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Il Counseling è dello Psicologo! Arriva il parere dell’Antitrust sulla posizione dell’Ordine Psicologi Piemonte

Lo scorso anno l’Ordine Psicologi Piemonte ha pubblicato una lettera riguardante il counseling in cui prende posizione netta rispetto ai pseudoprofessionisti che spesso si accavallano alla figura dello Psicologo. In particolare afferma:

“La legge n. 56/1989 Definisce la professione di psicologo stabilendo che essa “comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività diabilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità […] Tutto ciò che rientra nell’ambito di attività sopra descritto è, quindi, ex lege riservato agli psicologi […] La figura del “consulente di psicologia”, o “counsellor” che dir si voglia, non trova riconoscimento nella predetta legge n. 56/1989, Né in altre leggi dello Stato. […] L’unico dato allo stato “ufficiale” relativo a tale figura professionale si rinviene nell’elenco del CNEL […] si tratta non di “riconoscimento” in senso proprio, ma di semplice “presa d’atto”, da parte del CNEL, dell’esistenza di soggetti giuridici che dichiarano di svolgere una certa professione (è il CNEL a specificare “sia la Banca dati che l’Elenco qui contenuti esprimono unicamente un intento conoscitivo”). […] Al riguardo, sulla base delle segnalazioni pervenute (principalmente afferenti l’impiego di tale figura professionale in ospedali, scuole, aziende sanitarie, consultori, etc.), Questo Ordine ha potuto riscontrare che gran parte delle attività svolte (e degli strumenti utilizzati) dai counsellors rientrano nell’area del “sostegno psicologico”, senz’altro riconducibile all’ambito delle competenze riservate agli psicologi ex art. 1 L. 56/1989.”

Prosegue apportando ulteriori elementi ed infine chiude la missiva con:

Per tutte le ragioni sin qui illustrate, quindi, l’Ordine scrivente invita gli Enti/Aziende ad astenersi dall’affidare a figure professionali diverse dallo psicologo abilitato ed iscritto all’Albo lo svolgimento di incarichi che, per oggetto e strumenti utilizzati, siano riconducibili nell’ambito delle competenze riservate dalla L. 56/1989 Agli psicologi

Da mio punto di vista, ma immagino da quello di qualsiasi collega, l’operazione dell’Ordine Piemonte è lodevole ed anzi da replicare con forza in tutte le realtà regionali. Tuttavia, com’era plausibile immaginare, questa iniziativa ha fatto storcere il naso ad una delle Associazioni che rappresentano i Counselor e – soprattutto – le scuole che formano counselor.

L’Assocounseling a novembre invio una segnalazione all’Antitrust chiedendo se vi fossero o meno gli estremi per violazione delle regole della concorrenza, abuso di posizione dominante, pubblicità ingannevole. Fecero un gran vociare, unitamente ad altre associazioni.

Bene, è da poco arrivata la risposta dell’Antitrust!

Riprendo alcuni passaggi dal sito dell’Ordine Psicologi Lombardia.

“Barcucci, Presidente Ordine Piemonte, tiene una posizione che ha perfino dichiarato una parlamentare in una famosa interrogazione. “A tutela di coloro che fanno affidamento sulla preparazione e competenza del personale messo loro a disposizione (dalle Aziende Sanitarie, ndr) (…) la figura del Consulente di Psicologia o Counselor non trova riconoscimento né nella legge 56/89 né in altre leggi dello Stato””

L’unica buona ragione per continuare a sostenere che esista un counseling fuori dalla psicologia non è filosofica, né epistemologica, è il fiorente mercato della formazione di coloro che non hanno potuto, o voluto, affrontare le fatiche (e i costi) di un percorso tradizionale per diventare psicologo o psicoterapeuta. La Commissione Tutela CNOP presieduta dal Presidente OPL Grimoldi ha concordato e presentato una memoria difensiva. Risultato: l’Antitrust ha liquidato le quaranta pagine di denuncia di Assocounseling in poche righe: “…l’Ordine degli Psicologi in questione (…) si limita ad affrontare il tema dell’ambito di esercizio di tale professione in rapporto a quella dello Psicologo, mettendo in rilievo gli aspetti critici della questione”.
E’, questa, un’importante vittoria per la tutela della nostra professione, e un messaggio per tutti i colleghi che formano questi “professionisti della psiche” senza autorizzazione.

Questo Ordine ha potuto riscontare che gran parte delle attività svolte e degli strumenti utilizzati dai counselors rientrano nell’area del sostegno psicologico

Questo ha scritto Barcucci. Qualcosa che sa bene qualunque Psicologo! Questo è il punto. Come si può del resto essere formati da psicologi in qualcosa che non si distingue dalla Psicologia e pretendere poi, appena usciti dall’aula del corso, di fare altro che non sia Psicologia? Per quanto si voglia definire easy, soft, questa competenza, per quanto le si trovi nomi esotici (counselor, reflector, coach, ecc…), ciò mai autorizzerà a svolgere attività che – di fatto – sono contenute e tutelate dalla legge 56/89

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Alcuni giorni fa leggevo la sentenza del Tribunale di Roma riguardo il principio dell’esclusività nella prescrizione di una dieta come atto curativo di esclusiva del medico e pensavo “quando riusciremo, anche noi, a difendere la nostra Professione nelle sedi opportune?”.
Oggi, finalmente, una prima risposta grazie a tutti coloro che lavorano e credono nella Psicologia!
Prossimo impegno? Difendere la neuropsicologia (valutazione, diagnosi e riabilitazione) da tecnici, fisioterapisti e logopedisti!

