurea non significa nulla o quasi, in questa nostra difficile professione.
Chi è bravo lavora, sia counselor o psicologo, e i danni li fanno tutti. Per fortuna i clienti sanno ben autoregolarsi nella maggior parte dei casi. Ho sentito più spesso parlare ( e vissuto sulla mia pelle ) di danni provocati da psicoterapeuti che non da counselor.
Farsi tutelare poi da simili personaggi la dice lunga: cito da Wikipedia

In occasione della sua partecipazione alla trasmissione Tetris di LA7, si è attirata molte critiche affermando che l’omosessualità è «una devianza della personalità»[8] e che essere gay è un comportamento «molto diverso dalla norma iscritta in un codice genetico, morfologico, endocrinologico e caratteriologico»[9], affermazioni in contrasto con l’interpretazione dell’omosessualità come «variante naturale del comportamento umano» fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità[10][11][12]. Il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli ha sporto denuncia contro la Senatrice per tali dichiarazioni[13].

Della serie chi è che fa danni?

Caro collega, io apprezzo molto il tuo sito e in generale il tuo impegno per la nostra professione.
Per quanto riguarda i counselor sono invece d’accordo con Elisabetta che commenta qui sopra.
Io ho amici in Gran Bretagna che svolgono la professione di counselor dopo un corso triennale (come in Italia) partendo da un diploma tecnico o in arte.
La loro figura non è assolutamente confusa o in competizione con psicologi/psicoterapeuti e ti posso assicurare che fanno dei tirocini professionalizzanti che noi alla facoltà di psicologia o nell’anno post laurea in preparazione all’esame di stato ce li sogniamo.

Prendi poi tutte le scuole di counseling sul territorio nazionale, pensa che ciascuna diploma massimo 20 counselor all’anno, considera che di questi a spanna solo un 30% a farla grande del diploma ne fa qualcosa e hai la dimensione della reale “fetta di mercato” che i counselor ci ruberebbero.

La questione counselor che attualmente sta catalizzando l’animosità di molti personalmente la considero un capro espiatorio, un parafulmine per la (giusta) incazzatura degli psicologi italiani, per problemi che con i counselor non c’entrano davvero nulla.
Il problema è che siamo una professione in Italia poco valorizzata tanto che anche la comparsa dei counselor costituisce per noi uno spauracchio.
Il problema è che in Italia gli aspiranti psicologi, dopo aver studiato e pagato tasse per 5 anni almeno e tre tirocini non pagati, se all’esame di stato sfugge che hanno svolto personalmente colloqui sono bocciati e riamndati alla sessione successiva. Cioè: è strutturale non avere una preparazione pratica dopo sei anni di studi e tirocinio, e se ce l’hai la devi nascondere se vuoi passare l’esame.
Il problema è che dobbiamo dare i nostri soldi ad una cassa che … ci darà quale pensione? Devo continuare?
In buona sintesi, il problema è che noi psicologi siamo (in buona compagnia con altre categorie sociali, tra cui i counselor) come i topi di Laborit nella gabbia elettrificata: aggredire il compagno di cella ci scarica lo stress e ci mantiene sani; ma non risolve il problema: la scossa arriva comunque.

Nicola, spero che il mio commento non ti urti, perché vedo che la questione counselor ti prende molto, ma mi domando: se per una bizzarria a cui ormai in Italia siamo abituati il parlamento stabilisse (in controtendenza rispetto all’Europa. Sì,lo so: la sto semplificando) che il counseling è solo per gli psicologi quanto i nostri veri problemi sarebbero toccati?
A me piace pensare che noi psicologi siamo persone che sanno trovare soluzioni non accessibili ai topi di Laborit.
A me piace pensare che questo paese possa tirarsi su da terra anche con l’aiuto di psicologi e (perché no?) di counselor.

Mi è uscita una pappardella con slancio lirico finale.
Evidentemente in questi giorni sono particolarmente teso.
Nulla di personale.
Ferruccio

Pienamente d’accordo con Ferruccio, inoltre aggiungo che oggi abbiamo i pedagogisti, gli educatori e tutti gli insegnanti che sembrano assumere la posizione di “tuttologi” e che somministrano test di vario genere e metodi riabilitativi.Inoltre e succede solo in ITALIA, per esempio, il dottore in tecniche psicologiche, è relegato a funzioni ridicole, mentre in Francia ha la possibilità di specializzarsi in tantissime aree diverse e trova lavoro immediatamente non parliamo poi degli psicologi. I vari ordini dovrebbero preoccuparsi di evolvere l’area della psicologia in Italia invece che inveire semplicemente contro le scuole di counseling che di fatto oggi potevano costituire una fonte di reddito aggiuntivo se non esclusivo per molti psicologi italiani “alla fame” per stupidità e cecità legislativa. Basterebbe …”copiare”

Bene così…ma io fare anche un’interrogazione parlamentare sui “mental trainer” e sulla PNL in generale. Persone che per lo più non sono psicologi ma che utilizzano la psicologia come strumento per ottenere più spazio in ambito lavorativo.Vedasi l’utilizzo della figura dello psicologo dello sport che viene confusa con il mental trainer…Sia il counselor che il mental trainer hanno capito che le persone hanno paura della parola “psicologo” e utilizzano questa nuova terminologia per portare più acqua possibile al loro mulino.Io mi sto seriamente stufando di queste persone e credo fermamente che ci voglia una presa di posizione netta e decisa oltre che dall’ordine anche da altri organismi competenti. Saluti…Fabio (Psicologo e Psicologo dello sport)

completamente d’accordo, fabio. Aggiungerei “mediatori familiari”..”psico-pedagogisti”..”pedagogisti clinici”(??)..”coaching” di ogni varia natura..per non parlare dei danni in corso di svolgimento da anni ( e relative denunce dela varie teatro-terapie e arte-terapie …e gli stessi medici che di esame, all’università, di Psicologia non ne hanno nenanche uno ..in corso di tirocinio nonfanno nenanche un’ra o 1q0 minuti di comnicazione -relazione con pazienti e famiglie neanche per la comunicazione della diagnosi…ono d’accordo sulla visione europea ed internazionale..Ad Auckland, NZ, in ospedale al reparto di maternità si va scalzi ..per non fare rumore e disturbare mamma e babies…e far sentire a proprio agior le mamme maori…la preparazione professionale e l’inserimento istituzionale di certe figure all’estero non hanno le contaminazioni che ci sono da noi.Di nessun tipo… Al Marmottan di Parigi c’è a disposione un frigo carico di ogni ben del cielo per fare quando si vuole breack dalla guardia di 24 ore…noi non ritroviamo la bic o il temperino il giorno dopo sulla scrivania..è l’Italiano/a che si deve rifondare eticamente e civilmente..il resto è totalmente effetto…auguri di ogni bene a tutti noi… e un grazia a Nicola per la sua attività puntuale e lo spazio che ci mette a disposizione per confrontarci, grazie di cuore.Monica

grazie Monica per questo tuo intervento, mi trova perfettamente d’accordo.mi viene in mente un corso di formazione tenuto da uno psicopedagogista conclusosi con una slide che recitava: “un bacio al giorno toglie lo psicologo di torno” (sarà stato autoironico?) è comunque un paradosso! e che dire dei pedagogisti clinici,non nascondono certo di fare terapia e sostegno psicologico…o dei medici, non abilitati alla psicoterapia, che pensano basti fare una chiacchierata (e per questo naturalmente bastano loro)
Forse rifondare l’italiano è un’utopia,ma intanto ben vengano le iniziative che fanno chiarezza sulle competenze e sui confini delle varie professioni.
Da cosa è normata la professione dello psicopedagogista o del pedagogista clinico? E all’interno della nostra professione è chiara la distinzione tra i compiti dello psicologo e quelli dello psicoterapeuta? Sono favorevole alle aperture, ai confronti, alle collaborazioni, ma lavoro bene in questo senso quando i confini di ognuno sono ben chiari. Forse rispetto agli altri Paesi dobbiamo ancora un po’ definire.
Buon lavoro e buona vita a tutti

Ricordo che purtroppo i medici, e non solo gli specializzati in psichiatria ma tutti, anche i medici dello sport, dentisti ed oculisti, possono accedere alle scuole di psicoterapia, e alcuni lo fanno…queste sono lobbyes dure da smuovere, che sviliscono gli anni di studio degli psicologi! ma perchè uno psicologo è l’unico che deve studiare la psicologia mentre tutti possono praticarla? ma uno psicologo può specializzarsi in cardiologia???

Sicuramente Elisabetta pone l’attenzione su questioni importanti ed interessanti, quale ad esempio la nostra scarsa capacità, come psicologi, di agire per migliorare l’offerta formativa delle università e per far sì che i giovani colleghi ne escano con competenze reali. Ed è sicuramente vero che molti laureati in psicologia si improvvisano “psicoterapeuti” senza adeguata formazione. Non sono invece convinto della chiara distinzione fra lo psicologo ed il counselor, il quale (per quanto ne so) svolge di fatto attività di “sostegno psicologico”, ivi comprendendo l’orientamento, la motivazione, l’empowerment ed altro. Nella pratica, gli strumenti usati sono strumenti psicologici. Nell’ultimo secolo le scienze psicologiche hanno fatto progressi enormi, ed è un bene che ad un certo punto si sia introdotta una specializzazione universitaria laddove prima vi erano filosofi e medici (ma è un male che si faccia poca filosofia nelle facoltà di psicologia….); anzi, oggi più che mai è necessaria una specializzazione accurata, in grado di tracciare confini di competenze (io ho dato gli esami di neuropsicologia, ma data la mia successiva specializzazione differente non mi sognerei mai di fare il neuropsicologo, preferendo collaborare con chi invece ha competenze adeguate in merito). La figura del counselor è poco (o nulla) normata, a differenza dello psicologo. Non è un discorso di “casta”, né di invidia. La normativa è a tutela dei professionisti e dei cittadini che ai loro servizi ricorrono.
Quanto all’affermazione per cui un buon counselor/psicologo avrà clienti, un pessimo counselor/psicologo no…uhm…ne siamo davvero convinti?…e tutto quello che è plagio? persuasione? relazione di dipendenza? non scomodo alcuna dietrologia, il mondo è quotidianamente pieno di esempi di rapporti pseudo-terapeutici e alla fine iatrogeni. Non mi pare che la popolarità sia un buon indice né delle competenze, né della correttezza deontologica di uno psicologo o di un counselor.
Nel pubblico gli psicologi non possono smettere di aggiornarsi (e teoricamente nemmeno nel privato). Si può discutere sulla qualità della formazione, ma questo non è un problema legato alla normativa, piuttosto alle pessime pratiche (che non si limitano al campo degli psicologi).
Io penso che non si tratti (né si deve trattare) di “guerra santa”; semplicemente, anche per la tutela dei clienti, è necessario fare chiarezza su ambiti di competenza e strumenti, dotarsi di normative e renderle comprensibili. Tutto qui.

Vorrei proporvi alcune domande:
Se dopo il diploma facessi un master in farmacologia potrei prescrivere farmaci ai pazienti senza essere medico?

Se dopo il diploma facessi un master sull’estrazione dentale potrei operare i pazienti senza essere dentista?

Se dopo il diploma facessi un master che mi dia competenze per discutere una causa in tribunale potrei discutere la causa senza essere avvocato?

Ancora meglio… Se dopo il diploma facessi un master che mi insegna a scrivere atti notarili potrei redigerli?
E via dicendo per le varie professioni regolamentate.
Se posso farlo allora è inutile discutere sull’abuso di professione anche per quello che riguarda i counselor… se invece non posso farlo forse qualche domandina bisogna farcela 🙂
Comunque ragazzi se potessi scegliere direi che mi piacerebbe fare il notaio, se esce qualche master che mi permette di farlo senza fare l’università, il tirocinio e l’esame di stato fatemelo sapere che mi segno subito!!!!

Gentilissima, in genere i master italiani sono annuali o biennali tali tipologie di master non possono dare la qualifica di counselor ma solo, eventualmente, abilità di relazione d’aiuto, per diventare counselor ci vuole un triennio di formazione che corrisponde ad un corso di laurea triennale. Personalemente per diventare counselor trainer ho svolto (post laurea e post dott.) tre anni più due. Ricevendo peraltro una tipologia formativa talmente di Alta Formazione che l’Università (mio marito é docente, non me ne voglia a male) se la sognano. Come nel resto del mondo per diventare counselor ci volgiono tre anni a cui si aggiungono altri due per diventare trainer. Come per diventare avvocato, dentista ecc. per cui non vedo questo problema. Un caro slauto ED

Gentile se dobbbiamo contare tutto il percorso personale per quel che mi riguarda è di 4 anni di univ. 3 di dottorato 5 di counseling, 5 di lavoro personale e innumerevoli supervisioni. E’ personale, nel senso che vi possono essere anche counselor con tre anni di formaizone post diploma ma in realtà è come se avessero una laurea breve e poi non sono counselor a vita, lo rimangono solo e soltanto se continuano a formarsi perchè altrimenti il titolo legato all’associazione di categoria decade, non sei più iscritto. La cosa fondamentale per la garanzia del cliente credo sia proprio questa iscrizione che garantisce la formazione del counselor.QUesto è un sistema che si avvicina lle normative europee. Inoltre valutiamo bene il fatto che l’Italia continua a pagare fior di penali perchè ha una normativa dsulle professioni non adeguata. Dovrà necessariamente adeguarsi per cui con molta probabilità dovrà aboli ordini ed albi che solo noi abbiamo e sostituirli con associazioni di categoria come avviene altrove. salutiii

Il mio docente alla scuola di psicoterapia diceva: mettendosi le mani nei pochi capelli ” adesso che vi siete laureati in medicina e in psicologia dovete fare in modo di dimenticarvi tutto e impegnarvi a diventare esseri umani, senza ciò questa professione non si può fare”.
é evidente che la psicoterapia è uno dei pochi campi dove essere umani è già ben oltre le migliori aspettative. La clinica la possono imparare tutti ma diventare essri umani NO!!!!.
Invito i colleghi a deporre le armi e occuparsi di più della gente che soffre piuttosto che tutelare ordini e caste.
Dott. Cattafi Francesco
Psicologo
Psicoterapeuta e se necessario counsellor…ecc..

Ciao Elisabetta e ciao Ferruccio, grazie per la condivisione del vs punto di vista 🙂

Conosco anch’io, più o meno chiaramente, la situazione del counseling e del counselor fuori dall’Italia. Ed è proprio per tale ragione che vedo “parziale” la posizione di Elisabetta in quanto se è vero che in altri paesi esiste da tanto tempo, è riconosciuto, non si scontra con lo psicologo, ecc… è altrettanto vero (ed è questo che MANCA) che in Italia – ahimé – vi sono condizioni, vincoli e presupposti differenti.
Saprete che qui in Italia il movimento dei counselor si è generato all’interno di scuole di psicoterapia, da parte di psicologi-psicoterapeuti, che spesse volte c’è un accavallamento troppo curioso tra i differenti percorsi formativi, saprete anche che diversi colleghi che siedono nelle istituzioni siedono anche nelle strutture formative… infine, vi sarete anche accorti che qui in italia il dibattito si svolge esclusivamente sulle differenze tra counselor e psicoterapeuta, quasi che lo psicologo non esistesse o non abbia “consistenza professionale” se non al di là della psicoterapia!

