Sono lieto di pubblicare e diffondere quella che ritengo un’intervista estremamente interessante e con possibili risvolti BOMBA sul fronte della tutela della professione di psicologo!
Leggetela d’un fiato, scaricate il PDF e fatelo girare tra i vs colleghi… inviatelo al vs Ordine regionale!
L’Ordine Emilia Romagna ha da poco tempo diffuso il testo di una sentenza definitiva per abuso di professione di psicologo, con esito positivo, contro un naturopata che operava counseling – di fatto – mettendo in opera atti tipi della professione di psicologo.
La sentenza, che Altra Psicologia ha prontamente ripreso e diffuso (link), è stata curiosamente taciuta dai vari Ordini regionali e dall’Ordine Nazionale Psicologi, quando invece rappresenta un precedente di notevolissimo peso per fare giurisprudenza sugli atti tipici esclusivi dello psicologo, e quindi per favorire la lotta all’abuso della professione di psicologo.
Occupandomi da tempo del fenomeno delle professioni limitrofe e ritenendo questa sentenza di enorme portata e valore per la nostra categoria professionale, ho quindi contattato il Prof. Eugenio Calvi, psicologo ed avvocato, che nel caso specifico ha rivestito il ruolo di Consulente Tecnico di Parte per l’Ordine Emilia Romagna.
Tengo a ringraziarlo pubblicamente per la gentilezza e l’estrema disponibilità con cui si è reso disponibile a confrontarsi sul senso di tale sentenza e sulle ricadute concrete, sia verso i vari “professionisti limitrofi” che operano nostri atti tipici, sia verso quelle strutture formative – spesso gestite da psicologi o addirittura da consiglieri di Ordine, come nel caso del Lazio – che quotidianamente ne sfornano di nuovi.
Lo scambio è stato veramente interessante in quando rende evidente che la tutela contro l’abuso di professione da parte di counselor, reflector e simili è possibile! Ma è questione di volontà politica da parte degli Ordini Psicologi e di maggiore coscienza e conoscenza da parte di tutti gli psicologi.
Diffondiamo questa intervista e la conoscenza di questa sentenza a tutti i nostri colleghi. Inviamo email al nostro Ordine regionale per chiedere di dare adeguata visibilità alla sentenza, e per usarla concretamente nelle azioni di tutela all’abuso di professione!
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Nicola Piccinini:
Gentile prof. Eugenio Calvi, innanzitutto la ringrazio per la pronta disponibilità! Nel doppio ruolo di avvocato e psicologo, si è occupato del caso Abela, di abuso della professione di psicologo da parte di un naturopata che affermava di praticare counseling, promosso dall’Ordine Psicologi Emilia-Romagna. Potrebbe spiegarci a grandi linee, per quanto possibile, la criticità di questo caso e l’esito della sentenza?
Eugenio Calvi:
Mi sono occupato del caso Abela nel procedimento penale avanti il Tribunale di Ravenna per abuso della professione di psicologo, nella veste di perito della parte civile, che nella specie era l’Ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna, difeso dall’Avv. Colliva di Bologna. Il processo rivestiva una particolare importanza per la nostra categoria, in quanto si trattava di definire con precisione i limiti delle competenze dello psicologo, premessa necessaria per accertare se l’imputato – che psicologo non era – avesse compiuto atti tipici di questa professione. La sentenza, assai correttamente motivata, ha concluso per la condanna dell’imputato, ed è una sentenza definitiva, in quanto, pur avendola l’Abela impugnata, l’appello non è stato coltivato e pertanto la decisione del Tribunale è passata in giudicato.
Mio compito era rispondere ai seguenti quesiti:
- se l’attività dell’imputato avesse invaso il campo riservato alla professione di psicologo, e comunque rientrante nelle attività previste dalla Legge 56/1989
- in caso affermativo, quali di queste attività riconducibili alla previsione della citata legge abbia compiuto l’imputato
- se l’attività dello psicologo, psicoanalista o psicoterapeuta sia rivolta esclusivamente al trattamento del disagio mentale e non possa invece riguardare situazioni fisiologiche (c.d. “di salute”).
Le mie risposte, sostenute ovviamente da idonei argomenti, sono state affermativa al primo quesito, elencativa al secondo, e esplicativa all’ultimo, nel senso di adesione alla seconda alternativa.