Grazie della notizia, Nicola! Il tuo blog è sempre prezioso.
Come ha scritto il Dr.C, bisogna tutelare la professione nelle sedi adeguate (quando lo farà anche l’Ordine del Lazio?).
Parallelamente, però, bisogna passare alla fase B: promozione della nostra professionalità. A partire da una promozione interna: come sappiamo, gli stessi psicologi si autopercepiscono come inefficaci, poco specializzati… Insomma, noi stessi ci autosabotiamo perché (a differenza di counsellor, reflector etc.) pensiamo che in fondo, pur avendo studiato e praticato per anni, non “siamo nulla” professionalmente.

Beh, è ora di iniziare a diffondere una cultura vincente della nostra professione!

Lodevole iniziativa e altrettanto lodevole presa di posizione dell’Antitrust. La professione dello psicologo è continuamente sotto attacco da parte di figure “ambigue” che, senza aver sostenuto una formazione adeguata, anelano a ruoli professionali “tessuti” ad hoc per ogni situazione. A mio avviso ritengo che anche i consulenti del lavoro, qualora si occupino di orientamento professionale, insieme ai “selettori” formati dai ministeri per la selezione del personale in ambito pubblico, siano da annoverare tra coloro che esercitano abusivamente una professione per la quale non hanno né le risorse tecniche né un adeguato training professionale che consenta loro di operare. I corsi annuali, o biennali, frequentati per accedere ai ruoli professionali di cui sopra non potranno mai uguagliare una formazione quinquiennale in psicologia, per la quale sono previsti, oltre alla formazione teorica, adeguati tirocini ed attività pratiche. Ritengo queste figure fuorvianti e pericolose, dal momento che questi signori elargiscono pareri ed emanano giudizi che limitano l’accesso dei giovani nel mondo del lavoro orientandoli verso percorsi politicamente orchestrati ad arte.

Nicola, suvvia…, pubblicala tutta la lettera dell’antitrust, poiché sai benissimo che si riferisce esclusivamente al rilievo sulla pubblicità ingannevole e sull’abuso di posizione dominante…

L’antitrust non ha certo detto che il counseling è dello psicologo ma che, testuali parole: “i fatti denunciati esulano dall’ambito delle proprie competenze”. L’antitrust ha cioè detto di non essere competente. Tutto qui.

Comunque a breve ci penseremo noi a pubblicarla integralmente, così magari facciamo informazione correttamente e ognuno si forma la propria opinione partendo da un fatto, non da una libera interpretazione.

Tommaso, suvvia… l’Assocounseling ha richiesto formalmente parere all’Antitrust su una serie di cose e l’Antitrust ha lasciato cadere nel vuoto sino all’ultima consonante, non avendo NULLA da eccepire all’iniziativa dell’OP Piemonte.

Di fatto, il non avere nulla da eccepire significa anche che l’OP Piemonte ha sostenuto posizioni del tutto legittime e portato avanti una diffusione del tutto lecita. E questo a noi basta, ed anzi, vedremo di diffonderla come pratica!

Il titolo ha una sua precisa dinamica, come del resto spesso accade nei siti web (vero?), nel testo dell’articolo si riporta una linea di ragionamento molto precisa e logica (almeno per noi psicologi)

sono contento. Io credo che il prossimo passo da fare sia quello di chiedere con forza agli Ordini di diffidare gli psicologi che fanno formazione nell’ambito del counseling a non psicologi. saluti

Bene! ma penso dovremmo ottenere di più e precisamente un completo riordino della facoltà di Psicologia di modo che al termine di essa si possa a tutti gli effetti esercitare la Psicoterapia di Sostegno o Counseling che dir si voglia (ancora questa IPOCRISIA di chiamare “sostegno psicologico” ciò che dovrebbe più precisamente chiamarsi “TERAPIA di sostegno”????) ed inoltre dovrebbe essere VIETATA la possibilità di operare almeno ai cosiddetti counselors che non siano psicologi.
SVEGLIAMOCI!!!!

Pongo a Nicola, la domanda che spesso fanno a me…
come potrà l’Ordine degli Psicologi far chiudere tutte le scuole di counselling (mi piace scritto all’anglosassone) e far disconoscere le centinaia di migliaia di counsellor che suddette scuole hanno sfornato?
Verrebbe fuori una rivoluzione, considerati i soldi che ciascuno di questi diplomati ha speso per prendere il titolo e per iscriversi ai vari registri professionali (nell’idea di essere tutelati).
Finirà alla solita maniera italiana: una sanatoria che li “salverà” tutti quanti, legittimandoli a continuare la professione.
O no???

@ Paola
Personalmente non credo e neppure lo ritengo corretto che l’Ordine “faccia chiudere” Scuole o disconosca qualcuno. Non lo può e non lo deve fare.