Ed allora, vi chiedo: specificatemi le peculiarità, competenze e strumenti proprie del counselor e distintive rispetto a quelle dello psicologo (e, ripeto, non parlate di psicoterapeuta né di psicoterapia).
Vedremo che – ahimé – qui in Italia abbiamo alimentato una situazione confusa che inevitabilmente genera frizioni… pochi hanno combinato una gran patacca a molti…

Per rispondere poi a Ferruccio: il fatto che Psicologi @ Lavoro si proponga nel sostenere i colleghi nell’avvio e promozione testimonia che personalmente sono molto attento ed orientato alla qualità, alla competenza, al mercato, al cliente… se avessimo un contesto normativo e culturale differente, firmerei con il sangue un sistema di associazionismo professionale tipo quello anglosassone…
Ma non lo abbiamo… e quindi, assieme al lavoro di promozione, crescita e sviluppo, cerco comunque di affiancare un lavoro di tutela che – semplicemente – tiene conto dei meccanismi normativi ad oggi presenti. Se ci sono non vedo perché far finta di nulla… non sono binari escludentesi… e se domani scomparissero, continuerei con maggior vigore su quello della promozione.

Spero quindi in un vs contributo rispetto alla domanda aperta lanciata nel dibattito

grazie e buona giornata
nicola

Gentilissimo Nicola, la questione di psicoterapeuti che hanno scuole di psicoterapia e di counseling ci sono ma i programmi della scuola di psicoterapia e quelli di counseling per esperienza diretta (io ho fatto la scuola di counseling, mio fratello quella di psicoterapia) sono diverse per cui in realtà non vedo questo come un problema, e quello che dico non va a mio vantaggio essendo counselor con scuola di counseling. Per quanto riguarda le differenze basta guardare un qualsiasi sito di una qualsiasi scuola accreditata. Le differenze sostanzili a me sembrano tre (ce ne possono essere di altre):
1- il rapporto tra counselor e cliente è una relazione orizzontale, paritaria in cui il c. non detiene una conoscenza sul cliente che possa diagnosticare un qualcosa. modello molto diverso da quello medico- paziente tipico della psicoterapia. (lo psicologo in quanto tale, senza ulteriore formazione al counseling o alla psicoterapia non è assolutamente paragonabile al counselor; è come paragonare un filosofo ad un metematico. dal mio punto di osservazione, la psicologia appartiene maggiormente alla scienza psicologica ed alla sperimentazione, la psicoterapia ed il counseling appartengono all’arte dell’empatia che poco ha di scientifico e di misurabile ma è molto legata alla consapevolezza di sè, per la quale poco si fa nelle università.)
2-La definizione dell’obiettivo concreto (problem solving) e del tempo limitato differenziano quelle situazioni patologiche che richiedono modalità di approccio diverse con tempistiche differenti.
3-l’esclusione della patologia (il counselor viene formato all’invio in caso di patologie e viene formato anche a crearsi una rete personale di esperti a cui inviare, per questo una collaborazione in genere conviene a tutti)
Il counseling opera quindi nella prevenzione e non sulla patologia.
Un caro saluto

Grazie della risposta. Tuttavia…

La generalizzazione crea regole generali a partire da casi particolari. Il fatto che una singola scuola (quella tua e di tuo fratello) funzioni così come la descrivi, non deve far concludere che tutte le 380 scuole funzionino così… ad esempio, io conosco diverse realtà dove NON funziona così 😉

Rispetto poi alla differenza tra counselor e psicologo ti ringrazio per il tentativo di risposta, ma – come temevo – hai adottato copioni adottati da molti tuoi colleghi, figli di una sincera ignoranza o strumentale distorsione di cosa è e di che cosa fa lo Psicologo 🙂

Lo Psicologo NON si occupa necessariamente di patologia e cura, anzi (quello è lo psicoterapeuta)… lo Psicologo si occupa con dignità e professialità di salute, benessere, crescita, relazioni, convivenza, sviluppo, problem solving.
Lo Psicologo utilizza posizioni simmetriche e non gioca a fare il dottorino che porta ricette.
Lo Psicologo lavora su obiettivi concreti in un arco di tempo definito e spesso negoziato (quello di cui parli è lo psicoterapeuta).

Come vedi, non si è assolutamente risposto alla questione…
Ma non è certo responsabilità tua… neppure Direttori di scuole sinora hanno voluto o saputo rispondere 😉
Ma in cuor loro lo sanno… eccome se lo sanno…

Buona vita
Nicola

Caro Gianluca, di certo le generalizzazioni non descrivono in toto una relatà. Tuttavia basta anche una sola realtà per mettere in discussione una generalizzazione. Possiamo dire che ci sono scuole diverse ma non possiamo sentenziare su tutte e non trovo opportuno proibire, proibire, proibire. Il nostro Paese è fin troppo indietro. Ci sono altre vie. L’era della differenziazione funzionale era la modernità, da sociologa ti dico che l’attuale epoca, la post modernità è quella della sintesi non della divisione se continuiamoa farlo restiamo indietro.
Personalmente ho difficoltà ad immaginare uno psicologo neolaureato che si occupa dei temi da te citati senza una specifica formazione post laurea. L’università non fornisce tali strumenti. Ho insegnato tecniche di colloquio ad un master post laurea di psicologia e mi sono trovata davanti una totalità di neolaureati che non sapevano nenche riformulare nè il contenuto nè il vissuto. E non ho parole e mi chiedo chi è che fa i danni.

scusi, ma… il fatto che uno psicologo neo-laureato è povero di strumenti e necessita di una formazione specialistica post-lauream NON HA NULLA A CHE VEDERE con il fatto di aprire tale formazione anche a NON psicologi!
che si facciano master in counseling psicologico riservati a psicologi e non in counseling aperto a tutti!

ripeto: in italia è diverso che in inghilterra… se non vi piace, andate in inghilterra, ma vi prego NON BUTTATELA SEMPRE IN CACIARA!!!

Se non vi piace andate in Inghilterra non mi sembra una risposata nmolto degna e non mi pare che siamo noi a far caciara. Non è solo l’Inghilterra anon avere gli ordini professionali è tutta Europa ed il nostro Paese paga delle penali salate per non avere una riforma delle professioni in linea con glia ltri Paesi. E’ ovvio che prima o poi dovrà adeguarsi. Potrei andare anche in Svizzera, Francia, Spagna, Germania ecc. solo in italia funziona così e perché noi siamo sempre i migliori e tutti glia ltri hanno torto?

In effetti hai molte più opzioni della sola Inghilterra 🙂

La mia risposta (ovviamente scherzosa) non sarebbe degna?
Invece quando chiedo differenze tra counselor e psicologo e si fa confusione con lo psicoterapeuta è degno?
Oppure quando per il fatto che la facoltà di psicologia non forma adeguatamente i giovani psicologi allora si prova a giustificare l’esistenza di corsi specialistici (che a questo punto tu stessa fai rientrare quindi nell’universo PSY) aperti a tutti è risposta degna?

Ma per favore! (meno scherzoso in questo caso)

Se ti ho offeso in qualche modo mi dispiace, a volte scrivendo su fb è difficile far passare i lnon verbale e dunque il senso di quello che intendiamo comunicare. Io ho provato a rispondere dal mio punto di vista e mi è sembrato di avere in cambio una ventata di rabbia ma forse mi sbaglio. comunque non fa nulla, buona giornata.

Certo, la laurea in psicologia spesso da sola non basta e non garantisce sicuramente una formazione adeguata che non necessiti di aggiornamento, ma penso che dovrebbe essere la BASE per poter lavorare nel campo.
Così come spesso l’assistente del dentista diventa anche più bravo di alcuni dentisti a fare piccoli interventi sui denti, a furia di vederli fare ed esercitarsi, ma non ha la base di studio e tutto il bagaglio di competenze e professionalità che un laureato in odontoiatria ha acquisito studiando per tanti anni (e sorpattutto non può farlo per legge!!).
Ps: molti psicoterapeuti in Italia sono laureati in fisolofia perché la laurea in psicologia è relativamente recente e prima era consentito l’iscrizione anche ad alcune altre lauree. Poi questa cosa è stata regolamentata! Non penso di sicuro che sia più attinente la laurea in filosofia alla psicoterapia che quella in medicina o psicologia!!!!!

Se fosse l’unica base possibile come si spiega che tra i migliori psicoterapeuti ci sono non laureati in psicologia? Molto spesso psicologia è una facoltà meno umanistica di lettere, filosofia, sociologia e persino di scienze politiche. Non di rado lo spicologo non si cura dell’inconscio perchè semplicemente non può misurarlo, come non può misurare l’anima dell’essere umano. Può lavorare sui processi cognitivi e sul comportamento entrambi misurabili perchè evidenti ma non sul senso all’esistere, non sull’anima, quella è arte, è filosofia…

Infatti il counseling non è una professione medica, aiuta all’autoaiuto non ha alcun potere sul cliente ma si fonda sul dare potere all’altro attraverso un metodo pedagogico totalmente diverso dalla psicoterapia.

Stante la definizione OMS bio-psico-sociale di salute e benessere, il counseling non può svolgere atti medici perché non può occuparsi della salute fisica; se si occupa di salute e benessere psichici ricade nell’esercizio abusivo della professione di psicologo, figura professionale a cui è data l’esclusività dell’intervento sulla salute e sul benessere psichici. Il counseling – all’estero è così, in Italia no – svolto da non medici e non psicologi si occupa solo di benessere SOCIALE, non fisico né psichico, cioè svolge attività di sostegno sociale, non psicologico, di educazione e formazione, di comunicazione sociale e di informazione. Non si tratta di autoaiuto o quant’altro.

Sono d’accordo con la proposta presentata in Parlamento poichè conosco Counselor che abusano della loro figura investendo la sfera professionale dello Psicologo. Inoltre non è ben definita la figura stessa del Counselor e personalmente credo che sia una figura creata per e da coloro che non hanno studiato Psicologia ma che hanno un interesse per quella sfera. Dico ciò perchè spesso partecipano a corsi di counselor coloro che hanno laurea in sociologia, scienze dell’educazione e così via e mi è capitato personalmente di leggere locandine su corsi di counseling la cui partecipazione era prevista per coloro che avevano laurea in scienze dell’educazione ma non a laureati in psicologia! Pertanto noto una sorta di “rivalità” tra Counselor e Psicologi.

Aggiungo,al mio intervento precedente,che non siamo in Inghilterra ma in Italia…ci sono molte cose che sono diverse dal mondo anglosassone nel bene e nel male, partendo dalla moneta e passando per la guida per finire con l’università…quindi non credo che si possa fare un vero confronto.Penso che a questo punto la cosa migliore sarebbe cambiare in maniera radicale la facoltà di psicologia in Italia rendendola più pratica, ma questo vorrebbe dire lasciare poco spazio a coloro i quali si sono già laureati…poichè tutto ciò credo che non si possa fare (per vari motivi…purtroppo) dobbiamo attenerci alla nostra realtà senza fare i soliti paragoni con l’estero.E’ risaputo che in Italia ci sono dei limiti rispetto al mondo anglosassone però questo non deve portarci a “guardare” sempre a quello che fanno gli altri.Cerchiamo di far crescere una “marchio” che è più “copiato” del made in italy dai cinesi…Prima cresciamo e poi cambiamo!

Buongiorno a tutti,
sono d’accordo con la maggior parte di cose dette finora, ma credo che alcune debbano essere relativizzate. Accolgo con favore l’interrogazione parlamentare, ma vorrei farvi riflettere su alcuni semplici motivi:
– la professione di counselor esiste da tempo all’estero, è vero: tuttavia all’estero è nata e si è definita “seriamente” in un ambito confinante con la psicologia e la pedagogia, senza indebite sovrapposizioni avendo una propria specifica definizione; la realtà italiana è molto diversa: i counselor (e assieme a loro le figure di coach ecc.) si propongono a cavallo della formazione, dell’animazione, della comunicazione aziendale, affermando a volte esplicitamente che con pochi incontri si curano piccole ansie o disturbi “lievi”.
– il fiorire di “Counseling e Co.” in Italia è connesso certamente alla difficoltà e alla qualità della professione di psicologo (vi è uno studio di qualche anno fa di Perussia che indicava che psicoterapia e counseling finiscono quasi per essere la stessa cosa, tanto che l’autore “ridimensionava” il peso attribuito il valore professionale del titolo di “psicoterapeuta” in Italia pubblicizzato da una pletora di scuole e scuolette a fronte di una scarsa clientela), ma questa è un’aggravante, non un’attenuante: il counseling nasce spesso come mera operazione di dumping sul mercato privato e consulenziale per “diversificare” il lavoro (da parte di psicologi con poca clientela) o per “competere” (da parte di non-psicologi) con proposte, tempi e tariffe più accattivanti data l’asfissia nella domanda di psicoterapia e la saturazione nell’offerta;
– facendo da specchio (e facendo il verso) agli psicologi, i counselor ci rimandano un’immagine molto critica della professione di psicologo, il che pone una questione sulle modalità piuttosto fin qui esistenti di formazione, selezione e organizzazione della professione di psicologo.
Insomma: come psicologi dovremmo considerare attentamente che nel couselor c’è qualcosa di “nostro” non solo perché ci è stato sottratto, ma soprattutto perché “ce ne siamo sbarazzati” perché rappresenta qualcosa di noi che non vogliamo vedere e non vogliamo modificare (per gli addetti ai lavori, si chiama identificazione proiettiva). La “parte cattiva” di noi psicologi sta proprio dentro i counselor e co.

Concordo che non siamo in Gran Bretagna e che, nel bene e nel male, è nel nostro contesto che dobbiamo operare.
Auspico comunque un’integrazione di ruoli, piuttosto che una messa al bando dell’ultimo arrivato.

Un apprezzamento a te, Nicola: uno così impegnato su un argomento che accoglie dialetticamente argomenti contrari non è facilissimo da trovare.

Buona giornata a tutti.

Buon giorno a tutti!
Io personalmente sono un po’ stufa di dover quotidianamente rapportarmi con figure come i counselor, i mental trainer, gli ipnotisti (non ipnoterapeuti), operatori di tecniche di libertà emozionale e via dicendo. Sarà un mio problema? Forse! Magari sono anche più bravi di me, non lo escludo, ma cmq, in realtà, nei loro studi, fanno anche cose che non potrebbero fare! E questo lo sappiamo tutti.
Grazie Nicola e buon lavoro a tutti!!!

La questione è complessa e meriterebbe più spazio, mi limito a ricordare a quanti citano esempi anglosassoni e del nord Europa, che la questione è proprio di contesto; in Italia abbiamo la cultura della scorciatoia, quindi sono molti quelli che fanno corso (spesso serale, nei week end) di un paio di anni, ottengono una qualifica che poi usano senza criteri. Noi siamo anche il Paese che in nome della libertà di scelta del corso di laurea, per anni ha permesso l’acccesso a Psicologia senza nessun limite, per cui oggi abbiamo un terzo degli psicologi d’Europa. Io conosco counselor che parlano indistintamente di inconscio, PNL, teoria dei sistemi, attaccamento, autostima etc. etc.
Facciamo chiarezza, separiamo bene i campi di intervento e riconosciamo la figura.
Saluti a tutti.

