Sempre più di frequente mi imbatto in articoli che parlano dell’impatto dell’alimentazione sui diversi aspetti della vita e della salute degli individui, in tutte le fasce d’età. Quasi mai si affronta il versante patologico (bulimia, anoressia, ecc…), quanto più quello del comportamento alimentare, ovvero dello stile alimentare dell’individuo, in un regime di “normalità” ed in un’ottica di “salutogenesi”.
Rimango colpito dalla quantità di spunti che si offrono alla nostra professione per produrre offerte di servizio in linea con potenziali bisogni emergenti. Rimango stupito di quanto invece una gran parte di noi colleghi rimane ancorata ai temi più patologici ed al ruolo prettamente psicoterapeutico dello psicologo!
Fu addirittura il Ministero della Salute, ad inizio anni ’90, ad affermare che “le diete fanno male“, a parlare di gestione del peso corporeo e quindi – di riflesso per chi sa ascoltare – a sottolineare l’importanza delle idee che la persona ha di se stessa, sui suoi comportamenti alimentari, sul significato che da al cibo, sulla sua immagine percepita, sui suoi valori, ecc… Insomma, aspetti che noi dovremmo padroneggiare senza problemi!
Qui di seguito vi riporto qualche spunto…
- Diete tira e molla creano dipendenza. Ma è ovvio, si lavora sul sintomo, non si prendono in carico i meccanismi individuali. Noi che possiamo fare/proporre?
- Obesità e depressione: un circolo vizioso?. Pare vi sia correlazione. Si consiglia di monitorare lo stato dell’umore nei soggetti obesi o in sovrappeso, in modo da adottare misure preventive. Possiamo proporci a qualche medico di base, nutrizionista, dietista, ecc… come professionista “di supporto“?
- Quattro italiani su dieci “frustrati” a tavola. Gli italiani paiono attenti alla qualità della propria alimentazione, ma la crisi impatta ed anche l’overload informativo. Quali le false credenze potenziali? Quale il potenziale valore dello psicologo?
- Con 15kg di sovrappeso +30% del rischio di morte. Anche sovrappesi eccessivi possono incidere sulle prospettive di vita. Accipicchia! E’ un biglietto da visita sufficientemente forte per proporre servizi professionali?
- Bambini iperattivi “curati” con la dieta. Allergie o intolleranze alimentari sembrano correlate a ADHD. Necessita ritarare regimi alimentari. Le mamme potrebbero essere interessate ad ascoltare un parere professionale sulla salute del figlio?
- Cambiate il vostro stile di vita o le morti per cancro cresceranno dell’80 per cento. Alimentazione ed attività fisica come prevenzione. Parliamo di stili di vita. Ahimé stiamo parlando, forse, del principale e più diffuso male di questa epoca.
Questi sono solo pochi esempi, per altro facilmente reperibili in rete. Pensiamo ad esempio al filone dell’alimentazione della donna in periodo perinatale e si apre un altro universo di possibili servizi.
Di contro, mi torna alla mente il passaggio dell’interessante ricerca del 2008 del Prof. A. Salvini della Facoltà di Psicologia di Padova, effettuata su un campione di circa 3.000 psicologi su tutto il territorio nazionale:
“Emerge negli intervistati una sorta di ritrosia ad ampliare il proprio ambito di intervento, ritrosia evidente, ad esempio, quando viene chiesta la loro disponibilità ad affrontare i problemi dell’obesità infantile. Molti si sono dichiarati incompetenti e impreparati (vedendo l’obesità infantile come un disturbo di personalità o un problema psico-affettivo o medico per il quale è necessaria una competenza particolare, non considerando invece il risultato di un atteggiamento/comportamento alimentare, in un che fa dell’obesità, sotto il profilo psicologico, un problema simile a molti altri, legato appunto alla rappresentazione di sé, all’identità, all’autostima, allo stile di vita, all’accettazione sociale, alle strategie di controllo e di autoregolazione, attinenti principalmente al campo relazionale adulto-bambino. Quindi un problema affrontabile senza dover acquisire ulteriori esperienze e competenze“.
Insomma, le potenzialità del settore sono talmente evidenti che i risultati di questa ricerca potrebbero apparire addirittura provocatori, eppure… voi che dite in merito? Già lavorate in questi ambiti? Intravedete potenzialità? Vi sono venute idee da mettere in pratica?
Beh… buon appetito a tutti
Nicola
0 risposte su “Può una sana alimentazione alimentare la professione dello psicologo?”
Caro Nicola bentrovato,
Mi fa molto piacere che tu sottoponga all’attenzione di tutti noi colleghi psicologi una questione che ritengo cruciale per la nostra professione, ovvero quella relativa al Comportamento Alimentare nello specifico, ed alla Psicologia della Salute in generale, così come sono felice che tu abbia citato l’esimio Prof. Salvini che insieme al Prof. Turchi hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione universitaria.
Gli interventi nell’ambito della Psicologia della Salute comprendono tutti i tipi di utenze e di target ed utenze, e vanno ad intervenire sulla quotidianità, sulle opinioni e la mal-informazione, sui comportamenti abituali e sullo stile di vita, ed il più delle volte non hanno a che fare con la psicopatologia: tali tematiche riguardano tutti noi, e noi Psicologi abbiamo il diritto e soprattutto il dovere di occuparcene, non cercando la ‘psico-patologizzazione’ a tutti i costi, ma promuovendo il cambiamento e mettendo in atto azioni di prevenzione.