Ed allora come se ne esce?
Oggi giorno, sempre più, il mercato è customer driven. Sono i clienti, con le loro scelte di acquisto, ad indirizzare le tendenze e gli sviluppi di mercato.

Le Scuole che formano pseudoprofessionisti hanno spesso come clienti gli psicologi, e comunque sono all’80% scuole di psicoterapia quindi hanno molti colleghi psicologi. ECCO LA RISPOSTA: se i colleghi psicologi effettuassero “scelte di acquisto” critiche, in linea con la tutela dalla 56/89, se riconoscessero solo scuole etiche che non formano pseudo professioni… beh… vedi che nel giro di pochissimo tempo diverse strutture comincerebbero a rimodulare l’offerta per non rischiare di veder calare a picco i flussi di cassa ;o)

Spesse volte sento dire che i giovani psicologi escono dall’università senza avere strumenti e competenze e quelli che non intendono fare la psicoterapia è normale che si iscrivano a scuole per counselor per poter cominciare… UNA PANZANA COLOSSALE!

La premessa è vera – ahimé – ma la risposta non sono i counselor, ma eventualmente percorsi formativi in counseling psicologico rivolto solo a psicologi. Con la mia Società proponiamo questi percorsi e li apriamo solo a psicologi, quando ci chiamano altri, decliniamo gentilmente!

Sarebbe veramente semplice, ma capisci bene che una scelta del genere – politica e deontologica – ha poi risvolti su altre dimensioni a molti care 😉

Questa è la mia proposta: lavorare, informare, sensibilizzare la base a scelte di acquisto critiche, così da intaccare il portafoglio e portare a ritararsi. Non devono essere le istituzioni, ma i clienti :o)

Vorrei far presente che oltre a criticare il counseling è necessario criticare anche le scuole che li formano, che in una gran parte di casi sono le stesse scuole di psicoterapia. A me questo sembra un controsenso bello e buono, cioè, chi forma i couselor poi li critica? Perchè non cominciamo a fare casino contro quelle scuole che formano counselor facendovi entrare cani e porci per fare cassa? Perchè alla fin fine di questo si tratta

Laura. condiviso pienamente con Stefano , sono una psicologa e ritengo che gli Ordini dovrebbero diffidare gli psicologi che fanno formazione nell’ambito del counseling a non psicologi!!!!sono i primi ..i docenti psicologi di queste scuole che alimentano e generano aspettative improprie in chi si iscrive . é una vergogna !!!e poi ci lamentiamo perchè queste figure “ambigue” esercitano la professione dello psicologo nonostante non abbiano maturato competenze . e ricordiamo che i pazienti sono i primi a non capire e comprendere le differenze peraltro avendo loro un disagio di certo non andranno a chiedere i titoli di studio al loro “pseudo terapista “….Ma Chissà quali saranno le motivazioni profonde a fare i docenti psicologi in queste scuole .

I formatori dei counselor sono gli psicologi, così come ne diventano i supervisori, quando i counselor si trovano in difficoltà, con così pochi strumenti, nel gestire la complessità e drammaticità della sofferenza psichica. Si perpetua così la catena di errori deontologici che provoca danni non solo alla professione, ma a tutte le persone coinvolte. E’ necessaria sicuramente più serietà nell’operato di ogni singolo professionista, così come sarebbe necessario l’intervento dell’ordine nazionale per normare una materia così delicata.

Gentile Dott. Piccini,
studio psicologia e La disturbarbo per farLe 2 domande specifiche:

1) se l’antitrust ha rigettato la richiesta dell’Assocounseling e, come dice Lei, non l’ha fatto perché esula dalle proprie competenze ma perché era inammissibile (e quindi praticamente gli da torto), quali sono le conseguenze legali di questa presa di posizione? Significa che chi svolge l’attività di counselor ma non è uno psicologo è passibile di denuncia per esercizio abusivo della professione di Psicologo (che è un reato penale)?

2) Un laureato triennale in psicologia può fare counseling?

Personalmente ho letto la definizione che l’Assocounseling ha autonomamente assegnato alle mansioni dell’attività di counseling (che a questo punto, essendoci un buco legislativo non possiamo assimilare ad una professione) e le trovo sovrapponibili a molti ambiti della professione dello psicologo (specie quando cita anche quello sanitario, scolastico, ecc..), ma non essendo un avvocato il mio è solo un parere.

Tuttavia non sono certa (e in questo chiedo il Suo aiuto di esperto, per chiarirmi le idee) che un rifiuto dell’Antitrus possa essere equivalere ad una disposizione di dettaglio legislativo.
Secondo Lei è così?

Grazie per l’attenzione.

Cordialmente,

La posizione dell’Antitrust non decreta l’impossibilità di operare da parte di Counselor o, ancor meglio, di chi li forma.

Decreta però la legittimità dell’azione dell’Ordine Psicologi Piemonte – CHE INVITO A LEGGERE PER INTERO – e quindi apre la strada anche alla possibilità di alimentare ulteriori iniziative di questo genere ed esportarle anche in altri Ordini regionali.