Caro Nicola, credo che la questione non si debba proprio porre. Il counsellor è semplicemente una figura inutile perchè, come ben sai, tra le (poche) competenze che ha lo Psicologo (non Psicoterapeuta), c’è proprio la consulenza che, senza tante pippe mentali, non è altro che il counselling. Se la consulenza la fa il counsellor, cosa rimane da fare allo Psicologo “vero”? Il problema, inoltre, conoscendo diversi counsellor, è che sono loro i primi a fare gli psicologi, fanno anche diagnosi (credimi!) e manipolano il cliente facendogli capire sostanzialmente che per il suo problema non c’è bisogno dell’esperto psicologo, ma che con il counsellor, in tempi molto più brevi, risolverà il suo problema. Tutto questo senza una adeguata preparazione professionale. Cosa sono infatti 3 anni dopo il diploma, rispetto ai 5 di laurea + 1 di tirocinio + l’abilitazione ed esame di stato + specializzazione di 4/5 anni + master biennali e corsi vari? Non ci prendiamo per il culo: trattasi dell’ennesima trovata all’italiana per inventarsi di sana pianta un lavoro non qualificato e che nuoce gravemente alla salute di Psicologi davvero formati e preparati. Da te, caro Nicola, e dall’Ordine, mi aspetto un pronto intervento che elimini quanto prima questa ed altre pseudoprofessioni trasverali (coach, mediatori, sofisti, maghi, vanne marchi…). Oppure dietro c’è tutto il discorso degli psicologi stessi che “formano” i vari counsellor per una mera questione economica, a discapito della tutela della nostra professione? Scusate lo sfogo, ma in tempi di grave crisi, tutto questo è davvero pesante…

Sono assolutamente d’accordo con Alessandro.. L’onorevole Binetti ha fatto bene.. Non capisco poi cosa c’entrano le sue posizioni su altri temi. Poi rispondendo a una persona sopra vorrei dire che io sono (anche)un infermiere e ti garantisco che in ambito sanitario serve lo psicologo (clinico o del lavoro) non certo un counsellor.

Grazie Dada e tutti gli altri, son felice di questa interrogazione parlamentare e dei passati confronti..Ovviamente serve una formazione piu’ precisa e mirata nelle nostre Università , io provengo dall’Ateneo di Bologna e la mia formazione quinquennale la giudico buona ( vorrei assicurare alcune persone che ritengono che non facciamo mai simulate o colloqui che questo non e’ vero). Faro’ presto una scuola o pubblica o privata di psicoterapia (altri 5 anni) ma al di la di questo le pubblicità che vedo in giro delle varie scuole di counsellor le trovo alquanto fuorvianti … specie quando vogliono spaziare in ambiti della salute come stress, ansia etc etc .. Con quali strumenti professionali e capacita’ scientifiche possono condurre un colloquio e approfondire i disagi?? Come indagare i prodromi dei disturbi ?? Etc etc non continuo… Pero’ senza paure ne guerre serve chiarezza e verità!! Diamo a Cesare quel che e’ di Cesare .

io sono abbastanza daccordo con quanto detto fin qui, soprattutto sul fatto che c’è bisogno di chiarezza. forse è vero che noi psicologi dovremo rivolgere maggiori energie nel richiedere una formazione universitaria diversa, che ci consenta di uscire dall’università con un minimo di competenze pratiche, invece che solo teoriche (fatte per lo più di teorie su teorie).
la differenza fra psicoterapeuta e counselor mi sembra più netta. però allo stesso tempo non mi sento di includere il counseling solo in ambito psicologico. io penso che legato a certe professionalità possa essere molto utile. magari normare bene il tipo di formazione potrà giovare a tutti.
ma non credo che il counseling sia prerogativa solo dello psicologo. l’art-counseling per es perchè non dovrebbe essere accessibile a chi ha competenze artistiche? e altre forme di counseling potrebbero essere molto utili in ambiti sanitari, per assistenti sociali e infermieri, per es.
insomma per me il counseling è anche e soprattutto una forma di comunicazione e per questo non la limiterei alle sole competenze psicologiche.
magari stabilirei gli ambiti di intervento, questo si, anche per promuovere la cooperazione fra le professioni.

Credo che Dada abbia perfettamente centrato il problema quando ha scritto che nel counsellor c’è qualcosa degli psicologi che gli psicologi non vogliono vedere e non vogliono modificare. Grazie all’esperienza diretta, mi sento di dire che troppi psicologi o psi-qualunque cosa si cimentano in psicoterapie (a volte anche per due o tre anni) senza avere la benchè minima conoscenza delle più semplici regole del setting e della relazione che si instaura, elementi necessari a che una terapia possa funzionare. Dico questo perchè non esagero se dico che più del 50% delle persone con cui ho lavorato e lavoro hanno alle spalle quasi sempre una, se non due, esperienze che loro chiamano”psicoterapie” ma che io non mi sento di definire tali. Ho ascoltato di tutto: dai terapeuti che prendono tè e pasticcini con i pazienti a quelli che giungono a chiedere loro consigli sulla propria vita privata e/o a sfogarsi dei loro guai; da quelli che, su richiesta di fattura, la rilasciano a nome di un altro (moglie o marito!)a quelli che non sapendo più che pesci prendere chiudono improvvisamente la terapia dicendo di doversi allontanare (cosa non vera) per sei mesi; da quelli che di fronte al racconto di episodi drammatici si mettono a piangere con i pazienti a quelli che fanno loro avances di tipo sessuale. E potrei ancora continuare. I problemi, a mio avviso, in Italia sono molti:
1) tutti pensano che aiutare una persona che ha un problema psicologico possa essere svolto da tutti, anche senza nessuna competenza teorica e tecnica mentre nessuno si sognerebbe (come dice provocatoriamente Alessandra) di fare l’avvocato o il notaio ecc. : servirebbe quindi una legislazione severissima in questo campo e non controlli affidati all’ordine che non può intervenire su coloro che all’ordine non sono iscritti;
2) molti studenti si iscrivono a psicologia perchè hanno problemi personali e sperano di risolverli leggendo i manuali; io introdurrei per l’ingresso alla facoltà di psicologia non dei quiz attitudinali ma una batteria di test per escludere patologie serie. Lo fanno nell’esercito, nei carabinieri e in molte aziende private perchè non farlo con coloro che sono destinati a trattare la cosa più delicata che è la fragilità psichica?
3) una volta laureati molti psicologi ambiscono a essere (ma io direi atteggiarsi) a fare gli psicoterapeuti ma per carità! non suggeritegli che per farlo bene devono prepararsi quattro o cinque anni; per carità !! non ditegli che per lavorare sulla psiche degli altri non ci devono essere zone d’ombra nella loro psiche e che quindi dovrebbero, prima di esercitare, sottoporsi ad una lunga e seria psicoterapia e infine per carità !!! non dite loro che una volta che iniziano a lavorare dovrebbero scegliersi un tutor serio e con profonda esperienza perchè li aiuti a vedere ciò che si vede, di noi e dei pazienti, solo con il tempo. No, tutto questo alla maggioranza degli psicologi non piace perchè le tre cose richiedono notevoli investimenti di soldi e di tempo e quindi … via … all’attacco! giochiamo a fare gli psicoterapeuti tanto qual’è il problema? Qualunque legge è aggirabile con un cavillo grazie al sapiente uso di una frase: “io faccio colloqui non psicoterapia”.
Molti psicologi e tutti i counselor hanno due cose in comune: la superficialità e un senso di grandiosa onnipotenza.

Qualunque legge è aggirabile con un cavillo grazie al sapiente uso di una frase: “io faccio colloqui non psicoterapia”.
Molti psicologi e tutti i counselor hanno due cose in comune: la superficialità e un senso di grandiosa onnipotenza..
Completamente d’accordo….

Caro Marco il senso di onnipotenza, il narcisismo, per come la vedo io dal mio punto di vista è trans-professionale. Appartiene ad alcuni counselor, psicologi o psicoterapeuti. Si può superare con il lavoro su di sè. Nella mia associazione di categoria come credoin altre (non mi azzardo a dire tutte perchè non so’) è obbligatorio. Io sono pienamente d’accordo con chi ha detto che dopo essere counselor,psicologo o psicoter. poi è necessario diventare esseri umani e questo non si impara dai libri.

ma sopratutto chi pensa al nostro caro “MALATO” “CLIENTE” “ASSISTITO” ,, boh… io ho speso “felicemente” i miei 5 anni di vita nello studio lo farò “felicemente” per i prossimi 5 perchè volgio dare la massima risposta in termini di professionalità, efficienza ed evidenza scienitifica per aiutare la persona nel suo disturbo, perchè penso sia uno dei lavori più difficili e stupendi del mondo.. ma ricordiamoci sempre che abbiamo davanti a noi sofferenza, tanta sofferenza che va rispettata. GRAZIE

Guai allo psicologo che vuole fare lo psicoterapeuta senza esserlo! Che improvvisa sedute di psicoterapia senza averne le competenze! Ma c’e’ da dire che lo psicologo ha le competenze (e la possibilità sancita dalla legge e dal codice deontologico) di fare numerosi interventi di sostegno psicologico che esulano dalla psicoterapia… Questo spesso gli psicoterapeuti non lo prendono in considerazione.

Ciao a tutti. io sono al primo anno di scienze e tecniche psicologiche. Non ho ancora le competenze per dare un parere organico e strutturato sulla questione,ma ci voglio provare. Io penso che l’interrogazione sia lecita e doverosa. Vi vorrei fare una domanda : ma perché secondo voi in Italia spesso e volentieri nascono i mestierini o perché c’e’ sempre della gente che opera senza avere la laurea e riesce pure a farsi pagare bene ? Perchè gli italiani sono una massa di egoisti,di arrivisti senza scrupoli. E’ generalmente gente che vuole campare oltre le proprie possibilita’. (non tutti,ma la maggiorparte). Laddove le maglie della legalita’ si allentano c’e’ sempre un italiano che prova a speculare. Io penso che i compiti del consuelor si accavallino con quelli dello psicologo. Tentare di dire il contrario serve solo a difendere interessi personali,in virtù di quello che ho detto all’inizio. Ora si tratta solo di regolamentare le due professioni e il compito non e’ certo del ministro. E’ l’ordine degli psicologi che ne deve discutere costruttivamente. Dovrebbero delineare e affidare al consuelor dei compiti ben distinti da quelli dello psicologo. Dubito che ce ne siano…

Penso che il contrapporre due figure professionali che dovrebbero cooperare e’ l’errore alla base della discussione. La questione da porre e’ invece questa, ci sono dei millantatori in tutte le professioni, bisogna renderli visibili, e isolati, e questo puo’ avvenire solo se i professionisti seri non si fanno la guerra tra loro ma cooperano, stimandosi a vicenda. In questo modo e’ possibile far nascere, delle figure professionali degne di un lavoro che dovrebbe dare aiuto a chi sta in difficolta’, ma che con queste discussioni alimenta solo dubbi sulle professioni a discapito della qualita’ delle prestazioni.

io sono al secondo anno di scienze e tecniche psicologiche, e diplomata in gestalt counselling dopo un master triennale di 900 ore di formazione in aula e 600 ore di tirocinio. Lavoro full-time come responsabile di segreteria in uno studio privato dove operano altri professionisti dell’area sanitaria + 2 psicologhe e psicoterapeute (una ad orientamento gestaltico fenomenologico esistenziale e una sistemico-familiare). Ho deciso di iscrivermi all’università, dopo il master in counselling, perché quella formazione per me non era sufficiente, per quella ‘me’ che desidera ardentemente lavorare con persone ad un livello decisamente più profondo ed orientato alla cura ed alla riabilitazione. Un counsellor – almeno, di quelli formati nella mia scuola – non lo sa fare.
Qualche psicologo – Nicola, almeno tu – mi può dire nero su bianco quali sono le ‘competenze esclusive’ della professione di psicologo? io le ho dedotte dal tariffario (non dal codice deontologico: possibile?) ma la parola ‘consulenza’ non è univoca, così come sono un po’ confusa su che cosa si intende per ‘sostegno psicologico’ (mi hanno sostenuta psicologicamente molte persone pur non lavorando come psicologi, e di certo il tipo di sostegno psicologico di cui si occupa uno psicologo dovrà differire in qualcosa da ciò che umanamente siamo naturalmente portati a fare seguendo il buon senso, senza psicologo o counsellor che tenga); mentre da ‘psicologia clinica’ in giù posso assicurare che come counsellor non saprei neanche da dove partire per fare un colloquio clinico, tantomeno una diagnosi o una valutazione clinica.
Poi la Binetti, come medico e neuropsichiatra infantile, laureata probabilmente 50 anni fa più o meno, ma anche deputato e dunque politicante, che tipo di valori promuove e sta sostenendo con questa interrogazione? Da dove nasce, ma soprattutto qual è lo scopo con cui l’ha presentata?

Ovvio… perché qualche psicologo gliel’ha chiesto… Ecco perché la Binetti ha presentato l’interrogazione. Quella stessa Binetti che ha scritto il libro “Il counseling in una prospettiva multimodale”, facendo riferimento al counseling per come lo conosciamo tutti, ovvero non certo come esclusiva dello psicologo.

Scusate ma non ho letto tutti gli interventi, quindi potrei ripetere commenti già scritti.
Il business muove tutto. Avere clienti che pagano prestazioni spesso ideologiche che promettono miracoli o chissà cosa. Vedi i tanti piennellini che nascono come funghi, vedi i tanti mistico terapeuta counselor… chi più ne ha più ne metta.
Quello che conta è che loro n due o tre week end hanno una professione “certificata” in mano, e che con questa, spesso supportata da cotanto marketing, si attivano subito trovando clienti, e “formando” gruppi di persone.
Gli psicologi hanno permesso tutto questo, stando solo a guardare e non prevedendo la tendenza!
Spesso arroccandosi dietro a ideologie presunte, tecniche o metodi, non hanno saputo vedere cosa stava accadendo…
Credo sia giunto il momento di riformulare se stessi, giocando nello stesso terreno!
Un abbraccio a tutti

Gentilissima, il bagno di umiltà fa bene atutti, anche a chi non conosce nè la formazione nè il lavoro dei counselor ma si pone in una posizione di giudizio a priori. Far competere due professioni complementari che come tali dovrebbero collaborare lo trovo poco intelligente.

Sono decisamente d’accordo.
Io ho in cura una persona psicotica che è un counselor
Certo, è compensata, ma arriva a decidere lei la cura farmacologica al posto del suo psichiatra e allora io mi chiedo e chiedo a voi:
quanto può correttamente svolgere il lavoro di counselor?
Ma le persone sofferenti in quali mano vanno a finire?
Serve davvero un maggior controllo e una maggiore preparazione!

Certo Paola, perché psicologi psicotici… non esistono? Ma che esempio è? Almeno i counselor fanno un percorso personale, mentre gli psicologi se lo sognano. La verità è che chi è psicologo e basta, con la sua sudata laurea in psicologia non è minimamente in grado di gestire una relazione, semplicemente perché non ha mai esplorato se stesso, le sue dinamiche, i suoi problemi. Ma di questo nessuno parla…

E a proposito di tutela, Paola…: una laurea e un’iscrizione all’Ordine tutelano il futuro paziente dello psicologo? A me risulta che per stare iscritti all’Ordine basti pagare tutti gli anni la quota, non mi risulta invece che ti somministrino ogni anno test per verificare la sanità mentale… E dunque? In che mani finiscono i pazienti degli psicologi?

Mi dispiace gentile Virginia, ma il fatto che lo psicologo uscito dall’università debba approfondire aspetti relazionali e raggiungere una maggiore consapevolezza di sè, non comporta che chiunque facendo un master o corso possa “scavalcarlo” e svolgere le stesse sue mansioni! è come se facendo un master sulla legalità e sul diritto potessi svolgere alcune prestazioni tipiche di un avvocato!