Nicola Piccinini:
In altre parole, la sentenza è riuscita ad individuare specifici atti tipici ed esclusivi dello psicologo, ed anche a stabilire che lo psicologo non si occupa solo e tanto di patologia e psicoterapia, ma anche di salutogenesi, ovvero di promozione di benessere. Mi pare un ottimo inizio!
Stiamo parlando di “sentenza definitiva”. Se corretto, può spiegarci tecnicamente cosa significa? Qual è il livello ed il grado di applicabilità di questa sentenza, ovvero la possibilità di utilizzo in ulteriori contesti?
Eugenio Calvi:
Come è noto, nel nostro sistema giudiziario le sentenze non hanno una efficacia vincolante per i giudizi successivi, e ciò vale anche per le decisioni del supremo organo giudicante che è la Corte di Cassazione. Ciò significa che ogni giudice è libero di decidere come meglio ritiene, salvo il diritto, per le parti, di impugnare la sentenza e di rivolgersi così ad un giudice di grado superiore; nel caso delle sentenze del Tribunale, la Corte d’appello. Ciò premesso, è altrettanto vero che i “precedenti giurisprudenziali” hanno un valore per così dire orientativo, nel senso di fornire al giudicante elementi di riflessione sviluppati su casi analoghi. E’ allora evidente che questa capacità di influenzare i successivi giudizi è tanto maggiore quanto più convincente e ben argomentata è la decisione; nel caso che ci interessa, possiamo senza dubbio affermare che si tratta di un precedente di notevolissimo peso.
Nicola Piccinini:
Ne ero convinto e sono felice di averne ulteriore conferma. Vorrei quindi capire se e come questa sentenza si ripercuote, ad esempio, sul mercato formativo che in continuazione sforna figure limitrofe.
In Italia, di fatti, esistono diverse strutture formative, in gran parte gestite da Psicologi, che formano professioni limitrofe come Counselor, Reflector, Psicopedagogisti, Coach, ecc… Questa attività viene giustificata affermando che mentre gli psicologi si occupano di cura, patologia e ristrutturazione della personalità, loro si occupano di salute e benessere. Abbiamo appena visto che nella sua Consulenza di Parte specifica con chiarezza che: a) lo psicologo non è uno psicoterapeuta e b) lo psicologo si occupa anche e soprattutto di salute e benessere.
Potrebbe illustrarci meglio questa posizione che, ricordo, è stata adottata in Sentenza Definitiva?
Eugenio Calvi:
Era necessario chiarire innanzi tutto che l’ambito di competenze dello psicologo non si esaurisce nella psicoterapia. La condotta dell’imputato, infatti, solo marginalmente poteva essere considerata “psicoterapeutica”, ma era, tuttavia, certamente, specifica della nostra professione.
Dunque andava messo in evidenza che lo psicologo non é solo colui che “cura”, ma, pur rimanendo nell’ambito clinico, é anche quello che si occupa del mantenimento del benessere psichico, tanto che esiste, ormai da qualche decennio, la “psicologia della salute”. Dunque, si può commettere abuso della professione di psicologo anche non facendo della psicoterapia e non occupandosi dell’eliminazione o attenuazione di quadri patologici, ovvero ponendo in essere comportamenti mirati alla promozione e mantenimento di stati di benessere psichico.
Nicola Piccinini:
Mi sembra, questa sua ultima, un’affermazione importante e sostanziale. Gradirei entrare nel dettaglio: nella sentenza viene affermato che si possono considerare “specifici di tale professione (di psicologo) quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici e che consistono essenzialmente nella osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico. Detti strumenti, poi, sono psicologici nella misura in cui hanno per finalità la conoscenza dei processi mentali dell’interlocutore, con l’utilizzo di schemi e teorie proprie delle scienze psicologiche”. In pratica, osservazione colloquio e test divengono esclusivi nella misura in cui il fine è quello di individuare e conoscere il funzionamento psichico, secondo quanto previsto dalle teorie psicologiche attualmente riconosciute dalla comunità scientifica, sia esso declinato in termini di gestione del disagio o di promozione del benessere psichico.