Ad oggi chiunque, pure la mì nonna, può definirsi counselor ed anche senza iscriversi a qualche specifico Albo, proprio perché il famoso “riconoscimento” del CNEL è da intendersi proprio nel modo in cui loro stessi lo relativizzano ;o)

In ultima analisi, quello che necessita è un processo culturale che informi i colleghi e porti a maggiore pensiero critico. E questa comunicazione dell’Antitrust, assieme ad altre azioni, crea un terreno fertile su cui innestare questo processo

E’ dura, ci vorrà tempo ed impegno, ci proviamo! Sta a tutti noi, attivarsi e diffondere :o)

Ciao, Nicola,
mentre leggevo il tuo articolo, mi sono chiesto: come mai si è generata e si mantiene questa anomalia? Io credo siano principalmente 3 i motivi:

1. la scarsissima formazione pratica universitaria che anche al superamento dell’EdS mette sul mercato professionisti che sulla carta possono utilizzare strumenti psicodiagnostici e fare sostegno/riabilitazione, ma in pratica l’hanno solo studiato teoricamente;
2. l’evanescenza giuridica della figura dello psicologo: la 56/89 fornisce etichette che andrebbero operazionalizzate, definendo in modo preciso cosa compete allo psicologo. Così si risolverebbe anche il problema dei confini tra intervento psicologico e intervento psicoterapeutico, anche quelli molto fumosi. Sospetto però che non si voglia fare perché così non solo si “pesterebbero i piedi” alle scuole di counselling, ma anche ai medici psicoterapeuti e agli psichiatri che, pur non avendo fatto psicologia, fanno a tutti gli effetti gli psicologi (come se io facessi una specializzazione in cardiologia e diventassi automaticamente anche medico…).
3. la mancanza di promozione della Professione: eh sì, in tv vediamo continuamente campagne pubblicitarie sull’impotenza, sull’udito, sui disturbi del visus, addirittura pubblicità dei notai… Tutte organizzate dagli Ordini e dalle associazioni di categoria. Sono iniziate anche campagne a tappeto (la metro di Roma ne è piena) di corsi di counselling, problem solving, motivazione. E gli psicologi? La (lodevolissima) iniziativa della SIPAP per il mese del benessere psicologico la conoscevano a malapena metà degli psicologi. Voglio dire: se la gente si rivolge a counsellor, coach, pnllisti, grafologi, maghi etc. è perché fanno marketing e intercettano un bisogno di psicologia che noi ci lasciamo sottrarre. Non solo: la mancanza di promozione comporta anche che se una persona ha delle difficoltà relazionali/psicologiche o ha desiderio di sviluppare il proprio benessere psicologico, la prima figura professionale che gli viene in mente non è lo psicologo.

So che parlo di corda in casa dell’impiccato (tu e Sirri siete tra i pochi a occuparvi di queste tematiche), ma penso che si deve intervenire su tutti e 3 i fronti per ottenere un sostanziale restyling della nostra figura professionale. La via giudiziaria è un tassello. Ora bisogna anche mettere mano a tutto il resto.

Non sono una counselor, nè una psicologa, ma una pedagogista, altra figura professionale senza albo nè ordine (e, per quanto mi riguarda, penso sia una fortuna). Non sono per nulla d’accordo con il post e con le azioni che l’OPL Lombardia in particolare sta ultimamente adottando come forma di difesa decisamente e inequivocabilmente corporativa. Purtroppo non so come aggiungere qui il file della lettera aperta che Giorgio Piccinino, Sociologo, psicologo, psicoterapeuta, analista transazionale certificato, partner Centro E. Berne di Milano ha scritto ai giovani psicologi, i cui contenuti trovo di una saggezza e un realismo purtroppo sempre più rari. Sono disponibile a inviarla per mail e spero che sia pubblicata perchè il dibattito si faccia un po’ più approfondito…

Sicuramente avrete modo di lettere la lettera del Dott. Piccinino, così come alcune riflessioni a riguardo del Dott. Piccinini. Vedi un pò tu le coincidenze 😉

Stavo già pensando ad un articolo in cui si rende noto ai colleghi quella lettera, il comunicato che il coordinamento Counselor ha fatto girare a Marzo ed altre comunicazioni del genere.

Quindi, Silvia, non preoccuparti che i giovani psicologi avranno modo di leggere 🙂

Grazie
Nicola

@ Ciao Nicola,
la mia era, naturalmente, una provocazione.
Nemmeno io ritengo giusto, nè corretto che si chiudano le scuole, nè si disconosca nessuno che operi correttamente e nei limiti della legge.
Il problema sono gli “pseudoprofessionisti” che lavorano senza competense (e sono tantissimi, lo sai anche tu), che fanno danni a persone, a volte danni irreversibili.
E diciamocelo che gli ppsicologi che gestiscono queste scuole di counselling, coach & simili pensano solamente al guadagno facile e molto poco alla professionalità della formazione!
Concordo in pieno sulla sensibilizzazione dei clienti!
Grazie per la tua risposta 🙂