Semmai quello che tu sostieni dovrebbe condurre ad un miglioramento dell’offerta formativa universitaria per i futuri psicologi con l’aggiunta di più laboratoti o attività pratiche.

Tutti che dicono la loro spingendo le riflessioni dal punto di vista della regolamentazione giuridica e sui connotati che deve avere la professione ma nessuno che scende un po’ sul piano tecnico psicologico per capire quanto sono netti i confini tra la professione dello psicologo e quella del consuelor ? io sarei molto interessato a leggere qualcosa di questo tipo,dato che frequento il 1 anno di scienze e tecniche psicologiche e ho voglia di imparare.

Tribunale: avvocato difensore nomina un CTP per visionare un filmato di un presunto abuso sessuale (parliamo di reato penale) convinto che trattasi di professionista della salute mentale e scopre che il suo amico “coach” è sì Dottore ma, udite udite, in scienze agrarie! Vi chiedo perdono per la poca seriosità ma non potevo non raccontarvi dove arriva il delirio di onnipotenza umano. Per il resto ci sono eccellenti counsellor, eccellenti psicologi, eccellenti psicoterapeuti, eccellenti psichiatri ecc. ecc. così come si trovano eccellenti esseri umani, ma purtroppo esiste anche la possibilità opposta… Tanta gioia e sempre immensa meraviglia per tutti!

io solleverei anche un altro piccolo quesito visto dal lato dell’utente… gli approcci!?
posto che quello conosciuto nell’immaginario collettivo, continua ad essere il freudiano…
ma ce ne sono tanti e c’è tanta confusione ed ignoranza anche su questo, mentre un pò di chiarezza anche sui metodi di lavoro farebbe bene.

io non credo che un counselor sia in grado di fare diagnosi, nè terapia. anche se, come dice Mgregoris, nella vita possono essere d’aiuto persone che hanno ben altre competenze.
la tutela dei pazienti, penso la possa dare la diffusione della conoscenza dei tipi di professione, ambiti di intervento, approcci e metodi di lavoro. poi tutelare effettivamente un paziente lo vedo poco praticabile. ci sono psicoterapeuti super preparati, che però fanno danni per interessi personali, per limiti propri.

per me il mestiere di psicologo è molto complesso, quasi una missione, e non si risolve con le sole competenze da acquisire sui manuali, ma con lunghi percorsi che – e qui sta il bello – possono portarti a capire che hai fatto un percorso, ma non è detto che tu sia abbastanza “bravo” da mettere in pratica le tue competenze per aiutare effettivamente gli altri.

non limiterei gli ingressi allo studio, questo mai, anche perchè confido fortemente nel fatto che chi non è in grado di svolgere la professione, non avrà la fila di gente fuori dallo studio.
proviamo anche a ricordare i “più grandi”… che non erano “normali” nel senso classico del termine…

Miei cari colleghi,vedo che nessuno di voi mi caga. Da questo ne deduco che siete focalizzati su questioni che ritenete di importanza maggiore rispetto allo spiegare a me le differenze specifiche che secondo voi ci sono tra la professione del consuelor e quella dello psicologo. Voi sapete meglio di me che ogni cosa che fate per gli altri la fate e l’avete fatta in un certo senso già per voi stessi. Come ho detto io sto’ frequentando il primo anno e mi sto’ rendendo conto di quanto i miei colleghi tengano a far notare i voti che prendono,soprattutto se sono alti,la velocita’ con la quale danno gli esami e quanto cerchino di mettersi in competizione con gli altri. Lo deduco da tutta una serie di comportamenti e dalla comunicazione non verbale che mettono in atto. Io non voglio mettermi in competizione con chi cerca qualcuno con il quale mettersi in competizione per dimostrare la sua bravura,ma non posso ignorare tutto ciò. E se questo tipo di comunicazione e di atteggiamento sussiste gia’ dai primi anni della formazione,mi immagino come potrebbe trasformarsi successivamente,quando il soggetto e’ diventato un professionista. Immagino che l’umiltà,la voglia di continuare a studiare,anche senza beccare una lira,siano caratteristiche che vanno pian piano perse con l’aumentare delle conoscenze e dei ruoli che si rivestono nella società. Allora,io sto’ notando che ognuno di voi,cari colleghi sta’ dicendo la sua,ma sta’ parlando sostanzialmente con se stesso,non vedo una reale presa in considerazione del punto di vista degli altri,se non a fini di sminuire l’altrui punto di vista. Penso si tratti di tutta una serie di meccanismi inconsci che molti di voi non riescono a gestire bene. Vorrei dire che lo studio della psicologia ti da’ degli strumenti e delle conoscenze per aiutare gli altri e se stessi a stare meglio,ma se trovano un terreno umano poco fertile non possono produrre un effettivo e massiccio cambiamento nella consapevolezza di ognuno di noi. Io finora ho capito che il lavoro dello psicologo consiste molto x grandi linee nella prevenzione e nel tentativo,grazie a tutta una serie di strumenti psicologici,di alleviare i disturbi delle persone,che non sono disturbi generici,ma specifici,che hanno a che fare con la loro scarsa capacita’ di gestire le loro emozioni e di conseguenza le loro capacità razionali,che risulterebbero offuscate ed alterate dall’influsso troppo morboso e invadente del campo emotivo. Quello che vorrei sapere e’ se il consuelor persegue gli stessi fini curativi dello psicologo. Se si,quali strumenti usa che lo psicologo non usa ? Prima di fare altri discorsi,dovete chiarirvi e chiarire a me le idee su questo fondamentale punto,altrimenti il resto delle cose che dite non assume una grande importanza.

ciao mario,
come tu stessoo dicevi, non hai letto tutti i commenti… ed infetti la “discussione” mi pare abbastanza sconclusionata, come dici, sembra che ognuno parli un pò a se stesso.
la differenza fra psicologo e counselor, a mio avviso non è affatto chiara. l’unica cosa che mi è chiara è che lo psicologo uscito dall’università ha un bagaglio culturale più o meno specifico (a seconda dell’ateneo), ma non è assolutamente in grado di affrontare e gestire un colloquio: vale a dire che manca totalmente di senso pratico.
ci sono facoltà come scienze infermieristiche che ti fanno fare tirocini durante il percorso di studi, per psicologia immagino non sarebbe malvagio, fare un qualcosa di simile finalizzato però ad acquisire le competenze di un colloquio.
unica differenza che mi viene in mente è che lo psicologo può partecipare a concorsi, mentre il counselor no, che io sappia…

il counselor ha invece una formazione prettamente pratica, ed è preparato a gestire colloqui. non mi sento di dire che il counseling sia da ritenere solo psicologico, perchè secondo me ci sono ambiti professionalità, diverse dallo psicologo) in cui il counseling è molto utile (es. infermieri, medici, avvocati…). magari farei una distinzione nella formazione di counseling stesso, riguardo al monte ore, per es. e agli argomenti trattati.
che poi si insegnino materie psicologiche per dare delle piccole basi, per me non è un reato, basta regolare la profondità degli argomenti.

Caro Mario! Il problema, dal mio punto di vista, sta proprio qui!! Che la differenza tra quello che puo’ fare lo Psicologo (non psicoterapeuta) e quello vorrebbe fare il Counselor non esiste! Ed e’ per questo che sono d’accordo con chi cerca di mettere chiarezza nei confini delle professioni. Hai dato una descrizione abbastanza chiara del lavoro dello psicologo, ora mi aggiungo a te nel chiedere a chi sostiene la posizione del Counselor quale e’ invece la competenza e nello specifico il lavoro di questa figura (cosa più volte chiesta, tra gli altri anche da Nicola, e che non ha mai ottenuto una risposta esaustiva… Forse perché sanno che quello che fanno realmente invade i confini??). A meno che non si riparli nuovamente di anima, in quel caso i confini che si invadono sono di altri campi!

Dal mio punto di vista la confusione tra le due professioni nasce da una tendenza presente nela psicologia contemporanea a vedere tutto in termini di “relazione”. Lo psicologo, tradizionalmente, era colui che studiava i processi mentali (percettivi, mnestici ecc.), e applicava tali conoscenze con tecniche precise ai vari settori (scuola, azienda, clinica ecc.). Lo psicoterapeuta era per così dire un esperto di secondo livello sui processi mentali patologici e sulle tecniche di cura. Attualmente invece allo psicologo si chiede – e lo psicologo spesso ci tiene a farlo – indicazioni sul “come ci si comporta” e soprattutto su come gestire le “relazioni”; questo perchè il punto di vista relazionale – cioè che tutto è relazione – ha un po’ invaso il campo e le menti degli psicologi. Ora, se tutto è relazione, e tutti sono in relazione con gli altri, anche i counselor sanno stabilire relazioni: ecco la sovrapposizione e la confusione. Ovviamente dire che lo psicologo è un “esperto di relazioni”, oltre a essere presuntuoso (perché le relazioni sono umane, non tecniche), crea questi scontri tra professioni.

ho letto tutti i commenti e mi sembra che ci siano solo sovrapposizioni,nessuna reale differenza nei campi d’intervento e nei modi con i quali intervenire sulla salute delle persone tra consuelor e psicologo. Il consuelor sarebbe uno psicologo light,forse lo si potrebbe paragonare al dottore in psicologia che si diventa dopo aver fatto i primi 3 anni. Cerco conferme in questo. Probabilmente questa figura e’ venuta fuori perché gli psicologi in italia hanno rinunciato o hanno ritenuto poco conveniente (propendo per questa 2 ipotesi) occuparsi della cura della persona nei modi in cui fa’ il consuelor perché gli rendeva poco. E’ sempre la stessa storia : gli italiani non lavorano se non hanno dei guadagni sostanziosi. La mentalita’ e’ quella per cui si sono fatti il culo durante l’universita’,hanno pagato tasse altissime e hanno subito sbattimenti tali che una volta laureati vogliono salire su un piedistallo e guardare tutti dall’alto,a prescindere dalle reali competenze acquisite. O per dirlo usando un linguaggio diverso : coloro che come scopo nella vita hanno quello di lavorare poco,guadagnare tanto,costruirsi una bella casa,recintarla e farsi molti seguaci che gli portano clienti e fama. E’ la mentalita’ dei popoli italiani a livello antropologico. Non si cambia. affonda le sue radici nella storia antica.

Non esageriamo adesso!! Non so te ma io di certo non mi descrivo così e non descriverei così neanche gran parte dei miei colleghi! Certo non e’ che disdegno guadagnare ma non sai quante volte nella mi carriera lavorativa mi sono trovata a lavorare per mesi senza ricevere una lira… E come me purtroppo in tanti!!

Ciao a tutti,
io trovo che questa sia l’ennesima conseguenza di una cattiva gestione formativa (carente in tecnica e specificità) ed in-formativa (dell’utenza).
Se chiedessimo a qualsiasi professionista o artigiano in cosa consista il suo lavoro, in tre parole…riuscirebbe, persino le professioni che nell’immaginario sono più complesse, come l’astronauta riuscirebbero in tre parole a far passare l’essenza del lavoro mettendo in luce una specificità che giustifica agli occhi dell’uomo della strada l’esistenza della categoria e di una formazione.
Nel nostro caso (dico “nostro” perchè sono psicologo ed ho due master) c’è una notevole confusione a monte per cui ci ritroviamo a confrontarci con chi, decide di offrire qualcosa di specifico, di comprensibile per l’uomo della strada che di fronte ad un bisogno sa individuare CON PIU’ FACILITa’ il professionista le cui competenze sono spiegate accuratamente e con specificità.
Temo che i counselor per il colloquio (tra l’altro ne esistono di tutti gli orientamenti possibili ed immaginabili), così come spesso anche l’educatore o l’isegnante in ambito di età evolutiva, così come il life coach, così come il naturopata tutte discipline con una loro specificità che è assurdo inibire (ho fatto una panoramica eterogenea volutamente…). Per creare confini in primis è necessario costruire un’identità (di competenze, di MANSIONI e di RESPONSABILITA’), tutto il resto verrà da sè senza censure che mostrano spesso una fragilità professionale.
Ricordiamoci che siamo un Odine professionale, facciamo un esame di stato che DEVE garantire all’utenza determinate competenze categoria- specifiche a tutela nostra, a tutela di chi deve poter riconoscere quelle competenze per poterle ricercare al bisogno.
Ciao a tutti

Concordo, ad esempio tempo fa, a fronte delle scuole private triennali, ers girata la proposta a livello ministeriale di fare una specializzazione universitaria in… counseling psicologico (che però avrebbe dato anche il titolo di psicoterapeuta!). Immaginate 3+2+1+3! Per fortuna non si è fatta.

In tutti i paesi c’è la distinzione tra Psi e Counsellors, facciamola anchi qui una volta per tutte. Se vogliono fare gli psicologi le università di psicologia ci sono e se vogliono fare gli psicoterapeuti pagano migliaia di euro l’anno per almeno 4 anni. Le capacità personali? non vige l’anarchia no? io sono un ottimo macellaio, non vado a fare il chirurgo.

Credo che la questione sia proprio nel definire pubblicamente il ruolo dello psicologo. Faccio un esempio: sia l’infermiere che il medico sanno fare le iniezioni, e in molti casi basta un infermiere (spesso i medici sono meno bravi degli infermieri a fare iniezioni). Un infermiere però non si sognerebbe di prendere in cura un paziente, il suo iter di studi è differenziato da quello del medico. E’ infermiere e stop. Un bravo counselor sa occuparsi delle persone, può essere di aiuto in tante circostanze e situazioni che non richiedono un intervento specialistico. Il problema è che lo psicologo attualmente è una figura ambigua, mentre un medico, un architetto, un ingegnere laureati, anche se non specializzati, possono fare molte cose che gli altri non solo non sanno, ma non sono autorizzati a fare. Questo dipende dal valore istituzionale e dalla responsabilità legale che si attribuisce allo psicologo, attualmente per lo più scarsa. Purtroppo questo dipende molto anche dall’ideologia dello psicologo di rifiutare spesso “oneri e onori” in nome di una non meglio definita autarchia.

Purtroppo constato che a tutti voi sfugge un punto: non esiste la possibilità di spezzettare la mente umana, ne l’insieme delle relazioni nel quale ogni persona vive, ne, tantomeno i suoi problemi e la sua sofferenza. La differenza tra counselor, coach, psicologo, psicoterapeuta, psichiatra è frutto di rapporti di potere tra le varie congreghe e non è utile a nessuno. Di sicuro non è utile a chi chiede aiuto. Propongo quindi di abolirla. E di sostituirla con un’altra: tra chi sa fare questo mestiere e chi non sa farlo.

Vede, non fa una bella figura con la sua affermazione: gli psicologi non si sottraggono agli esami, che sono parte di un percorso di formazione resposabile e adulto se si vuole dedicarsi alla cura dell’altro. Ci sono studenti universitari che queste cose le hanno fatte proprie ben prima della laurea. Poiché conosco bene la teoria e la tecnica del counseling, mi sembra inoltre che lei con le sue parole offenda tutti coloro che hanno sviluppato il counseling come una professione innanzitutto basata sul rispetto della persona umana e sull’attenzione alle peculiarità dell’altro. Sembra invece che con le sue parole lei stia dicendo che essere counselor significa essere al di sopra della legge in virtù di non si sa bene quale dote, forse solo per presunzione.