Se così è, vorrei chiederle un parere su tutte quelle strutture formative per counselor, coach, reflector e simili che – di fatto – passano competenze e strumenti su colloquio ed osservazione, secondo teorie psicologiche, e la cui applicazione con il cliente finale è necessariamente quella di individuare e conoscere stati psichici, mentali ed emotivi. In tal senso, ed al di là dell’Art.21 del nostro Codice Deontologico, vorrei sapere se e come sia possibile “usare” questa Sentenza definitiva per incidere su questo mercato della formazione in un’ottica di tutela della Psicologia e degli Psicologi.
Eugenio Calvi:
Nella mia relazione ho messo l’accento su quanto è contenuto nell’art. 1 della Legge 56/89, che definisce le competenze dello psicologo quando afferma che “la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione – riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”.
Qui occorre aprire una parentesi. In tutte le attività professionali, le competenze specifiche sono disegnate non già unicamente dallo “scopo” dell’intervento, ma anche e particolarmente dai “mezzi” utilizzati per perseguire il risultato. Quando si dibatteva, durante la quasi ventennale gestazione della legge istitutiva del nostro Ordine, se la Psicoterapia dovesse essere riservata ai medici, in quanto avente lo scopo di curare, a quanti sostenevano che ogni terapia fosse pertinenza della medicina si obiettava, ragionevolmente, che era invece necessario distinguere gli “strumenti” della cura, come é scritto nel citato art. 1.
E’ allora evidente che appartengono esclusivamente al medico i mezzi chirurgici, farmacologici, fisici, chimici, elettrici e radiolari applicati all’organismo umano, mentre si devono ritenere specifici della professione di psicologo quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici, e che consistono essenzialmente nell’osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test, aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico, o, altri termini, che hanno la finalità della conoscenza dei processi mentali dell’oggetto indagato, avendo riferimento teorie proprie delle scienze psicologiche. Infatti, non tutte le osservazioni, non tutti i colloqui e non tutti i test hanno tali finalità, e quindi esistono, ovviamente, osservazioni, colloqui e test che non sono di esclusiva competenza dello psicologo.
Per conseguenza, le strutture formative che trasmettono competenze relative a strumenti tipici della nostra professione, e che preparano quindi all’applicazione di tali strumenti, devono rivolgersi unicamente e specificatamente allo psicologo. Diversamente, preparano il terreno alla commissione del reato di esercizio abusivo della professione.
Nicola Piccinini:
Beh… qui stiamo parlando di una vera e propria bomba! In pratica questa sentenza aprirebbe la strada ad ulteriori iniziative da parte degli Ordini verso quelle strutture – gestite da psicologi – che formano professioni limitrofe, concorrendo – in un certo qual modo – alla commissione del reato?
Penso sia una prospettiva nuova e preziosa, che meriterebbe la dovuta attenzione da parte di Ordini ed anche colleghi psicologi.
Così, per gioco, la invito a leggere le seguenti affermazione ed a dirmi se ed in che modo rientrano “abusivamente” in quanto stabilito dalla Sentenza definitiva:
- Prima affermazione: “Il Counselor è in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica che non comportino tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità… l’intervento di counseling è mirato a risolvere nel singolo individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne compromettono una espressione piena e creativa”
- Seconda affermazione: “Il counseling è un incontro tra due persone – il counselor e il cliente – che grazie ad un dialogo orientato, instaurano una relazione che favorisce la capacità di individuare, riconoscere e ristrutturare il disagio estrapolando dal cliente stesso le risorse che occorrono per superarlo. Per iniziare si fa un colloquio per conoscersi e: definire il disagio, definire quanto tempo occorre per risolvere il disagio, riconoscere e allargare la propria griglia di rappresentazione del disagio”
- Terza affermazione: “Il Counsellor è in grado di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad un individuo o un gruppo di individui. Il Counselling non è mai orientato alla cura ma al potenziamento della capacità di scegliere nella propria esistenza; a questo scopo è indispensabile l’uso di una terminologia che si differenzi dall’usuale lessico medico e psicologico”
Eugenio Calvi:
A mio parere, la prima e la terza delle affermazioni invadono nettamente il campo delle competenze dello psicologo. E’ vero che non si definiscono gli strumenti utilizzati, ma la loro individuazione è implicita nella precisazione degli obbiettivi, all’evidenza perseguibili unicamente con mezzi che si basano sulla conoscenza dei processi psichici. Non si comprenderebbe, altrimenti, come sia possibile affrontare il “disagio esistenziale di origine psichica”, o il “conflitto esistenziale” o il “disagio emotivo”.