Caro Nicola, come ebbi a dire durante il periodo precedente alle elezioni per il rinnovo delle cariche, nelle liste che tu appoggiavi e che dicevi di votare, si potevano trovare colleghi che insegnavano a corsi per counsellor… allora eri daccordo? Io sono anche mediatrice e mi sento counsellor, così come sono fiorentina, italiana e cittadina del Mondo! Questo non toglie niente a nessuno… in altri paesi lo hanno già capito. In Italia, laddove arriva la politica si guasta qualcosa. Narcisismo? Paranoia? Bha, chissà… Forse bisognerebbe rifare tutti un “tuffo” nel sublime dell’immaginale, dove la Guerra è utile per arrivare al Vero Amore e non è “mera difesa del territorio” o funzionale alla “lotta di potere” (soprattutto economico).
Un caro saluto, Cristina

Sono contenta che qualcosa si sta muovendo, se c’è un iter formativo di anni in psicologia e psicoterapia significa, e io ne so qualcosa sono psicologa e psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, che con la salute psicologica della gente non si gioca e non si specula, bisogna fare pulizia e chiarezza perchè molti Counsellor non psicologi non sanno neanche cosa significa e come funziona il mondo interno delle persone, ma specialmente il loro. Quindi il Counsellor é dello psicologo la mia risposta è Si……

Nicola, è vero che l’età avanza e che sono “vittima” di venti anni di formazione come psicologa clinica, ma non credo che la mia memoria sia così compromessa! Se avessi tempo da perdere ricercherei i messaggi di posta elettronica… In ogni caso, poco importa. Credo che importante sarebbe arrivare dalla “rigidità” alla libertà! Come mi ha detto una cara amica psicologa di Edinburgo che ha fondato una scuola e tiene corsi per counsellor: “… ma questa è una sciocchezza! In UK e USA le competenze dello psicologo clinico e del counsellor sono ben diverse e definite”.
Che la gioia sia con te!

Che le figure professionali nell’ambito del lavoro psicologico debbano essere tutelate perché trattasi di un campo delicatissimo è un conto, che si difenda a spada tratta la propria conventicola per motivi prettamente economici è un altro.
Conosco fior di terapeuti non convenzionali, e pessimi psicologi che farebbero meglio a fare i gelatai, con tutto il rispetto. Per non parlare della rovina che diffondono intorno a sé decine di psichiatri (altra casta di intoccabili), forti del loro pezzo di carta, che propinano psicofarmaci a cuor leggero, spesso anche per tutta la vita, senza valutare i danni di quello che fanno. Come chiamarli “guardiani dell’Ordine?”, Basaglianamente parlando?

Cristina, prendo spunto dal tuo messaggio per avere un chiarimento: io ho studiato tecniche di counselling su diversi manuali, molti dei quali made in USA. Ma ancora una definizione e una distinzione così chiara dei ruoli dello psicologo e del counsellor non le ho trovate: in modo pragmatico, ci sono dei parametri concreti per distinguere le competenze? A parte la somministrazione/interpretazione dei test psicologici, cos’è che il counsellor non può fare e cosa può fare? Perché le uniche definizioni che ho trovato parlano genericamente di “strutture profonde” ma non si capisce in cosa un percorso di counselling sia differente da un percorso di “sostegno psicologico”. Penso sia molto utile definire in modo concreto le due figure, altrimenti non se ne esce.

non si rischia di diventare come la “lobby dei medici”? non è forse vero che gli psicologi soffrono del fatto di essere considerati di seconda serie rispetto agli psichiatri?
Quanti psicologi formati all’Università ci sono che fanno più danni che altro ?
Sono tutti così bravi e corretti gli psicologi?
Perché in altri paesi figure come il counselor, il naturopata, l’omeopata sono riconosciute?
Se il corso di counseling di tre anni fosse universitario?
Non tutte le persone hanno necessità di fare una psicoterapia Froidiana o Junghiana….
Oggi sempre di più da parte di molte persone, è richiesto un supporto temporaneo dettato da una situazione contingente a cui vogliono far fronte velocemente utilizzando le proprie risorse che in quel particolare momento fanno fatica ad attivare… o altro…. Perché non dovrebbe essere in grado di farlo un buon counselor, formato adeguatamente e se persona di buoni principi e corretta?
Nonostante io mi stia laureando in psicologia, non mi sento di ostacolare o non riconoscere, altre figure professionali che possono essere altrettanto valide nel rispetto dei presupposti di cui sopra.
Non diventiamo un’altra lobby per favore.

Il rischio è che diventi “la caccia alle streghe”… Come sempre qualcuno pagherà per tutti! senza contare che all’interno delle università ci sono docenti, psicologi e non, che organizzano master sulle cose più disparate. Ad esempio “Mediazione delle relazioni umane” all’interno della facoltà di scienze della formazione; poi aprono sportelli di ascolto tenuti dagli allievi. Come intenderanno muoversi gli ordini degli psicologi?
Per quanto riguarda le competenze del counsellor, un tempo il counselling veniva presentato come:
percorso di durata breve (10 incontri circa), con un obiettivo preciso (orientamento, supporto a certe situazioni)e poi sono stati proprio gli psicologi e gli psicoterapeuti a fare confusione. Mi informerò meglio.