Ciao a tutti, dopo una laurea in lettere, una specializzazione in pedagogia, una formazione specifica in counseling ed una quasi laurea in psicologia (ancora alcuni esami e poi è fatta), senza contare svariati anni di terapia personale, di una cosa sono certa: non mi riconosco di certo in queste posizioni di retroguardia, antiche e dettate soltanto dall’incapacità di ritagliarsi spazi professionali adeguati. È palese che chi si lamenta sono coloro che non battono chiodo, e anziché aprirsi spazi di mercato, danno di macete contro il counseling. L’interrogazione della Binetti finirà nel nulla come quella della Goisis, con buona pace di qualche psicologo talebano. Sostenere che il poco valore che hanno gli psicologi in Italia sia colpa del counseling è una barzelletta, punto. Nel fare la facoltà di psicologia non ho ritrovato niente – dico niente – delle mie precedenti formazioni: ma con che coraggio potete sostenere che counseling e psicologia sono la stessa cosa? Vabbè, diciamocelo tra di noi: fa comodo trovare un capro espiatorio. Ma… una volta resi fuorilegge tutti i counselor non psicologi? Siccome le condizioni di lavoro degli psicologi non cambieranno di una virgola… che si fa? Si comincerà a dare addosso ai pedagogisti, e poi ai coach, e poi? Poi, alla fine, prima o poi a qualcuno verrà in mente di cominciare a guardarsi dentro… e magari capire da che parte stanno le magagne. Ah, nel frattempo, se non ve ne foste accorti, i medici vi stanno scippando un pezzo alla volta la professione (psicoterapia, diagnosi, inglobamento della facoltà di psicologia, etc.). Ma a voi che vi frega? Il problema centrale è il counseling esercitato da non psicologi…

E’ dicendo “aprirsi spazi di mercato” che si capisce a che cosa punta il suo discorso. Non sta parlando delle salute della persona o di relazione d’aiuto, a cui si dovrebbe ispirare il counseling, né di una pratica rigorosa comprovata da ricerca scientifica e ricerca clinica. Sta parlando di trovare un modo per avere clienti, tutto qui. Credo che li troverà, agguerrita come è. Ma da psicoterapeuta le suggerisco di riprendere al più presto la sua terapia personale, oppure soffriranno non solo i suoi clienti, magari sufficientemente corazzati, ma soprattutto il senso della sua storia personale.

Francamente non capisco cosa ci sia di male… Ma voi lavorate per la gloria? Io fortunatamente faccio un lavoro che mi piace e con il quale posso vivere. Trovo che chi sostiene di fare questo lavoro per vocazione, sia pericoloso. Voi psicologi vi lamentate di non avere lavoro, ma se vi parlano di aperture verso il mercati vi irrigidite. Qual è il problema? Come mai le professioni di aiuto, in Italia, hanno così problemi a rapportarsi con il denaro?

Salve a tutti,
discussione molto accesa! Nata da una profonda difesa da parte di ognuno nel dover difendere il proprio ruolo, se non ci fosse così tanta confusione nel capire quali siano le competenze dell’uno e dell’altro, non si dovrebbe neppure arrivare a ciò. Lo psicoterapeuta ha un ruolo, lo psicologo un altro, il counselor sta facendo quello che è competenza dello psicologo …. Parliamoci chiaro….
Ed è giusto tutelare lo psicologo che ha alle spalle 5 anni di università, 1 anno di tirocinio ed esame di stato, se non potesse fare niente a cosa servirebbe tutto questo? Perché, stiamo insinuando che lo psicologo non può fare niente se non spendere altri 4 anni di psicoterapia o decidere di fare un corso per diventare counseler !! Allora la facoltà di Psicologia, scusate, perché esiste?
Un caro saluto a tutti!

La situazione paventata da Virginia la ravvedo solo in Italia. All’estero (usa,inghilterra,germania,francia) ci sono delle distinzioni con dei confini che reggono tra le varie discipline che si prendono cura della persona. Il medico ha i suoi compiti e non invade il campo degli psicologi. E non nascono tutti i mestierini che nascono in italia. Non e’ colpa solo degli psicologi. E’ la mentalita’ italiana. Come ho detto sopra in ogni ramo del sapere i cui confini non sono chiari,in ogni legge che viene emanata che lascia adito a interpretazioni si infiltra “un” italiano che cerca di infilarcisi per crearsi una nicchia di mercato dove ergere un monopolio. E’ un problema sociale diffuso. Mi fa’ ridere Virginia,che incolpa gli psicologi dei loro “fallimenti”,perchè lei e’ anche consuellor,cosi’ guadagna sia da consuellor sia da futura psicologia. Da quale pulpito viene la predica. Colei che sta trasformando le professioni che dovrebbero aiutare il prossimo per “vocazione” in una molpeplicita’ di fonti di reddito si arroga il diritto di bacchettare i suoi colleghi. Gioca all’attacco virginia,perche’ sa’ di avere la coscienza sporca allora denigra gli altri per non ammetterlo a se stessa. Una moderna volpe che non arriva a mangiare l’uva e dice che tanto era acerba. Beh io ho idee diverse. Se riusciro’ a laurearmi non ho intenzione di trasformare il mio studio in un santuario o di trovare 1000 modi per guadagnare. Sogno al contrario di mettere a disposizione il mio sapere e la mia opera a piu’ persone possibili. Perche’ so’ che molte persone vengono curate da psichiatri in modo sbagliato. Avrebbero bisogno di sedute psicologiche,ma non gli viene spiegato. Inoltre non se le potrebbero permettere,visto quello che costano. Gli psichiatri li impasticcano e gli succhiano via la vita. E’ in questi versanti che bisogna lavorare. Bisogna spingere sulla figura dello psicologo di base che lavora a fianco del medico. Le radici sulle quali si fondano le scienze psicologiche sono abbastanza solide per ammettere che non c’e’ spazio per altre piccole discipline. Il problema non sussiste dal punto di vista teorico pratico,ma si pone dal punto di vista culturale e politico. Già. I mali tipici e cronici dell’italietta.

Dice molte cose ragionevoli e sensate, glielo riconosco. Ma non cada nell’errore di fare di tutta l’erba un fascio anche se la situazione italiana è oggettivamente molto critica, regredita rispetto al passato (pensiamo solo alla legge Basaglia). Ci sono anche psichiatri che comprendono che il senso del loro lavoro non è nell’imbottire di farmaci i pazienti, e di solito sono quelli che non diventano famosi, ma che lavorano in tante piccole e grandi realtà italiane.

caro Mario, nessuno ti dirà qual’è la differenza tra un counselor e uno psicologo né tra uno psicologo e uno psicoterapeuta semplicemente perchè nessuno è in grado di farlo se non marcando artificiosi e artificiali confini territoriali che dimostrano semplicemente che la maggioranza degli operatori della salute mentale non ha la minima capacità di mettersi realmente dalla parte di chi soffre. Per fare queuesto mestiere e vivere di esso, occorrono due cose: una predisposizione personale (da sviluppare con un percorso terapeutico personale) e un’adeguata formazione. La scelta dell’approccio su cui formarsi è cruciale e deve essere improntata alla ricerca della massima efficenza che è data dal rapporto tra risultati ottenuti e numero di sedute effettuate. Personalmente ritengo che l’approccio sistemico detenga il più elevato coefficente E (efficenza) dato da R/N (risultati su numero di incontri).

Caro Mario, non trovi un po’ presuntuoso avventurarti in interpretazioni? Non siamo in una seduta… lasciamo la razionalizzazione agli psicoanalisti… Io non ho alcuna intenzione di fare la psicologa, da grande. Ho scelto di prendere una seconda laurea per mio interesse personale. E le vocazioni le lascio volentieri ai preti. Di certo non devo vergognarmi di mantenermi con il mio lavoro. Quanto alla tua, di vocazione, mi verrebbe da consigliarti di fare una buona analisi…: studi, santuari, 1000 modi per guadagnare… secondo me hai le idee un po’ confuse. Fai quello che ti senti di fare, ma soprattutto consenti agli altri di fare altrettanto. La psicologia ha sempre avuto seri problemi a raffrontarsi con il denaro… e il tuo post ne è un esempio eclatante.

Se fossi un’assistente sociale, un’infermiera o un’insegnante farei sicuramente una scuola per counselor al fine di sviluppare e accrescere le mie competenze professionali, perchè credo e investo nel mio lavoro. Forse la farei anche se fossi una psicologa non psicoterapeuta. Nulla in contrario verso le scuole di counselor, ancor più se offrono strumenti e conoscenze per migliorare gli aspetti interpersonali e comunicativi. Altra faccenda è l’abusivismo professionale che deve essere regolato dal punto di vista legislativo. Apprezzerei molto di più una proposta di legge meno “difensiva” e più costruttiva (non è forse questo uno dei problemi di fondo del nostro parlamento?)che definisca l’appropriatezza di ruoli, funzioni e ambiti di intervento alla luce del recente fiorire di variegate scuole e realtà (inclusa la fantomatica “pedagogia clinica”).

Concordo pienamente! Alcune associazioni professionali di counseling chiedono da anni una regolamentazione. Perché i veri danni sono fatti da coloro che sfornano counselor in 3 giorni e a distanza. E se poi vai a guardare… gli inventori di queste “scuole” sono psicologi…

Sarebbe così se effettivamente il counseling fosse una opzione di perfezionamento di professioni già esistenti, come lei dice; attualmente il counseling si propone invece come professione a sé, accessibile dopo gli studi superiori sulla falsariga dell’equivalente etichetta anglosassone. E’ evidente che qualcosa non va: in Italia è stata importata l’etichetta, non il concetto del counseling, tranne forse in qualche scuola seria. Anche io sarei favorevole ad esempio a corsi e scuole di perfezionamento per infermieri, insegnanti o comunicatori aziendali, se progettate in modo serio e con precisi limiti. Ma questa figura risulta ancora piuttosto ambigua: sarebbe una sorta di “addetto alle relazioni con il pubblico” o “con l’utenza”?

Giusto…ma lo sapete che per accedere ad una qualsiasi scuola di counseling (anche quelle serie) è sufficiente avere un qualsiasi diploma di scuola superiore? alberghiero, ragioneria…qualsiasi!!! perchè lo chiamate master? non è un master, al quale si accede dopo una laurea di primo o secondo livello!è una formazione alle metodologie ma priva di contenuti, è come insegnare a guidare senza dare nozioni di geografia…dopo dove vai? e soprattutto, dove porti il cliente?

Mi permetto una nota tecnica.Esistono anche i master aperti a laureati e non laureati. Per i primi avranno valore appunto di master e per i secondi saranno scuole di perfezionamento.Le scuole di counseling serie si pongono in questi termini hanno durata triennale 1500 ore di cui 900 d’aula ed il restante in tirocinio e supervisione di gruppo o individuale.

scuole di perfezionamento di che? dell’ITI, dal quale si può accedere (e pagare) ad una scuola di counseling?

Concordo pienamente. Considererei anche un’altro punto che riguarda le scuole di counseling. La maggioranza delle persone che frequenta la scuola lo fa per utilizzare delle competenze di counseling nella professione che già svolge (assitenti sociali, mediatori culturali, addetti alle relazioni con il pubblico, futuri diplomatici, insegnanti, educatori per cui anche semplici genitori, personale ospedaliero, addetti alla sicurezza… ecc. di professioni che si giovano di apprendere capacità empatiche, di gestione dei conflitti, di mutuo aiuto (il counseling nasce dai gruppi di mutuo aiuto)sono molte. Su venti diplomati all’incirca 3-4 faranno la professione, di solito questi sono anche laureati (personalmente conto una prevalenza di laureati nei corsi ed un’aumento di psicologi che richiedono tali competenze). Credo che sia buono individuare lo spazio d’azione del counselor pur mantenendo aperta la formazione perchè significa proprio poter lavorare a livello di prevenzione del disagio diffondendo modalità sane di relazione e di comunicazione. Credo anche che ci sia una relazione tra il benessere di alcuni Paesi europei ed extraeuropei e la diffusione del counseling.

IL benessere sociale viene tutelato dall’assistente sociale. Il benessere psicologico dallo psicologo e quello fisico dal medico. Cosa c’e’ di cosi’ poco chiaro ? Non c’e’ spazio per una nuova figura che si sostituisca a quelle sopra menzionate. Ma c’e’ spazio per creare delle figure che siano delle scuole di pensiero o che dipendano da quelle maggiori. I fondatori del comportamentismo,del funzionalismo,della gestalt etc e i loro seguaci non si arrogavano mica il diritto di essere la psicologia. Entravano in conflitto con gli esponenti di altre scuole,e’ vero,ma ci collaboravano anche e ogni scuola si metteva sotto l’unico ombrello della psicologia,pur mantenendo una identità ben precisa. Motivo per il quale non credo sia giusto chiamare master i corsi per diventare consuellor. La definizione di master assume il senso di essere una scuola di perfezionamento da fare dopo aver conseguito la laurea in una scuola che ha un valore maggiore. La definizione e’ errata e serve per attirare clienti e generare business. La decisione da prendere e’ se assoggettare il consuelling all’area psicologica o a quella sociale. Secondo voi quale area le se addice meglio ?

Come dicevo prima, il counseling a mio avviso si colloca in una dimensione sociale, al limite potremmo definirla “psicosociale”, ma nel senso di fornire orientamento e indicazioni operative, nulla più; diverso anche dagli assistenti sociali, che hanno il compito di prendere decisioni con impatto diretto sulla vita delle persone. E’ evidente che il counselor deve avere conoscenze di pedagogia, sociologia e psicologia, ma su una base professionale già definita (es. infermiere, insegnante, educatore, psicologo stesso ecc.).

Concordo, questo sarebbe fantastico! ma purtroppo non è così, e molti fanno il counselor proprio senza avere alle spalle nessun tipo di formazione a parte un diploma, confondendo le idee alle persone…di solito dicono” il counselor è più friendly, con lui ti puoi aprire e parlare, mentre lo psicologo è troppo tecnico, sa troppe cose”…sto citando, non inventando!

Ma non vi rendete conto di quanto influisce l’economia sulla mentalità delle persone ? sulle scelte che vengono fatte ogni giorno da ognuno di noi ? Influisce moltissimo,anche e soprattutto nelle scelte che vengono fatte nei riguardi delle persone che soffrono. Sono del parere che ci debba essere una misura per ogni cosa. La vita ascetica non va bene. Una mente troppo focalizzata verso il guadagno non va bene. Trasforma il carattere in modo troppo egocentrico. Personalmente mi accontenterei di guadagnare il giusto per stare benino. Se dovessi guadagnare più soldi li investirei nel cercare di far uscire il lavoro dello psicologo dal santuario dove attualmente risiede in modo che possa diventare accessibile x una massa maggiore di persone. Anche perché molti psicologi si credono Dio in terra. Sono questi 2 atteggiamenti e modi di essere i limiti maggiori di questo lavoro che nel corso degli anni gli hanno rosicchiato molti ambiti che dovrebbero essere di sua esclusiva competenza.

