Alcune rapide osservazioni dalla comparazione Almalaurea 2011 sui laureati italiani in 47 aree disciplinari diverse (escludendo solo i settori con poche unità o decine di laureati). L’indagine coinvolge i laureati con 1 o 3 anni di anzianità di laurea specialistica (nella fattispecie, questi dati si riferiscono ai laureati di tutta Italia del 2007).
Interessanti i dati per gli Psicologi, un vero e proprio record trasversale (in senso negativo, purtroppo).
1) Età media di laurea: ci laureiamo alla Specialistica in media a 26,6 anni. Cioè, ci mettiamo più tempo degli Ingegneri, dei Farmacisti, degli Economisti, dei Giurisprudenti.
2) Reddito: i laureati in Psicologia sono la categoria con il più basso reddito annuo
medio, sia ad 1 che a 3 anni dalla Laurea Specialistica. Siamo superati in termini di redditività anche dai Sociologi, dai Filosofi e dagli Scienziati dell’Educazione (la differenza con loro è dell’ordine del 10-20% in meno al mese).
Reddito medio mensile degli Psicologi: 890 euro circa per chi è già almeno a 3 anni dalla Laurea Specialistica, 690 per chi si è laureato da meno. Le ragazze (che sono l’85% della categoria) un ulteriore 5% in meno in media. Altro che “generazione milleeuro“…
3) Soddisfazione lavorativa: i laureati in Psicologia esprimono una soddisfazione lavorativa media di 6,8. Siamo nuovamente il record negativo dell’intero panorama nazionale, con la soddisfazione *più bassa* su tutte le 47 categorie professionali (ci si avvicinano solo i Filosofi, a 6,9).
4) Settore lavorativo: a 3 anni dalla Specialistica, dichiara di lavorare in “ambito Sanitario” solo il 13% degli Psicologi, mentre l’87% lavora in altri ambiti. Dato che dovrebbe magari farci riflettere (anche perchè poi, nonostante questo, un laureato su due si iscrive comunque ad una Scuola di Psicoterapia).
5) Stabilità professionale: dichiara di avere un lavoro “stabile” e non atipico il 24% dei laureati; il popolo dei precari, co.co.co, occasionali, PIVA è al 76%.
Non è specificato quanti di quei 24% lavorano però stabilmente in “ambito psicologico” (si può stimare solo il 35-40% di quel 24%, inferendolo dall’incrocio “orientativo” di alcuni altri dati autoriferiti sull’utilità degli studi fatti per la professione svolta; per un totale di circa l’8% dei laureati specialistici che lavora più o meno stabilmente in ambito psicologico con ruoli psicologici a 3/4 anni dalla Laurea).
Nella parte virtuosa della classifica, i Farmacisti sono al 61%, gli Ingegneri sono al 63%, gli Statistici al 67%. Per tali categorie, inoltre, l’incrocio con gli altri dati conferma che il lavoro “stabile” che vanno a svolgere è solitamente attinente a quanto studiato; mentre questo è vero solo per meno della metà degli psicologi (circa).
Insomma, è vero che tutti i laureati faticano ad avere il “posto fisso”, gli psicologi di più (oltre ad essere, da questi dati, i più “poveri”, insoddisfatti e non operanti nei settori per cui si erano maggiormente preparati).
L’insostenibile leggerezza dell’Essere (psicologo). Tra le soluzioni che si potrebbero ipotizzare:
- un rigoroso numero programmato nazionale (con un output orientativo che potrebbe essere di circa un terzo degli attuali iscritti su base nazionale, se si vuole mantenere un rapporto annuale equilibrato di entrate/uscite sul mercato del lavoro),
- modifica dei curricula universitari, con robuste iniezioni di “realtà professionalizzanti” nei percorsi formativi (molto diritto applicato, economia, marketing professionale, tecniche di progettazione professionale, metodologie qualitative, applicazioni non cliniche),
- lobbying positiva ai “confini della professione”, ed esplorazione/riacquisizione molto attiva degli ambiti psicologici che abbiamo colpevolmente tralasciato troppo negli anni (coaching, counseling, benessere, etc.),
- rovesciamento dell’asse economico principale della categoria, dal sostentamento in logica “endogamica” a quella “esogamica”,
- adeguamento e flessibilizzazione dei percorsi post-lauream rispetto alle sempre maggiori esigenze extra-sanitarie,
- responsabilizzazione attiva degli studenti di Psicologia: un ingegnere si laurea in media più in fretta di uno psicologo, e questo può essere curioso (non si parla di percorsi personali, tirocini, etc.: proprio del mero studio teorico).