Il counselling “psicologico” senza dubbio sì … Ma certo non il beautiful counselling né il counselling genetico né il counselling sanitario né il counselling filosofico… Il termine “counselling” ha una portata alquanto ampia e spazia attraverso competenze molto più vaste di quelle che può avere un singolo professionista.
Il counselling sistemico ad esempio riconsce radici pedagogiche, antropologiche narrative, filosofiche…. ma ssolutamente non psicologiche.

Ciao Nicola, ciao a tutti. In qualità di psicologo “depotenziato” ma saldo, mi piacerebbe poter stimolare un dibattito che probabilmente è già causa persa. Ma sono un irriducibile ottimista e così…
Ciò su cui vorrei porre l’attenzione riguarda i limiti enormi relativi alla possibilità concessa alla nostra professione di pubblicizzarsi. A mio avviso continuiamo a lottare contro i mulini a vento e non ci accorgiamo che non sono draghi quelli cui facciamo la guerra… A mio avviso stiamo facendo una lotta destinata, così com’è, alla sconfitta. Cosa dire a tutte quelle “scuole” che sostengono che il counseling è un modo per permettere a professionisti già attivi in altri settori di implementare le loro capacità di comunicazione? Ma contro chi stiamo lottando?
La lotta vera, a mio avviso, dovrebbe essere fatta CON chi ritiene, in nome di chissà quale strana idea di etica deontologica, che sia possibile farsi pubblicità in modo “decoroso per la professione” e stabilisce univocamente cosa si intende per decoroso (basti vedere le diversità esistenti tra ordini e ordini… semplicemente ridicolo!). Con questa solfa del decoroso siamo sostanzialmente impediti nel far conoscere alla massa cos’è che fa lo psicologo. E, come risultato, ancora oggi, continuiamo ad indulgere nella figura del castiga matti, del “grullaio” come si dice a Prato… non riusciamo a comunicare che lo psicologo non necessariamente si occupa di problemi gravi, di “pazzia”, di schizofrenia ecc. per i quali occorrono anni e anni di terapia, e che invece potrebbe occuparsi di risolvere piccole crisi, piccole magagne, potrebbe promuovere la salute, il benessere e così via… e lavorare serenamente senza dover difendere con le unghie e coi denti un orticello di per sé male coltivato… tutto ciò che invece i nostri “draghi-counselor” possono dire di fare… capisci cosa intendo? Loro (counselor, coach, mediatori, reflector, mentor ecc.) hanno carta bianca e godono pure di una sorta di mandato sociale che li vede occuparsi di persone “sane” e “normali” che desiderano solo migliorare un po’ il loro stile di vita!!! Dico io, saremo bischeri? Perché questa ostinazione nel mantenerci relegati a figure seriose, austere… per quale decoro? Che forse Nike, Adidas, BMW, Barilla, Ferrero ecc. non sono aziende decorose? Sarà il mercato ad operare una selezione severa verso chi si farà una pubblicità idiota. Andiamo a giocare nello stesso campo ed allo stesso gioco e vedrete che non esisterà più possibilità che qualcun altro faccia il nostro lavoro perché, in tutta onestà, siamo di lunga più preparati (nel nostro settore).
Detto questo nessuna delle professionalità di cui sopra mi spaventa né mi sento in conflitto con alcuna di esse. Però che tristezza dover occuparsi potenzialmente gioco-forza del disagio. Un caro saluto ed un grande in bocca al lupo a tutti i colleghi. Spero che il mio pensiero non abbia offeso né infastidito alcuno.
Marcello Carpini

Ciao Nicola,

condivido la tua azione contro l’abusivismo. Quello che mi sorprende è che fra gli iscritti e negli organi dirigenti di Assocounseling, l’associazione che ha inviato il ricorso all’antitrust, compaiono psicologi. Credo che gli ordini regionali dovrebbero attivare azioni di censura e eventualmente di espulsione di quegli psicologi che promuovono quello che a mio parere è un esercizio abusivo della professione di psicologo. Fammi sapere che ne pensi e se intendi attivare azioni in questa direzione.

Ciao,

Perdonate la costruttiva provocazione, vi chiedo un favore, sareste così gentili da indicarmi il vostro concetto di TERAPIA?
Credo che sia alla base di ogni parola che ho letto in questo sito
Grazie