Ci sono cose che non accadranno mai: che una scuola di psicoterapia reputi non idoneo un allievo, che paga migliaia di euro all’anno, a diventare terapeuta; che un trainer, un counselor, un coach, uno psicologo, uno picoterapeuta, uno psichiatra, improvvisamente, durante un colloquio, si alzi di scatto e dica: ‘mi scusi ma non sono adeguatamente formato a trattare questo problema che lei mi sta portando’; che una persona che sta male, psicologicamente, esistenzialmente male, si faccia prima un’idea chiara sulla differenza tra un counselor e uno psicologo, tra uno psicologo e uno psicoterapeuta e sui diversi approcci esistenti e poi chieda aiuto. Riuscite a capire questo? Lo spero.
Propongo un enorme campo di concentramento per tutti quelli che si dichiarano idonei a trattare la sofferenza mentale, me compreso, e una successiva selezione basata sulla supervisione, da parte di una commissione di terapeuti di livello internazionale, di tre colloqui videoregistrati, uno individuale, uno di coppia e uno familiare. Siccome anche questa cosa non succederà mai, sarà il mercato a decidere, ovvero la legge della giungla: chi vive di questo mestiere è anche bravo a farlo. Un saluto a tutti

Idea un po’ radicale la sua, ma se dicessimo invece che occorre un maggior “concentramento di forze”? Personalmente ho già visto qualche scuola respingere candidati non idonei per evidente psicopatologia e nel lavoro succede, se si è corretti, di inviare ad altri professionisti. Ovviamente non ci sono solo i santi. L’aspetto importante invece che lei mette in luce è che occorre una maggiore cultura e informazione pubblica, anche attraverso le figure professionali di base (ad esempio il medico di base) e senz’altro in tal senso sarebbe opportuno (ma si vedrà mai?) la figura dello psicologo di base che potrebbe svolgere proprio una funzione di “counseling psicologico” di primo livello (e qui le competenze dovrebbero essere elevate, non scarse, per non creare aspettative illusorie). Purtroppo per ora la vedo ancora lontana…

Ognuno del suo corpo fa quello che vuole, ognuno sceglie da chi farsi tutelare

Da Wikipedia

Mortificazione corporale

Come è d’uso tra i membri numerari di sesso femminile dell’Opus Dei, dorme quotidianamente su una dura tavola di legno, come lei stessa, interrogata, non ha smentito, praticando la mortificazione corporale[3][21] suggerita dall’Opus Dei per i suoi numerari, donne e uomini, ossia indossare, a propria discrezione, un cilicio sulla coscia, e praticare, sempre a propria discrezione, l’autoflagellazione con un frustino di corda chiamato anche tradizionalmente “disciplina”[21].

Paola Binetti ha recentemente giustificato l’uso del cilicio asserendo che esso “ci costringe a riflettere sulla fatica del vivere, è il sacrificio della mamma che si sveglia di notte perché il bimbo piange”[21].

Solo una piccola precisazione deontologica. Il cliente del counselor è di norma sempre informato in quanto ha l’obbligo di sottoscrivere il consenso informato oltre alla normativa sulla privacy. Nel consenso informato è evidente che il counselor non cura e che se riscontra una situazione da lui non affrontabile invia ad altra figura professionale. Su questo aspetto etico (almento nella nostra scuola) si insiste molto, poi, entrare nelle coscienze individuali non è semplice immagino neanche per altre professioni. Per quanto riguarda il bilancio delle competenze di un counselor, queste sono diverse rispetto lo psicologo. E’ una figura che ha competenze miste, diremo olistiche di tipo sociale, pedagogico, psicologico, empatiche e comunicative ma soprattutto nel percorso è necessario per un counselor aver lavorato su di sè e sulle proprie barriere al contatto. Inoltre, il diploma di qualifica di counselor non è a vita. Se il counselor non continua a formarsi accumulando crediti formativi, il suo titolo decade. Questo porta ad una sorta di selezione perché in genere chi spende per formarsi è chi anche vive di questo lavoro, e chi riesce a vivere di questo lavoro di solito non è poi così male. Questo è il sistema che l’Europa già adotta da molti anni e l’Italia fa parte dell’Europa. Non abbiamo poi considerato abbastanza quanto ognuno di noi paga con le proprie tasse per mantenere gli ordini professionali in quanto mi risulta che l’Italia a causa del suo non adeguamento riguardo la normativa sulle professioni continua a pagare delle penali salte. Vorrei che il nostro Paese diventasse più europeo per non vedere a malinq

Solo una piccola precisazione deontologica. Il cliente del counselor è di norma sempre informato in quanto ha l’obbligo di sottoscrivere il consenso informato oltre alla normativa sulla privacy. Nel consenso informato è evidente che il counselor non cura e che se riscontra una situazione da lui non affrontabile invia ad altra figura professionale. Su questo aspetto etico (almento nella nostra scuola) si insiste molto, poi, entrare nelle coscienze individuali non è semplice immagino neanche per altre professioni. Per quanto riguarda il bilancio delle competenze di un counselor, queste sono diverse rispetto lo psicologo. E’ una figura che ha competenze miste, diremo olistiche di tipo sociale, pedagogico, psicologico, empatiche e comunicative ma soprattutto nel percorso è necessario per un counselor aver lavorato su di sè e sulle proprie barriere al contatto. Inoltre, il diploma di qualifica di counselor non è a vita. Se il counselor non continua a formarsi accumulando crediti formativi, il suo titolo decade. Questo porta ad una sorta di selezione perché in genere chi spende per formarsi è chi anche vive di questo lavoro, e chi riesce a vivere di questo lavoro di solito non è poi così male. Questo è il sistema che l’Europa già adotta da molti anni e l’Italia fa parte dell’Europa. Non abbiamo poi considerato abbastanza quanto ognuno di noi paga con le proprie tasse per mantenere gli ordini professionali in quanto mi risulta che l’Italia a causa del suo non adeguamento riguardo la normativa sulle professioni continua a pagare delle penali salte. Vorrei che il nostro Paese diventasse più europeo e più civile per non vedere i migliori tra i miei studenti dover scegliere altri Paesi. una buona giornata a tutti.

Aggiungo solo una cosa (poi taccio e mi scuso se vi tedio troppo). Le norme suddette valgono per i counselor iscritti alle associazioni di categoria a loro volta poi iscritte al Colap. La discriminante più importante a garanzia dei clienti è proprio quella che illcounselor sia certificato da una associazione di categoria che ne garantisce la formazione di base e quella continua e rilascia il tesserino che dovrà mostrare al cliente assieme ai suddetti documenti di tutela. Anche per noi tale garanzia ci tutela da equivoci derivanti da alcune offerte formative poco professionali.

D’accordo, però capisce anche lei che non è con un tesserino che si risolve la situazione. Ci sono titoli che hanno ancora un valore legale e la laurea è uno di questi. Potrà non piacere la cosa, ma finché è così dobbiamo prenderne atto.

Scusate, ma vorrei ricordare a tutti che , oltre la laurea, lo psicologo deve fare un esame di stato dopo 1000(mille) ore di tirocinio che seguono una formazione complessiva per 300 cfu, due tesi e due tirocinii pre-laurea per complessive altre 700 (settecento) ore. Tale iscrizione all’albo impegna lo psicologo ad attenersi ad un codice deontologico, voluto dalla legge proprio perchè il rapporto con il cliente è asimmetrico, in quanto il cliente NON è in grado di giudicare della bravura dello psicologo (non stiamo parlando di psicoterapeuta, il quale per poter esercitare la psicoterapia, dopo tutta questa formazione, deve ancora seguire 4 (quattro) anni di ulteriore formazione incluso il lavoro su di sè e a proprie spese, benchè obbligato dalla legge e dal codice deontologico che interviene in nome dei cittadini proprio per tutelarli. Come si può affermare che un ragazzo di 23 anni, uscito dall’alberghiero o da ragioneria, che abbia seguito poi per tre anni nei weekend la formazione da counselor e diventato così professional counselor possa occuparsi della mente delle persone e del benessere psicologico/sociale o quant’altro?come purtroppo tanti fanno e basta andare nelle asl, dove per mancanza di tutto accettano addirittura i tirocinanti (sic) counselor? ma non è meglio allora un ragazzo che si è fatto almeno una laurea di primo livello in educatore psico sociale, con svariati mesi di tirocinio etc? lo dico anche per i counselor, che spendendo meno (molto meno) avrebbero una preparazione più seria e un titolo di studio che oltre ad essere riconosciuto, un domani permetterà loro di fare un master di primo livello (uno vero) oppure di proseguire con una magistrale… e sarebbe bene fare chiarezza, e che gli utenti si rendessero conto di questo, non è affatto vero che l’avere tanti clienti è segno che si sta promuovendo la salute…o vogliamo parlare di McDonald???

Diciamola tutta: il counselor per come viene proposto oggi nel nostro paese è una pseudoprofessione, non una vera professione, per cui occorre tutelare sia gli utenti che gli stessi incauti che vengono spesso illusi da proposte poco serie. Come scrivevo in un altro commento, siamo nel campo della personalità “come se”, di cui purtroppo oggi abbiamo vasta conoscenza. Mi viene in mente Zelig quando imita la sua psicoanalista.

Dobbiamo anche predere atto che il mercato del lavoro sta cambiando e questo non vale solo per gli psicologi. Non trovo corretto per me spendere per mantenere gli ordini professionali. Questo non vuol dire non avere normative ma averne di più europee. Io sogno un Paese dove chi è bravo lavora e vince i concorsi chi no sta a casa. I tanti psicologi bravi che si sono formati e continuano a farlo non hanno nulla da temere dalle nuove professioni. ma non trovo nemmeno giusto che tutti : counselor, mediatori, pedagogisti, magari anche i sociologi debbano non esistere perchè ci sono gli psicologi che fanno ogni cosa. Mi sembra un po’ eccessivo. Dice il saggio: chi conosce se stesso non teme l’Altro e non proietta la propria Ombra sul nemico. Perchè notoriamente chi è senza Ombraè colui che ha venduto l’anima e per ritrovarla dovrà abbracciare il suo nemico che la possiede. Un abbraccio di cuore e buona notte

Mah, belle parole. A proposito di proiezione d’Ombra sul nemico il saggio mi dice: “Conosci il tuo nemico”. E com’è che lei risulta omonima di una certa Elisabetta Damianis dell’Istituto di alta formazione Lionardo di Gorizia e moglie di Daniele Ungaro, docente di Sociologia e rinviato a giudizio per contraffazione e truffa nell’ambito della vicenda delle “lauree facili” erogate dall’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara agli iscritti del sindacato di polizia Siap? Voglio credere a una coincidenza…

Guardi, io ero realmente intenzionata a smetterla con le polemiche, perchè dedico la mia vita allo studio della risoluzione dei conflitti e all’incontro con l’alterità, potrebbe leggere alcune mia pubblicazioni a proposito. Se avessi voluto nascondere qualcosa di me mi sarei chiama per esmpio Dada. Ma non amo farlo, sia io che mio mairto amiamo in primo luogo il rapporto con noi stessi e l’onestà. Lei cita (volendo appositamente ferire, grazie mille) qualcosa che si è conclusa anni fa con l’assoluzione piena perchè il fatto non sussist, come ho già detto abbiamo molte leggi ma siamo lontani dalla giustizia che spesso non si fa nei tribunali ma sui giornali. Essendo fatti conclusi ed assendoci ain atto delle couse di risarcimento danni chiunque citi questo su internet e passibile a sua volta di denuncia per diffamazione. Buona giornata, signora perfetta.

Be’. se è stato assolto mi scuso, online non ne ho trovato notizia. Buone cose anche a lei.

Una domanda, come mai secondo voi su coach e formatori non si è ancora espresso nessuno?

A tal proposito vi segnalo anche la scuola europea di alta formazione che è arrivata alla sesta edizione del master in coaching.

http://www.cestor.it/orientamento/coaching.htm

Loro dichiarato di essere l’unica scuola di formazione titolata a conferire a fine corso (6 mesi) un titolo di coach legalmente riconosciuto in Italia.

Mi chiedo come questo sia possibile?!
Loro sostengono che essendo un’università privata tutti i pezzi di carta rilasciati hanno valore legale. E’ diventato veramente così semplice?
Bisognerà comunque vedere all’atto pratico che vantaggi può portare un master in coaching.

Buona giornata

Cristian

Ma siamo sicuri che sia “a valore legale”? Vedo dal loro sito che l’unico accreditamento è presso una associazione per l’orientamento “patrocinata” (le virgolette non sono mie) da un’altra associazione per la formazione di consulenti di outplacement. A parte il Labirinto borgesiano in cui internet ci immette, e su cui varrebbe la pena che gli psicologi fossero un po’ più critici, magari cercando di usare meglio internet, non peggio, mi sembra che dovremmo essere un po’ più vigili di fronte a queste proposte che spuntano come i funghi sulla rete e che si autoaccreditano tramite tanti bei giri di parole. Sappiamo tutti che con le parole si possono suggestionare le persone, non necessariamente gli allocchi, ma proprio quelle che hanno una loro sensibilità psicologica. Ricordo infine a tutti che esistono delle istituzioni certe non perché si autorizzano da sole, ma perché rimandano a un Terzo intersoggettivo (gli organi dello Stato, di cui l’Ordine fa parte, sono una di queste); poi esistono pseudoistituzioni, come esistono pseudoidentità e personalità “come se”, camaleontiche e ambigue, ma senz’altro poco affidabili.

Vedere che, ancora nel 2012, si fa leva sullo spauracchio del valore legale del titolo di studio (esistente ormai solo in Italia e poco più) e si sceglie un corso su questa base, è veramente triste. Fino a quando le categorie professionali continueranno a voler rimanere protette, non avranno spazio nel mercato del lavoro. Poiché il mercato oggi seleziona con criteri diversi rispetto a 30 anni fa. Trovo triste tutta questa polemica. Anziché confrontarsi sul campo si cerca riparo sotto l’autorità ordinistica o, peggio ancora, della “mamma” Stato. Ancora nel 2012 si pretende che, siccome ci si è laureati e iscritti ad un Ordine, il lavoro è un diritto acquisito. Se davvero pensate che (riassumo gli interventi precedenti) un counselor con una manciata di ore di formazione rubi lavoro ad uno psicologo con ore e ore di studio alle spalle, di tirocinio, di esame di Stato, di iscrizione all’Ordine, etc. etc., allora siete messi proprio male e dovreste pensare seriamente a rivedere tutto il vostro iter professionale: dall’Università all’organizzazione ordinistica. Se un’azienda preferisce un coach ad uno psicologo del lavoro, la ragione non sta di certo nel nome più esotico…

No, ha ragione! Eliminiamo i corsi di laurea e facciamo si’ che chiunque possa scegliere la professione che più gli aggrada! Mi sa che faro’ il veterinario da oggi in poi, ho anche letto qualche libro sugli animali! Ma mi faccia i piacere, come direbbe Toto’!