La seconda affermazione, in più, accenna anche allo strumento del “dialogo orientato a favorire l’individuazione, il riconoscimento e la ristrutturazione del disagio”. Quindi aggiunge un ulteriore elemento che fa ricomprendere il counselling tra le competenze dello psicologo.
Nicola Piccinini:
Scopriamo le carte in tavola e vediamo da dove ci arrivano queste affermazioni:
- la prima è della Sico (link), una delle principali realtà che promuovono la diffusione di counselor e che tiene un Albo (non regolamentato per legge!),
- la seconda è presa da una importante struttura (link) che sta infestando di pubblicità – da mesi – la metropolitana di Roma (diffondendo quindi abusivamente un nostro atto tipico),
- la terza è dell’ASPIC (link) società rappresentata dalla collega Montanari, che allo stesso tempo siede in consiglio Ordine Lazio con il gruppo SIPAP Lazio (link).
Rimango sinceramente dispiaciuto che spesso queste realtà siano gestite o partecipate da colleghi psicologi. Rimango addirittura disturbato quando poi questi occupano posti in consiglio, con responsabilità di tutela, ed invece in pieno conflitto di interesse, come nel caso della SIPAP Lazio (link).
La cosa positiva è che questa Sentenza permette di costruire azioni concrete di tutela verso l’abuso della professione di psicologo, e verso le strutture che formano chi poi tenderà ad abusare della professione di psicologo. Mi chiedo il perché i vari Ordini degli Psicologi, regionali e nazionale, non abbiano ripreso tale sentenza, non la abbiano diffusa tra i colleghi (rendendoli più “forti e coscienti”), non la abbiano adottata per impostare politiche di tutela più efficaci. In tal senso, quale idea si è fatto rispetto a questa curiosa decisione di lasciar cadere nel vuoto questa sentenza da parte degli Ordini?
Eugenio Calvi:
Come prima accennavo, la sentenza in questione, proprio per l’esattezza delle argomentazioni e la profondità dell’indagine, descrive con un perfetto disegno logico i confini delle competenze dello psicologo. E’ quindi un utilissimo strumento di difesa della nostra professione dai casi di abusivismo. Sono fermamente persuaso che essa sentenza dovrebbe essere conosciuta da tutti i componenti dei Consigli dell’Ordine territoriali (e non meno dal Consiglio Nazionale), quale una sorta di “vademecum” per giudicare i casi anzidetti. Perché questo non sia sino ad oggi avvenuto – con la sola eccezione del Consiglio dell’Ordine costituitosi parte civile – può essere, riterrei, imputato ad una certa carenza di comunicazione più che ad un intenzionale indifferenza. Si potrebbe forse proporre al Consiglio Nazionale di uscire dall’inerzia e diffondere il testo della sentenza, almeno da pagina 20 a pagina 28, dove sono sviluppate le argomentazioni che ci interessano.
Nicola Piccinini:
Allora siamo in due!
Anch’io avrei piacere che questa sentenza, con l’esposizione delle sue ricadute operative, venisse diffusa dai nostri Ordini professionali!
Sicuramente sarà mia cura segnalare questa intervista e la sua sentenza al mio Ordine regionale, il Lazio, ed invitare tutti i colleghi psicologi a fare altrettanto!
Diffondiamo quindi questa intervista e la conoscenza di questa sentenza a tutti i nostri colleghi. Inviamo email al nostro Ordine regionale per chiedere di dare adeguata visibilità alla sentenza, e per usarla concretamente nelle azioni di tutela all’abuso di professione!
Come abbiamo dettagliatamente spiegato- come Altra Psicologia – nella nostra proposta operativa “Tutela e lotta all’abuso della professione di Psicologo” (link), l’azione legale deve andare di pari passo con l’azione di promozione della professione presso la società civile e con l’azione di sensibilizzazione ed informazione critica della base dei colleghi.
Come abbiamo più volte denunciato (link) gli Ordini professionali dovrebbero essere liberi da conflitti di interesse che impediscono di agire per il bene di tutta la comunità dei colleghi, ed anche competenti, capaci ed informati per poter svolgere al meglio la loro funzione di rappresentanti degli Psicologi tutti.