salve a tutti,
interessanti tutta la discussione sul counseling…una domanda mi sorge spontanea…ma parlate di counseling o coaching???io sono sociologa, mediatrice familiare e counselor…ho seguito il corso da mediatrice familiare all’università diretto dall’AIMEF…mi hanno insegnato nei due anni di corso che essere mediatori familiari è REQUISITO FONDAMENTALE per poi accedere al corso biennale di counseling…mi hanno inoltre insegnato che sia la mediazione che il counseling sono attività che non possono essere(aggiungo ovviamente) svolte da un singolo professionista ma da più professionalità( sociologo,psicologo,assistente sociale,avvocato…)in team…negli ultimi anni mi trovo sempre di più a contatto con mediatori e counselor che svolgono la professione in assoluta “solitudine” e mi parlano di tutto forchè di mediazione e counseling…sempre più mi trovo di fronte COACH non counselor che usano il solo ( e assolutamente non accettato dai counselor AIMEF) strumento della PNL e creano dei gran casini perchè si ritrovano semplicemente a CONVINCERE l’utente (non paziente!!!) di qualsivoglia cosa invece che svolgere il delicatissimo lavoro di counseling ovvero di supporto relazionale e comunicazionale al soggetto cercando, attraverso il lavoro costruttivo delle varie figure professionali, di rendere il soggetto cosciente delle proprie reali volontà e capacità…io sono counselor da 6 anni e non ho mai lavorato da sola ma sempre in team con psicologi psicoterapeuti e socioterapeuti…al corso ci hanno insegnato che per lavorare bene è necessario che ogni professionista svolga esclusivamente il proprio lavoro…non mi sono mai arrogata il diritto di fare il lavoro dello psicologo o dello psicoterapeuta non è il mio ruolo e non ne sarei capace e cmq non mi sarebbe permesso…credo che negli ultimi anni si stiano formando con corsi di pochi mesi accessibili con il solo diploma molti coach che si arrogano il diritto di chiamarsi conselor…io ho fatto un corso post laurea al quale ho potuto accedere solo dopo il corso di mediatrice familiare…insomma con questa lunga disquisione volevo dire che sono d’accordo che il counseling debba essere effettuato da soggetti preparati e soprattutto che chi non è psicologo non debba entrare nella sfera della personalità etc…ma credo che lo psicologo non possa lavorare da solo!
ciao a tutti 🙂

Taty, non c’è nessun iter obbligatorio per diventare counsellor (o coach). Chiunque può scrivere nel proprio curriculum o sui biglietti da visita di essere counsellor o coach. Si possono fare scuole quadriennali, corsi di 2 giorni o anche nessun corso.
Riguardo alla mediazione, ora è prevista per legge una formazione obbligatoria per i mediatori civili. Ma non è scritto da nessuna parte che per fare il counsellor sia necessario fare prima mediazione familiare.

Riguardo alla collaborazione con altre figure professionali, non si capisce perché un counsellor dovrebbe lavorare in team con uno psicologo, dal momento che lo psicologo è esso stesso (per legge) un counsellor e anche più di un counsellor.

La posizione di Christian mi sembra semplificatoria: se fosse così non sarebbero ancora attive commissioni presso vari ministeri ( ad esempio presso il Ministero della Sanità, che delibererà in settembre in merito) per definire in modo serio la questione: bisogna tenere conto della realtà europea, che riconosce la figura del counsellor e ne individua le caratteristiche sia a livello di formazione che di obblighi etici e deontologici, e anche di ciò che accade nella realtà, dove la figura del counsellor ( formato, aggiornato e supervisionato in modo accurato) si dimostra di estrema utilità proprio in affiancamento con lo psicologo: parlo ad esempio di ambiti sanitari,nei quali la presenza del counsellor facilita la comunicazione fra sanitari e pazienti senza sostituire l’intervento, quando necessario, dello psicologo. Temo gli psicologi superficiali e sciatti che credono davvero quello che dice Christian, e cioè che basta aver posato piedi e altre parti del corpo in una facoltà di psicologia per essere counsellor: e la legge non lo dice, che io sappia.Psicologi, counsellor o coach, credete a una vecchia psicologa, psicoterapeuta e counsellor, il punto centrale è la preparazione. Poi c’è spazio per tutti

Cara Silvana, credimi che anche gran parte dei counselor si sente tale per aver posato piedi ed altre parti del corpo in qualche corsetto triennale, anzi… spesse volte in qualche corso flash ABC di 4 o 5 giorni. Quindi?

Convengo anch’io: il punto centrale è la preparazione! Prepariamo quindi meglio i giovani psicologi in tecniche di counseling ed evitiamo di svendere e scimmiottare la professione ai 4 venti!
E, per piacere, non tiriamo in mezzo l’Europa, perché sai benissimo che lì la situazione “counselor” ha tratti e contesti molto specifici e differenti dall’Italia. Temo gli psicologi superficiali e sciatti che credono davvero a quello che dice Silvana (fa piacere sentirselo dire, immagino 🙂

Cordialmente
Nicola

Non è un po’ una battaglia inutile? Mi ricorda l’altrettanto inutile guerra dei medici contro gli psicoterapeuti non medici, ovviamente fallita: sono un vecchio medico (non psico né cousellor) e quell’opposizione mi sembrava già allora stupida… Vogliamo ripetere quell’errore? I counsellor esistono altrove, sia pure con caratteristiche diverse da nazione a nazione; esistono e operano qui anche in contesti istituzionali: ho avuto modo di constatarne l’utilità; e comunque prima o poi avranno un ruolo formalizzato e riconosciuto. In linea di principio poi, mi sembra brutto svalutare in blocco un’altra professione: conosco scuole di counelling serissime e scuole di psicoterapia del tutto inattendibili… La guerra va fatta se mai contro i ciarlatani e gli incompetenti, che però esistono purtroppo in tutte le professioni.