Ma sì, è semplice, non bisogna fare causa ai counselor, ma tutti gli psicologi devono mettersi a fare i counselor. Invito l’Ordine a un’azione “situazionista”, cioè accreditare tutti gli psicologi come counselor e così diventiamo tutti fratelli 😀

Dato che mi hanno detto che potrei essere frainteso, cerco di spiegarmi meglio. Mi sembra che la situazione sia assurda: ci sono cosiddetti “counselor” (ma come loro anche altre diciture simili, importate dall’estero) che si arrogano il diritto di difendere una presunta professione che non ha alcuna definizione consensuale in concorrenza con gli psicologi. Esiste un’Ordine professionale che non sta attuando una politica seria nei confronti di questi abusi – mi immagino che cosa farebbe l’Ordine dei medici o degli avvocati in situazioni simili – e quindi gli psicologi sono “presi in giro” sia dall’istituzione che dovrebbe rappresentarli che da coloro che sfruttano una posizione di mercato in modo truffaldino (un po’ come quei vu’ cumprà che si piazzano fuori dai negozi di abbigliamento e vendono i capi taroccati). Questa situazione mi sembra totalmente ridicola e paradossale: conoscendo il sistema Italia non stento a credere che le cose potrebbero andare avanti in modo interminabile, visto che tutto in Italia è “gattopardesco”. Quindi, proponevo una soluzione che tenga conto dell’assurdità del problema: propongo di invitare l’Ordine a fornire a tutti i laureati triennalisti l’accreditamento a counselor – visto che non è un titolo riconosciuto chi può contestarne i diritti? – dietro semplice richiesta spontanea del laureato – un po’ come accade agli psichiatri che se lo chiedono possono freqiarsi del titolo di psicoterapeuta. Credo che in questo modo, nel giro di poco tempo, il mercato sarebbe saturato di semplici “counselor” e di professionisti “psicologo con funzioni equipollenti di counselor” ( o qualsiasi titolo suoni adatto), così improvvisamente la situazione si rovescerebbe: non counselor che abusano della loro posizione ambigua per entrare scorrettamente nel mercato della psicologia, ma psicologi che con un semplice atto formale “restituiscono” il favore azzerando la moda del counselor. Senza tanti patemi per tutti, senza dover aspettare pronunciamenti di tribunali o insperati aiuti da parte del parlamento. Credo che basti studiare un po’ la cosa e la si può realizzare, in modo tale che dall’oggi al domani ci siano qualche DECINA DI MIGLIAIA di psicologi che sono anche counselor sul mercato. Voglio vedere se a questo punto i sedicenti counselor non si trovano nella situazione di dover mostrare che carte hanno in mano. Scusate il lungo sfogo, spero che sia chiaro quello che intendo: difendiamoci correttamente, ma non facciamoci prendere in giro.

Io penso pero’ che in questo modo screditiamo la nostra figura di psicologi e ci equipolliamo noi stessi ai Counselor, come se fossero un gradino sopra… In realtà e’ esattamente il contrario!

Se il lavoro di counselor è un lavoro che è in grado di fare lo psicologo, non vedo nessuno screditamento; se siamo in grado di fare il lavoro di un counselor allora basta essere chiari, dicendo che lo psicologo è in grado di fare anche il lavoro di counselor, quindi è ipso facto counselor proprio perché è già psicologo. Il problema è puramente nominale e questo alimenta un certo atteggiamento snob degli psicologi (commento di qualche tempo fa sentito da un noto dirigente sanitario: “come mai gli psicologi sono tutti così narcisisti?”) . Il punto è semmai un altro: la professione di psicologo non gode di buona reputazione nella nostra società, come mostrano le ricerche che ci piazzano di poco sopra agli agenti immobiliari.

Sono daccordo,Davide è secondo me geniale e anche un po’…zen?
Avendo una triennale in psicologia (in corso di laurea magistrale) oltre ad altri titoli di studio (riconosciuti!), io dichiaro già di fare counseling con tecniche non verbali (non psicologiche, non test etc, ovviamente, che tengo per dopo l’esame di stato)
In fondo, se gli psicologi non sapessero anche fare i counselor, i coach etc, che bisogno ci sarebbe di chiamarli ad insegnare nelle scuole di counseling?
La proposta di Davide è l’unica praticabile, nessuno può vietare a nessuno (neanche alla parrucchiera!) di dichiarare che fa attività di counseling, quindi…che aspettiamo?

Buongiorno,visto che siamo in Europa e che in Italia siamo nel 5 mondo,vorrei informarvi che in Francia anche un non laureato puo effettuare la psicoterapia privata….detto questo potrei ancora dirvi che nel resto d’europa per esssere counselor nn c’e’ alcun bisogno di laurea specifica!Anche il mio parrucchiere con sole 12 euro di tsglio e cucito fa da counselor…magari lui nn lo sa…ma di fatto se ci pensate bene e’ cosi!Se poi come al solito in Italia invece di andare avanti e di allinearsi agli altri paesi europei si va sempre dietro….va bene cosi!DALTRONDE nei paesi anglossasoni chi e’ capace e sa fare guadagna e fa……in Italia no.Si parla di tutela degli pscicologi,ma scusatemi in quanto psicologi nn siete capaci a tutelarvi da soli?Gia questo dovrebbe far pensare e riflettere…..il pezzo di carta in alcuni casi non sempre e’ sinonimo di qualita……..

Lasciamo tutto nelle mani del mercato ? tanto il mercato e’ capace di regolarsi da solo ?
Chi sa’ fare le cose va’ avanti,chi non le sa’ fare rimane indietro ? Tanto ci pensa la selezione naturale ? Il parrucchiere non fa’ da consuelor,applica la psicologia del senso comune (aka kiakkiere). E non e’ la stessa cosa. Tutelarsi da soli e’ un ottima scelta,non lo e’ quella di tentare una professione senza avere le adeguate conoscenze. Non lo e’ dire : intanto ci provo,o la va’ o la spacca.

In linea di principio, il suo è un punto di vista che mi appare irricevibile, come ben mette in evidenza Felicioni. Applicherebbe la logica del “parrucchiere” a un ingegnere oppure a un medico? Si sentirebbe tutelato a vivere in uno stato dove chiunque (dicasi CHIUNQUE, come suggerisce lei), svegliandosi al mattino, sia autorizzato ad aprire studio in qualunque campo? Anche solo per aver fatto un qualche “corso” di formazione erogato non si sa da chi, sulla base di quali regole?
Inoltre, i riferimenti a quanto accade in altri paesi, andrebbero meglio approfonditi e contestualizzati, socialmente, storicamente e normativamente. Faccio un esempio di pura invenzione: magari in Finlandia, non sarebbe necessaria una norma a tutela di questa o di altre professioni, poiché diffusa immagino sia, in quel paese di cultura prevalentemente protestante, la capacità “istintiva” di dirimere ragioni ed interessi privati da ragioni e interessi pubblici. Non dimentichiamo, al contrario, che in Italia abbondano i furbacchioni, il pressappochismo e il “buonafedismo”. Vizi che possono spingere ad un arrivismo sfrenato, tanto più se auto-referenzialmente legittimato dal convincimento di operare “pro bono”. Credo sia un bene che lo Stato tuteli i cittadini da tutto ciò.
La prego, rifletta meglio, non è una battaglia corporativa, quella da cui ha avuto origine questa discussione; è un domandarsi se viviamo in un consesso organizzato o nella giungla (e poco cambia se quella giungla, umanizzandosi, assuma la più evoluta fisionomia del mercato).

Signor Sammartano devo intervenire perchè trovo la sua argomentazione priva di consistenza. Il paragone tra il mestiere di aiuto attraverso la relazione (uso volutamente una definizione ampia perchè trovo futili e fuorvianti le distinzioni che si fanno tra counselor, psicologi, psicoterapeuti ecc..) e tutti le altre professioni non è ammissibile. L’efficacia e l’efficenza terapeutica di un intervento, proprio perchè il principio attivo è la capacità di lettura, di ascolto e di intervento nella relazione con chi soffre, è funzione della maturità della persona che offre il suo aiuto, del grado di armonizzazione che, con dedizione, la persona è riuscita a raggiungere. Questo percorso può giovarsi di mille esperienze formative e soprattutto delle esperienze di vita. In forza di ciò è molto più probabile che la parruchhiera di buon carattere e con una ampia gamma di vissuti alle spalle possa essere una counselor molto migliore di un neolaureato poco più che ventenne ancora convinto che leggere alcuni libri di psicologia gli possa garantire la comprensione di sé stesso e degli altri.

Egregio Signor Carofoli, noto che lei non dà alcuna importanza, nel campo delle professioni d’aiuto, né ai titoli formali, né ai percorsi formativi dedicati, dal suo punto di vista equiparabili, per altro in senso deteriore, rispetto al “tirocinio” pratico che la considerata parrucchiera possa svolgere, sua sponte, tra uno shampoo e un taglio di capelli. I professionisti dell’anima, se mi passa il termine, sono per lei niente più che una compagine confusiva ricomprendente tutti coloro che, auto-referenzialmente, ritengano far parte dell’allegra compagnia. Quindi parrucchieri accoglienti, pescivendoli chiacchieroni, preti comprensivi, suocere accondiscendenti, boy scout caritatevoli ecc. Lei, ad onor del vero, ammette che si possa porre una questione di competenza (dove allude al fatto che qualcuno possa meglio di qualcun altro svolgere detta attività) ma non ritiene che un discorso sulla competenza sia articolabile in nessun altro modo che sulla base di criteri, deontologicamente, eticamente, metodologicamente piuttosto vaghi, che si richiamano alla “maturità” dell’esercente o al suo grado di “armonizzazione” personale. E, da questa analisi, naturalmente, giunge a considerare (come potrebbe essere altrimenti?) la mia argomentazione “priva di consistenza”. Certo.
Una sola domanda, prima di arrendermi definitivamente, al dilagante pressappochismo di cui lei mi pare un esponente di spicco: chi, nel suo “modello”, è deputato a valutare il grado di maturità o di armonizzazione personale dell’aspirante, al fine di legittimarne l’attività? Lei stesso? Una commissione nominata da lei? Dio? Allah? Il paziente, più o meno malcapitato? Ghandi? Mago Silvan? Chi? Oppure nessuno, giacché ogni valutazione le apparirebbe indigeribile, dato che potrebbe risultarne ingiustamente “danneggiata” quella parrucchiera verso cui lei sembra nutrire profonda stima?
Se lo ricorda il criterio di giustizia enunciato da Cetto Laqualunque? Vi sembra giusto, arringava la folla, che mia cugina non possa fare il primario in ospedale solo perché non è laureata in medicina? Vi sembra giusto, dico?

Ecco, non è che il suo modo di argomentare sa poi così diverso da quello del divertente Cetto …

Naturalmente non si può non essere totalmente e inequivocabilmente d’accordo con il sig Sammartano, a proposito delle assurdità del sig. Carofoli! A meno che non decidiamo di essere d’accordo sul fatto che il counseling sia la ” chiacchierata” che chiunque può fare e che in taluni casi può essere d’aiuto ma che e’ ben lontana da una terapia. La psicologia e la psicoterapia son ben altra cosa!

Elisa, ha mai letto un saggio di etnoantropologia? O visto un documentario sui sistemi di convivenza delle collettività non occidentali contemporanee? A chi si rivolgono le persone in difficoltà? Chi è lo sciamano? Il curandero? E’ un giovane ragazzo/a (come i tirocinanti che vedo nella struttura dove lavoro)? Che caratteristiche ha? Perchè solo da noi, un titolo cartaceo e non un riconoscimento della collettività definisce un prestatore di aiuto? Perchè solo da noi un adolescente inesperto delle cose della vita può occupare il ruolo di riferimento esistenziale per le persone in difficoltà? Sbagliano tutti gli altri? Non sarà che, qui da noi, la Techne ha spianato tutto? Non sarà che il nostro unico dio, il profitto, ci rende un tantino meno saggi?
Per non essere equivocato, non sono un primitivista. Ho, per necessità (nei servizi le risorse sono sempre meno e le persone in difficoltà sempre di più), fatto un lungo lavoro di vaglio e di selezione degli strumenti operativi e ho scelto quello, a mio giudizio, più efficente.

mi scusi se mi permetto, ma lei confonde gli operatori logici, and e or…benissimo se vogliamo dire che una persona non dovrebbe occuparsi di benessere psicologico prima di una certa età e (and) senza aver studiato a sufficienza…ad esempio, uno psicoterapeuta oltre ai titoli cartacei non può avere meno di 19+5+1+4=29 anni,il che comincia ad essere accettabile, mentre che io sappia non esiste un limite inferiore di età per accedere alla formazione da counselor, il quale può quindi avere anche 21 anni, oltre a non avere una formazione adeguata come in tanti hanno già detto…comunque credo che anche studiare costituisca un’esperienza formativa nella vita di una persona, non è poi così male!…secondo me apre la mente e le prospettive…persino gli sciamani studiano da giovani, infatti!

Signor Sammartano, lei ha colto la mia posizione solo per quel che riguarda la mia considerazione per i titoli formali, che è, in effetti, prossima allo zero. Per il resto mi attribuisce cose che non ho detto e delle quali, quindi non mi prenderò la briga della confutazione. Inoltre lei non adduce argomentazioni per confutare la mia frase che definisce come molto più probabile che che una parrucchiera che per 20 anni ha ascoltato una media di dieci persone al giorno e che abbia accumulato esperienze di vita vera che l’abbiano, oltre che spinta a volersi dedicare al counseling, a sviluppare una profondità e una sensibilità d’animo, abbia molte più probabilità di essere una buona counselor di un neolaureato in psicologia. Il professionista dell’anima (condivido abbastanza questa definizione) lavora, nella relazione, con un unico strumento: la sua persona (per una esaustiva definizione di cosa intendo per ‘persona’ La rimando ai lavori di Davide Lopez). Purtroppo la costruzione di questo strumento è un lunghissimo percorso, che non ha mai termine, al quale possono contribuire un enorme numero di fattori. Questo, per rispondere alla Sua domanda sulla valutazione, mi porta a ritenere che possano essere in grado di valutare l’efficacia di un trattamento solo coloro che abbiano raggiunto un livello maturativo-armonico della loro persona e, parallelamente, un elevato livello di destrezza nell’esercizio di quegli strumenti tecnici che il valutando afferma di utilizzare nel suo intento di cura. Non ho visto il film di Albanese ma ritengo che il suo personaggio sarebbe abbastanza scaltro da non ripetere un’argomentazione (equiparare questa professione a quella medica con la quale ha molte più differenze che affinità) già ampiamente confutata.

Riprendo a distanza di un mese la discussione e vedo che la lista degli interventi si è allungata.
Condivido la mia esperienza, che è attinente all’argomento.
Ormai diversi anni fa io mi sono iscritto contemporaneamente a psicologia come seconda laurea e ad un corso di counseling presso una scuola di quelle (udite udite!) che fa colloqui di selezione, che non accetta tutti solo per fare numero e soldi e che invita caldamente a seguire una propria psicoterapia.
Per me il corso triennale (poi diventato quadriennale: ho fatto l’anno integrativo sul counseling di gruppo) è andato di pari passo con i miei studi e l’ho concepito come parte integrante della mia formazione di psicologo.
Il percorso ha comportato la psicoterapia individuale e frequentissime situazioni didattico-esperienziali.
Dico la verità: né l’università, né i tirocini mi hanno dato l’esperienza e gli strumenti operativi che mi ha dato il corso di counseling per stare in una relazione d’aiuto.
Senza di quella, con tutte le mie lauree e attestati, mi sentirei professionalmente povero ed in inferiorità rispetto ai miei amici counselor inglesi col diploma tecnico di cui parlavo il mese scorso.