Vorrei smettere in evidenza un aspetto molto importante per operare in questo campo, ovvero l’interfaccia con gli altri professionisti di estrazione medica: operare nel campo della Salute significa anche confinare con altre discipline di tipo medico, e quindi richiede competenze multidisciplinari: pertanto lo Psicologo che vuole lavorare in questo settore così variegato dovrà aprirsi a collaborazioni e scambi con medici e altri professionisti della salute, e ad accrescere le proprie conoscenze e competenze nel campo della Salute, per avere un quadro il più possibile completo dell’oggetto dell’intervento, e muoversi così con coscienza ed efficacia.
Dr.ssa Sara Campolonghi
Psicologa specialista in Comportamento Alimentare e Gestione del Peso
Roma
Caro collega
E’ da quattro anni che mi occupo della condizione di obesità come psicoterapeuta, relativa alla valutazione pre-operatoria dei tanti soggetti che si candidano ad interventi di chirurgia bariatrica e del sostegno psicologico nella fase post-operatoria. La mia esperienza clinica è spesso difficile perchè mi imbatto con la manifestazione somatica di grossi disagi psichici che non vengono minimamente presi in considerazione ne dal soggetto ne tanto meno dalle figure professionali classiche a cui si rivolgono (medici, dietologi, farmacisti, ecc.) Il vissuto è di disagio, tentativi, perdite e senso di colpa. Ma in una interpretazione psicodinamica io mi ritrovo con soggetti con storie pesanti sul versante evolutivo in cui si struttura una personalità sul versante sado-masochistico e una lenta e graduale perdita delle capacità di rappresentare, ragionare su una prospettiva più totale del problema. Gli obesi ragionano con l’oralità infantile e narcisistica del tutto e subito!
Nella mi esperienza clinica chiedo se hanno mai pensato ad una ipotesi psicologica per affrontare il problema, ma raramente si sono posti in questa condizione. Credo ci sia molto da fare in merito come psicologi, dovremmo far capire io credo che l’obesità è un disagio psichico con manifestazioni somatiche, sono d’accordo che il lavoro dello psicologo nella condizione di obesità richiede una collaborazione interdisciplinare.
Elisabetta Ciaccia Psicologa e Psicoterapeuta
Mi piacerebbe avere informazione sul corso per psicologo per l’Alimentazione, dammi informazioni in merito, grazie!
Ciao Elisabetta, info le trovi qui . Per ulteriori specifiche contatta pure la Segreteria. Buona giornata, Nicola
Condivido pienamente che il settore del comportamento alimentare sia una opportunità per gli psicologi e non da ora ma purtroppo la formazione universitaria in primis è ben lontana da quanto offre il mercato e dalla letteratura scientifica in proposito. Nel settore cardiovascolare, ben più incidente dal punto di vista epidemiologico e dei costi rispetto a quello oncologico, è proprio allo psicologo che si chiede di supportare l’aderenza a regimi alimentari specifici (specie nello scompenso cardiaco) e di attuare modelli di educazione alimentare nei programmi riabiltativi e di prevenzione secondaria. Purtroppo gli psicologi non leggono. Lascio come indicazione bibliografica e opportunità lavorativa le uniche Linee Guida licenziate dall’agenzia PNL del Ministero della Salute per la Psicologia Italiana. Necessiterebbero di più ampia diffusione di quanta non ne abbiano avuta finora, apertura mentale, coraggio del cambiamento e studio, viceversa saranno (sono) dietisti, coaching, counselor a fare quello che è il nostro mestiere.
Task Force GICR Linee Guida di Psicologia in Cardiologia Riabilitativa e Preventiva. Monaldi Arch Chest Dis, 2003;60,3:184-234.
Cari saluti ed auguri da chi questo lavoro l’ha fatto per 35 anni e non si è mai sentita di serie B, anzi.
Anna Maria Zotti
Gentile Nicola,
condivido totalmente il tuo pensiero, io ho frequentato il corso di psicologia del comportamento alimentare, rimane il problema di entrare in contatto con le altre figure professionali (anche attraverso le associazioni di categoria e gli ordini) che si occupano di obesità e dimostrare il nostro interesse e la nostra attività. Personalmente sono disponibile ad aderire ad iniziative orientate in tal senso.
Grazier per la collaborazione
Laura Prosdocimo Psicologa Trainer in Educazione Alimentare
sono assolutamente daccordo con questo argomento..infatti il mio interesse per questo mi ha portata a fare un training intensivo di 5 mesi sull’alimentazione consapevole e i disturbi del comportamento alimentare lo scorso anno.
mi farebbe piacere continuare a ricevere informazioni in quest ambito.
ciao buon lavoro
Sarebbe proprio il caso che dietologi, dietisti e nutrizionisti fossero sempre affiancati, quasi di dovere a mio avviso, da uno psicologo con serie competenze sui disturbi alimentari e sul rapporto tra sintomo alimentare e immagine di sè, manifestazione di disagio, rabbia, protesta, ecc ecc, in particolare perchè la suddetta categoria i cosiddetti “pazienti con disturbi psichici” dopo un pò non li sopportano più in quanto i continui fallimenti nei programmi alimentari proposti fanno sentire il dietologo/dietista/nutrizionista fortemente frustrato. Cosa più che comprensibile visto che si rapportano con un paziente che non sono preparati a trattare; purtroppo la categoria non ha nemmeno la lucidità di chiedere consulenza a chi con questi pazienti, su un altro versante, ci lavora. Ben venga quindi l’affiancamento psicologo/nutrizionista, ma temo che sarà molto dura sfondare il muro di fastidio che questa categoria così fortemente organicista prova davanti a tutto ciò che è, come dire “PSIC”!