Purtroppo sono tanti gli interessi e diffusa la non-conoscenza, ma conto che risultati di questo calibro ed una sempre più attiva partecipazione della base dei colleghi spinga – necessariamente – ad un diverso atteggiamento e comportamento degli Ordini e di quelle strutture che ad oggi rischiano di svendere la professione sui cui abbiamo faticosamente investito.
Prof. Calvi, io la ringrazio nuovamente per la disponibilità e la chiarezza nel fornirci preziosi spunti ed indicazioni. Spero che questa sua, sia l’apripista di ulteriori sentenze di tal portata!
Un cordiale saluto
Nicola Piccinini
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che senso ha tutto questo e scopire, in un colloquio per eventuale collaborazione presso un’associazione onlus, che lo psicologo è chiamato a selezionare probabili pazienti da inserire in gruppi guidati da “facilitatori” e formare tali persone (comuni persone che di clinico non hanno nulla se non la loro esperienza personale del disturbo che trattano), a titolo squisitamente gratuito?
Lo psicologo in pratica lavorerebbe per tali facilitatori, pastori di anime perse nei disturbi psicologici stanche delle comuni terapie che decidono di avventurarsi in questi incontri un po’ allo sbaraglio.
Mi sono sentita come in quegli incontri imbonitori di adepti per un nuovo circolo, in cui il sorriso e la suggestione diventavano gli strumenti principi per attirare le masse.
E questo viene tollerato. Dal 1991, tale associazione continua a mietere vittime di “guarigioni” magiche e, comunque, prive di qualsiasi sostegno specialistico.
Io sono senza parole
due cose:
– per quanto riguarda la questioen counselor, sono perfettaemnte d’accordo. denuncio anche una notevole confusione tra la figura di psicologo e psicoterapeuta, ove spesso colleghi psicologi non abilitati alla professione psicoteraputica conducono psicoterapie a tutti gli effetti, sia come scopo che come strumenti di cui sono – più o meno – padroni. Mi sembra che l’occasione counselor possa aiutare anche a dirimere questa questione in modo chiaro; io faccio interventi psicologici di prevenzione e di potenzaimento del benedssere e clinici, a seconda della necessità, poiche sono psicologa ed ANCHE psicoterapeuta, non solo.
Per francesca, invece, penso che tu sia venuta in contatto con il vasto, articolato e contraddittorio mondo dell’Auto Mutuo Aiuto in cui io abito da diversi anni (vedi http://www.amaeleusi.ning.com). I tuoi dubbi sono fondati e condivisibili. Tuttavia la realtà è interessante e trova spazio di azione dello psicologo – secondo me – proprio nella sua specificità, a meno che non pensi di fare (e gli venga addirittura richiesto) l’istruttore di mini-psy che sarebbero ancor peggio dei counselor, persone spesso molto serie e formate cui a monte non corrisponde altrattanta correttezza e serietà.
Nell’ambito dell’AMA sarebbe interessante invece essere presenti sia al dibattito che si svolge a livello nazionale nelle aree specifiche (coordinamenti ragionali e nazionali AMA) sia a livello perativo, sprattuto per chi ha intrapreso realmente la strada dello psicologo di comunità, cioè si vuole effettivamente occupare di comunità e di terriorio al di là della scontata dicitura riportata dal corso di laurea.
Per avere maggiori dibattiti e informazioni potete scrivermi e partecipare al sito http://www.amaeleusi.ning.com o alla relativa pagina di facebook
ciao! e grazie a nicola per il suo impegno encomiabile. Credo sia improtantissimo diffondere la sentenza e solelcitare i propri Ordini ove spesso il conflitto di interesse – ahimè – è causa di buona parte del silenzio e dell’indifferenza.
Secondo me la sentenza, non sposta il problema di una virgola, nel senso, che ciò che crea concorrenza, non il counselor, con 2 clienti e che sbarca il lunario.
Ma ad esempio, le grandi aziende, tipo Hrd, EkiS ECC.. che fanno corsi, di benessere, leadership, e che riempono le sale, e si riempono il portafoglio, spesso usando termini discriminatori verso gli psicologi, semmai è contro queste macchina da guerra, che bisognerebbe porre un argine, ma la vedo molto dura…