E veniamo ai miei compagni di corso: erano psicologi o aspiranti tali come me, una psicoterapeuta già formata, diversi insegnanti di scuola superiore o universitari, professionisti delle risorse umane, consulenti aziendali, religiosi….
Prevalentemente frequentavano il corso con l’idea di seguire un percorso di crescita personale e di fare meglio ciò che per mestiere facevano già.
L’idea di fare del counseling in sé una professione autonoma era davvero residuale. L’idea di fare concorrenza agli psicologi era decisamente assente: il corso metteva in chiaro da subito e per tutta la sua durata la differenza tra gli interventi.
A distanza di anni ho potuto constatare che questo è stato l’effettivo percorso post corso: chi di loro ha fatto qualcosa della propria formazione ne ha fatto qualcosa all’interno del proprio ambito professionale, così come io (prima di diventare psicologo) ne ho fatto qualcosa nell’ambito della formazione professionale.
Mi è personalmente capitato di offrire un supporto esperto a diverse persone in difficoltà e quando la cosa ha richiesto un intervento di tipo psicoterapeutico li ho inviati a terapeuti di mia fiducia. In quei casi il counseling ha fatto sì che persone tendenzialmente non inclini ad intraprendere una psicoterapia (di cui avevano bisogno) riconsiderassero la questione sulla base di un’esperienza positiva di relazione d’aiuto. Ha favorito l’incontro tra domanda e offerta di trattamento psicologico. So di miei compagni di corso che hanno fatto altrettanto.
Adesso sto frequentando una scuola di psicoterapia ed ho amici counselor che mi chiedono consiglio su clienti che vedono, per un eventuale invio a terapeuti di mia fiducia.
In questo senso vedo il counseling come un volano anche economico per la professione di psicologo-psicoterapeuta, anziché come un ostacolo.

Da tempo mi occupo di formazione professionale e risorse umane presso un’università, non sarò un genio ma un po’ di esperienza nella formazione alla relazione d’aiuto ce l’ho. Ho anche seguito un corso di counseling, un’edizione successiva del medesimo corso che ho seguito io, in qualità di tutor d’aula.
Alla luce di tutta questa mia personale esperienza mi sento di dire: la questione dei counselor così come impostata dall’interrogazione parlamentare è, secondo me, una questione mal posta.
Sì, non tutte le scuole di counseling selezionano all’ingresso ed offrono una formazione davvero valida, ma altrettanto si può dire per le scuole di psicoterapia.
Non è facendo la guerra agli altri che si ottiene la qualità della formazione, in casa degli altri o in casa propria.
Noi (e sottolineo NOI) abbiamo un problema grosso: la gente ci paga non perché siamo psicologi, ma perché gli risolviamo i problemi; e se non glieli sappiamo risolvere non mangiamo. Siamo psicologi affamati.
Come tutti gli altri professionisti? Sì, ma per noi è un problema perché la formazione degli psicologi in Italia somiglia un po’ troppo a quella dei filosofi accademici: in teoria dobbiamo sapere le ricerche sulla memoria, l’intelligenza, la coscienza, l’esperimento di Asch, ma all’esame di stato dobbiamo arrivare vergini. E’ un problema tutto nostro e che coi counselor c’entra davvero poco.
Anzi, io vedo le scuole di counseling (quelle serie) soprattutto come un volano di formazione esperienziale.
Per insegnanti, consulenti aziendali, HR e quant’altro sono una formazione che migliora la qualità del loro lavoro.
Per psicologi, oltre alla medesima formazione declinata con strumenti concettuali più approfonditi, sono un’estensione capillare, in una società tutt’ora refrattaria alla cosa, di una cultura del prendersi cura di sé con strumenti psicologici.
Il counseling fiorisce negli USA tra le due guerre, con masse di reduci da “reinserire” nella società e la grande depressione economica che mette per strada masse di lavoratori. Gli psicologi hanno fornito competenze di base agli operatori che avevano il primo contatto con un’utenza troppo estesa per essere trattata dagli psicologi.
A me ricorda un sacco ciò che stiamo vivendo noi oggi in Italia.
Se un’infermiera in burn out, un piccolo imprenditore che ha in mente di impiccarsi e un ventenne che ha smesso di cercare lavoro e che non saprebbero o vorrebbero rivolgersi ad uno psicologo vengono “intercettati” da counselor che offrono loro un primo aiuto io non mi scandalizzo.
Un po’ mi scandalizzo se poi questi arrivano in seconda battuta ad uno psicologo che offre un aiuto uguale o inferiore a quello offerto dal counselor col diploma tecnico.
Se lavoriamo per dare solidità alla nostra formazione e distinguerla qualitativamente ci stiamo facendo un piacere. Pigliarsela coi counselor, ai fini di fare i nostri interessi reali è, invece, come sparare ai piccioni col cannone: inutile nel breve periodo e controproducente nel lungo, soprattutto se “vinciamo noi”.

Quanto all’uso abusivo degli strumenti psicologici vorrei sottoporre una mia convinzione: è lo psicologo/terapeuta che fa sì che uno strumento sia psicologico/terapeutico, e non il contrario.
Da ragazzino ai campi scuola ACR ho partecipato a role play condotti da preti non psicologi, e dilettandomi di teatro ho fatto esercizi emotivamente molto coinvolgenti condotti da attori non psicologi, che avevano la medesima forma di pratiche psicoterapeutiche.
Sono state esperienze memorabili e hanno contribuito alla mia formazione umana, ma poi ho riconosciuto una profondità differente quando quelle stesse pratiche le ho ritrovate nel mio percorso terapeutico.
Per contro ricordo il contesto assolutamente svaccato nel quale ho incontrato per la prima volta le macchie di Rorschach oltre vent’anni fa, in un’epoca in cui alla psicologia non ci pensavo proprio.
Siamo sicuri che noi vogliamo difendere il nostro mercato dicendo ai counselor “se parli col cliente va bene, ma se gli fai fare la sedia bollente devi essere psicologo”?
Per questo può risultare sì un po’ semplicistico il ragionamento di Carafoli sulla parrucchiera, ma trovo quantomeno che vada in una direzione utile alla riflessione.

Personalmente sono preoccupato per cosa sta diventando il mercato del lavoro nel nostro paese, di non dar da mangiare alla mia famiglia, di quanto è difficile vedere un futuro. Vedo che per quelli più giovani di me è anche peggio.
Siamo tutti preoccupati allo stesso modo? Forse il nocciolo della questione è tutto qui. E’ questa la scossa elettrica di Laborit che arriva comunque, con o senza counselor.
Ciao a tutti

Probabilmente siamo lo specchio della confusione che regna tra le persone circa cosa sia o non sia la psicologia e chi sia e chi no psicologo. Spesso mi capita di sentire persone che equiparano la nostra professione all’ascolto/consigli/pacca sulla spalla che chiunque può dare. Sarò in una giornata particolarmente buia, ma non vedo un gran futuro per la psicologia clinica. Siamo confusi noi, figuriamoci gli utenti! Tanti, troppi psicologi non lavorano, dopo anni di studi, formazione e corsi integrativi. Persone che si sono laureate con me anni fa e che sono iscritte all’Ordine, di fatto svolgono altre professioni (insegnante, infermiere, educatore, fisioterapista….

Mina, non vorrei che tu includessi me tra le persone confuse perchè su cosa sia la psicologia clinica e su cosa fa (dovrebbe fare) uno psicologo clinico ho le idee molto chiare dal momento che lo faccio tutti i giorni (e, devo dire, con un discreto successo di critica e di pubblico). Se sei interessata a chiarirti le idee, e, magari, a dare una svolta al tuo futuro lavorativo, vai sul sito della Scuola Sistemica Mara Selvini di Milano e clicca su materiali didattici per studenti, tra una sessantina di articoli, trovi ‘Terapia individuale sistemica con il coinvolgimento dei familiari significativi’ di Alfredo Canevaro et al. Questo è quello che ogni psicologo clinico, in special modo quelli come me che lavorano in un servizio territoriale, dovrebbero saper fare.

Gentile collega Carafoli, io opero nel settore da 20 anni. Il mio intervento era provocatorio’. A scanso equivoci preciso di essere psicoterapeuta e psicoanalista, perciò non ho bisogno di “chiarirmi le idee”. Saluti e buon lavoro

Fondamentalmente credo che Mina abbia ragione nel non vedere un gran futuro per la psicologia (clinica in particolare). Un lugubre scenario di tal fatta, in senso politico, discende direttamente dalla trentennale “attitudine” degli psicologi di inanellare, una dietro l’altra, scelte di politica professionale confusive, miopi o campaniliste (ogni gruppo o scuola per sé, dio – cioè nessuno – per tutti).
Sotto un profilo culturale, ciò è connesso con la mancata elaborazione di criteri condivisi e civilmente dibattuti che possano “ordinare” scientificamente la creatività dei singoli professionisti e dei gruppi cui appartengono. Ne deriva, in ciascuno, il convincimento che la propria opzione creativa sia l’unica ad avere fondamento certo ed autorevole e la concomitante sorpresa sconcertata nel trovare che altri la disconoscano.
Come dimostra la nostra stessa discussione, partita da un problema specifico e scivolata rapidamente su una serie di questioni ideologiche irrisolte che attengono i fondamenti della professione e i suoi confini. A mia memoria (e ne ho una discreta scorta, operando ormai da oltre 30 anni), non vi è quasi discussione tra gli psicologi che non si tramuti in uno scontro ideologico nel vuoto, cadenzato dal tentativo di ciascuno di imporre i propri “assoluti” a tutti gli altri. Lotte di fratria che riecheggiano e vagheggiano l’assenza di codici paternali in cui una intera comunità, allo stato caotica e indefinita, potrebbe finalmente riconoscersi e trovare quiete.
Credo che nessun gruppo umano possa fare molta strada in assenza di fondamenti generali condivisi a cui “appendere” la propria tradizione. Noi ci si trova in questa triste condizione, più o meno da quando esistiamo come professione, con un evidente ulteriore deterioramento collettivo negli ultimi dieci anni. Soprattutto, da quando si è reso evidente che la grande battaglia per la costituzione dell’Ordine professionale, su cui la mia generazione si infiammò e si impegnò enormemente, si è risolta nella costituzione dell’ennesimo moloch burocratico (in un mondo di moloch burocratici) sostanzialmente inutile. Dispendioso e inutile.

Ho appena finito di scrivere il mio precedente intervento e ne trovo ancora uno di Carofoli, con cui sembra essere “scoppiata” una incontenibile simpatia reciproca. Che ridere!
Caro Carofoli, non te la prendere se puoi, non scrivo per polemizzare all’infinito; ma questo tuo ultimo intervento è la prova provata di quanto ho sostenuto: tu, come tanti, sei così convinto dei tuoi fondamentali ( e sono certo che lo sei in buona fede assoluta, perché questo lo si intuisce anche e molto bene) che li proponi agli altri con il tono di chi dice: ma come? la verità è a un passo e non ti accorgi? Vieni nel nostro sito e ti si dischiuderà un mondo di luce che diraderà le tue ombre!
Capisco lo stato d’animo umano. Lo capisco perché tante volte l’ho attraversato anche io rispetto ai miei fondamenti. Posso dirti solo di essermi fatto l’idea che quella non è la strada. Essa porta ad una comunità di solitudini che non parlano, credendo illusoriamente di farlo.
Spero non ti secchi, perché non è quello il mio intento.

Caro Giuseppe, vedo che siamo passati al tu e lo considero un passo avanti, tu puoi chiamarmi Marco così eviti anche di sbagliare il mio cognome. Il suggerimento era per Maya, a chi ancora non ne ha trovato uno proprio mi assumo la responsabilità di suggerire questo del quale ho testato la validità. Per chi, come tu affermi di te stesso, ne ha già uno, l’esplicitazione dell’approccio non deve suonare ne come un tentativo di affiliazione ne come un confronto fallico. Il mio intento è quello di testare l’impianto teorico-pratico al fuoco di visioni diverse. Il tuo contributo è ben accetto, se mi persuadesse a cambiare approccio per uno più efficente lo farei senz’altro. La mia mail: marco.carafoli@live.it

Il dispositivo terapeutico che ho sopraindicato ha la forza, la completezza e l’efficienza tali da avermi indotto, oltre che ad adottarlo nella pratica professionale, a credere che possa essere la via per uscire dal desolante relativismo dove tutto equivale a tutto. Non so quale sia il Suo orientamento clinico, Signor Sammartano, ma la invito a consultare il testo succitato o, meglio ancora, il volume del medesimo autore ‘Quando volano i cormorani – Borla – 2009. Ovviamente questo non sposta di una virgola il mio convincimento che anche un dispositivo terapeutico con questi potenziali, in mano a persone che non abbiano raggiunto un considerevole sviluppo della propria personalità, non dà alcun risultato migliorativo. Al contrario, può dare esiti iatrogeni, anche se, data la complessità dello strumento ben difficilmente persone inidonee possono anche solo immaginare di farlo funzionare.

La discussione ha preso una piega sbagliata perché alcuni colleghi non hanno letto bene quello che c’era scritto sullo schermo. Probabilmente perché la pagina e’ diventata molto pesante da consultare. Pregherei il collega Piccinini di trovare un modo per rendere più agevole la lettura. Scorrete indietro i messaggi e vi accorgerete che :

1) E’ stato Salvatore C. a lanciare delle idee provocatorie,non il signor Carafoli
2) Il signor Carofoli non esiste. Esiste il signor Carafoli.

Più che grande, lungo!
Anche a me l’argomento counseling sta a cuore (ma in controtendenza rispetto alla maggioranza degli psicologi, pare) e mi è uscito un altro fiume.
Trovo che in Italia siamo bravi, quando scopriamo che uno fa il furbo sulle regole stabilite, a mettere regole ancora più rigide che vanno regolarmente a rendere la vita impossibile a chi le regole le ha sempre seguite, mentre i furbi bypassano comunque le regole nuove come facevano con le vecchie.

In FB non ho nomignolo, sono col mio nome: Ferruccio Gobbato. Ma ti avviso che la pagina FB non è aggiornata da anni, ed effettivamente ci dovrò mettere mano. Non ho ancora un gran rapporto con queste cose.
Se vuoi contattarmi scrivimi a ferruccio_g@yahoo.it: sicuramente lì ti rispondo in tempi rapidi, per essere un matusa. 🙂
Ciao

sapete come si esce da questa situazione del lavoro frammentaria e incerta italiana ? cedendo qualcosa. Come ha detto Beppe Grillo. Bisogna che siate disposti a rinunciare a un po’ delle vostre aspettative. E a un po’ del vostro stipendio. Dovete ricominciare o cominciare a parlare di psicologia. E dovete lasciar fuori dalla vostra mente le questioni economiche,pubblicitarie,di marketing. Non vi fate riempire troppo la testa da questa roba inutile. Ricordate chi siete e qual’e’ il vostro scopo nella vita : aiutare il prossimo. So’ che la maggiorparte di voi non la vede come vocazione. ok. ma almeno rispettate il giuramento di ippocrate. Sgomberate la testa e tornate a fare quello che vi piace di +. Studiare,parlare di psicologia. Pensate di meno ai soldi e alle carriere. Se non riuscite a fare questo,probabilmente avete sbagliato mestiere. Come si puo’ fare questo ? organizzandosi in cooperative. Bisogna fare delle cooperative di psicologi. Se lavorare da soli e’ una prospettiva attraente,perche’ stuzzica il vostro ego,e’ anche pericolosa perche’ puo’ farvi perdere di vista voi stessi. Inoltre con questa crisi econoica e culturale in italia cercare di lavorare in quel modo significa quasi mettere in atto un comportamento disadattivo. Percio’ datemi retta : unite le forze e date vita alle cooperative e offrire la possibilita’ alle persone di curarsi spendendo meno. O con questa crisi non si cureranno affatto,visto che i soldi non ce li ha nessuno (o li tengono bloccati) e i primi tagli che fanno riguardano proprio la salute e la psiche.

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