Molti neolaureati arrivano purtroppo alla laurea con un atteggiamento spesso un po’ ”irresponsabile” e, in certi casi, superficiale rispetto alle richieste del mondo del lavoro.
Ai corsi di progettazione professionale per neolaureati specialistici, chiedo sempre quanti hanno letto il Codice Deontologico e la L.56/89 (sono persone che hanno studiato Psicologia all’Università per 6 anni e vogliono fare gli psicologi professionisti; si iscriveranno entro 3 mesi all’Ordine): in media, lo hanno fatto meno del 5-10% (purtroppo!).
Quando poi, ad esempio, tra chi si interessa di psicologia della famiglia, chiedo quanti si siano autonomamente letto almeno un manualetto di diritto di famiglia (o, tra chi si occupa di neuroriabilitazione, quanti si siano letti qualcosa sulla L.104), praticamente nessuno alza mai la mano. Paradossale e preoccupante.
Si conoscono alla perfezione venti diverse teorie su un dato fenomeno, ma non si è autonomamente approfondito *nulla* del piano di realtà entro cui quelle teorie dovranno poi andare a prendere forma per poter gestire il fenomeno stesso ?!
Ma dove si pensa di poter andare, con questo atteggiamento così rischiosamente autolimitante ? A fare cosa ?
Non sembra che tale frequente superficialità e disinteresse rispetto al proprio quotidiano “piano di realtà professionale” avvenga così spesso in altre professioni (ingegneri, medici, economisti, avvocati sono tendenzialmente più contestuati nel piano di realtà; questo atteggiamento più rigoroso glielo veicolano fin dall’inizio dei percorsi di socializzazione professionale).
Dott. Luca Pezzullo
Orientamento e Tutoring Facoltà di Psicologia di Padova
0 risposte su “La Psicologia e la professione di Psicologo secondo Almalaurea 2011”
Condivido completamente i 6 punti operativi del dott. Pezzullo. Lo scenario è davvero allarmante e se non si mette mano in modo urgente alla formazione e alla promozione (interna ed esterna) della professione le condizioni fotografate da AlmaLaurea rimarranno stagnanti.
Bel sito e articolo che offre un’analisi lucida e spunti di riflessione utili. Concordo su molti punti esposti. In particolare, credo che sia utile:
– definire meglio gli ambiti specifici di pertinenza dello psicologo (evitando così tutta quella congerie di offerte che vanno dal counselling al coaching, con la complicità di molte scuole di specializzazione in cerca di nuovi iscritti e nuove entrate);
– maggiore selezione in entrata (test) e lungo il percorso (i dati citati e le considerazioni esposte lasciano intendere che molti si iscrivono a Psicologia con scarsa motivazione o con un progetto poco chiaro in mente);
– studio della realtà: storia, società, politica, cultura, ecc.: la mente non è un’entità astratta.
P.S.: quando invece io chiedo a un/a tirocinante di darmi una definizione di ‘mente’ o ‘comportamento’ o ‘psicologia’… lasciamo stare. 🙂
ti ringrazio nicola per gli aggiornamenti, agghiaccianti purtroppo, ma non lontani da ciò che pensavo…
Io sto studiando psicologia per passione, iscritto alla veneranda età di 29 anni, avendo già un lavoro ed una vita professionale e mi sto rendendo conto che gli studi accademici sono utilissimi, ma manca assolutamente la parte pratica ed esperienziale, a differenza per esempio dalle scuole di counseling -in cui mi sto diplomando dopo 3 anni di corso-. … Non arrabbiatevi, ma bisogna comprendere come mai questa figura -del counselor- sta invadendo il mercato già asfittico della relazione di aiuto… Certo, la motivazione è multicausale probabilistica ;-), ma dalla mia esperienza non vedo laureandi e laureati così preparati nelle competenze pratiche(è solo una piccola indagine personale, non una ricerca), anche personalmente, come esseri umani -essendo un lavoro ad alto tasso umano- da instaurare il clima di fiducia necessario per un’alleanza operativa…
Quindi, in breve, credo gli psicologi debbano riappropriarsi del mercato e della fiducia dei consumatori attraverso un profondo lavoro di aggiornamento accademico che, onestamente, mi sembra lontano dal contesto attuale.
Quindi, il mio consiglio è quello di formarsi il più possibile e cercare di integrare la professione con una passione, così da rendere lo studio più piacevole e diventare degli esperti in quel particolare settore.
Un sorriso e scusa la lunghezza.
Simone
vorrei sapere quali sono le 47 aree che sono state maggiormente indagate, grazie. certo che lo scenario non è dei più rosei
Condivido 5 dei 6 punti esposti, tranne il primo, perché alcune facoltà chiuderebbero.
Si, la psicologia italiana è troppo scollegata dalla realtà che nel frattempo è cambiata.
Mi permetto di aggiungere altri 2 argomenti:
Scollegamento totale con i medici (specie i generici) che imbottiscono i pazienti di psicofarmaci senza neanche proporre soluzioni alternative.
Forte stereotipo della professione intesa come chi “cura i matti”; sarà banale ma è così tocca farci i conti, inutile far finta di niente, perché la gente ha forti pregiudizi e paure nel recarsi da uno psicologo, persino quando ne avrebbe bisogno.
Preferisce nomi sugli interventi diversi, meno impegnativi, anche se poi alla fine si tratta comunque di un intervento psicologico.
Ma è anche un problema di comunicazione.
Secondo voi quanta gente conosce la differenza fra dottore in psicologia, psicologo e psicoterapeuta?
Per non parlare di counseling, tutoring, ecc..
Sarebbe scandaloso immaginare una pubblicità del Ministero della Salute che indichi cosa fa uno psicologo e le differenze, per orientare meglio la gente quando ha bisogno di aiuto?
Sarebbe disdicevole chiarire una volta per tutte chi è e cosa fa questa figura professionale e quali sono gli ambiti in cui opera?
Quante organizzazioni sanitarie (private e non) forniscono un supporto psicologico a chi ha subito amputazioni, ha perso un familiare o deve affrontare la chemioterapia?
Quante aziende sanno che gli psicologi possono operare nelle organizzazioni e che possono aiutare nelle problematiche del conflitto di ruoli, della leadership, motivazione, produttività, ecc..?
Quanti degli ambiti trattati dagli psicologi sono davvero noti a chi ne avrebbe bisogno e quale accessibilità hanno davvero le persone?
Ci vorrebbe un seminario, qualcosa che faccia prendere coscienza del problema al livello nazionale, perché forse è il caso di rivedere molte cose di questa professione.
Tutto vero! purtroppo le università continuano a far sostenere esami di filosofia, pedagogia, educazione etc. . .che, per carità, ci possono anche stare ma è da matti proporre piani di studi senza elementi di diritto ed economia! SIAMO FUORI DALLA REALTA’. Certo, l’importante è avere le belle dispensine sulla biografia di decrepiti fondatori di paradigmi teorici oramai inconsistenti, studiare su pubblicazioni degli anni 80 e avere anche la presunzione di non riconoscersi incoscienti. SVEGLIA RAGAZZI CHE IL MONDO NON E’ QUELLO DEI CASI CLINICI BELLI, RIUSCITI E IMPACCHETTATI scritti su libricini di 100 pagine scarse! e se dai palazzi continuano a dormire almeno proviamo a non sembrare più adolescenti sognatori di quanto lo siamo già!
Good morning
Francesco
Cari colleghi, è tutto vero.
Io mi occupo di ricerche di mercato, forse uno dei pochi ambiti che dà soddisfazioni anche, ma non solo, a breve termine (lavoro stabilmente e con soddisfazione da 8 anni). Certo, è considerato lo scarto dei clinici, ma non credo sia così: anzi!
Più senso pratico, gente, meno sogni.
Ammettiamolo: siamo un categoria di imbranati senza visione in confronto a ingegneri, giuristi, economisti.
Speriamo in una svolta.
Buon lavoro a tutti