Più leggo gli interventi alla discussione che si susseguono di volta in volta e più, sinceramente, mi sento stupida.
Ma com’è possibile non tenere conto che, per quanto nessuna corso di laurea sia perfetto e che ognuno di noi recepisce le informazioni in maniera diversa, un “non laureato” in psicologia non può raggiungere le competenze e la professionalità necessarie per lavorare con coscienza con le persone seguendo un corso biennale (quando lo è)?
Per la mia esperienza spesso i counsellor non sono laureati (hanno soltanto un diploma di maturità di qualche tipo) e se lo sono, lo sono in qualunque cosa (commercialisti, avvocati, laureati in lingue o in chimica o ingegneria, ecc…).
Quale substrato specifico hanno per il lavoro che vorranno intraprendere hanno?
Devo già aver detto in questo blog (e non per farmene vanto, ma perchè gli esempi preferisco farli sulla mia esperienza e non sul “sentito dire”) che dopo aver frequentato un corso di counselling e coaching di durata biennale, non mi sentivo sufficientemente preparata, in quanto la psicologia veniva data per scontata: il messaggio sotterraneo era “tutti possono fare tutto” e, se pur non più giovane, mi sono laureata in psicologia (triennale) e sto proseguendo con la specializzazione. Potrei chiedermi “ma chi me l’ha fatto fare”, considerato che nella suddetta scuola ho collaborato per 12 anni come organizzatrice dei corsi, tutor e docente (una pluri-ripetente): il corso l’ho vissuto e rivissuto più e più volte.
Ma me ne sono andata sbattendo la porta, dopo aver lottato fino allo spasimo per far sì che ci fosse selezione e serietà. Invece ho perso e non ho potuto far altro (forse vigliaccamente) che abdicare ed abbandonare, non volendo più essere identificata con quel genere di formazione NON professionale.
Quanti studenti adulti stanchi del loro lavoro, senza un minimo di cognizione in psicologia (e non è solo quella che andrebbe insegnata ai corsi), senza alcun titolo professionale qualificante, ho saputo che lavoravano, dopo aver seguito un paio, tre week end al massimo delle nostre lezioni, già sperimentandosi con persone (ahimè, povere vittime ignare) o magari, cosa ancora più grave, affiancando amici psicologi o psichiatrici che si avvalevano della loro collaborazione in team.
E’ davvero ora di finirla!
Sono d’accordo con Nicola su tutta la linea. Temo una psicologa (che si definisce “una vecchia psicologa, psicoterapeuta e counsellor”) che afferma che c’è spazio per tutti.
Come Nicola (cito) “Temo gli psicologi superficiali e sciatti che credono davvero a quello che dice Silvana”.
E mi sorge da tempo un’ulteriore domanda…
Prescindendo dalla coscienza personale con la quale si sono affrontati i percorsi di studio, uno psicologo/psicoterapeuta che ha studiato per 5 (o 3+2) anni per laurearsi in psicologia + 4 anni nella scuola di psicoterapia (con sforzi personali ed economici non indifferenti) perchè non si incazza davanti ad un counsellor che dopo solo due (max tre) anni di corso (quando sono due/tre effettivi e non qualche mese “mascherato” da corso triennale) gli ruba lavoro e professione?
Io che mi sto facendo un mazzo così per crescere professionalmente, mi incazzo da tempo e non poco!

Buon proseguimento a tutti voi!

Paola

p s sono insegnante di educazione fisica con esperienza di 35, credo di saperne abbastanza di relazione di aiuto, eppure, a me non sembra mai abbastanza…

Silvana, è chiaro che non basta aver fatto medicina per essere un buon medico o aver fatto un corso di idraulica per essere un buon idraulico.

Penso però che tu abbia le idee un po’ confuse riguardo alla professione di psicologo. Quando scrivi:

“parlo ad esempio di ambiti sanitari,nei quali la presenza del counsellor facilita la comunicazione fra sanitari e pazienti senza sostituire l’intervento, quando necessario, dello psicologo”

temo che anche tu confonda lo psicoterapeuta con lo psicologo. Nel tuo sito infatti parli del counselling come “non psicoterapia” e affermi che “In alcuni casi gli incontri di counselling consentono al cliente di prendere in esame la possibilità di intraprendere una psicoterapia. La parola “psicologo” e l’intervento dello psicologo non vengono mai citati. E questo vale per il tuo sito come per quello di tutti i counsellor.

Quindi ti rigiro la domanda: quali sono concretamente gli interventi dello psicologo (non psicoterapeuta)? Quando sono “necessari”?

La verità, come abbiamo spiegato nel nostro video, è che viene attribuito al counsellor ciò che andrebbe detto dello psicologo.

“…e la legge non lo dice, che io sappia”

Eppure dovresti saperlo: nella 56/89 si parla di sostegno, abilitazione e riabilitazione. Sarebbe sciocco cercare i termini “reflector”, “coach”, “counsellor” etc, se non altro perché la legge è scritta in italiano.

Ripeto: i counsellor vengono presentati come il gradino intermedio tra scuole superiori e psicoterapeuta. Ma quel posto tra scuole superiori e psicoterapeuta è già attualmente (e per legge) occupato dagli psicologi. Se si impiegassero tutte queste energie per formare meglio gli psicologi e per far riconoscere a livello sociale e culturale la figura dello psicologo sicuramente ci sarebbe più lavoro per tutti e più professionalità.

Ma – temo – così i soliti noti non potranno arricchirsi.

@Christian: il dibattito è quasi senza uscita, perchè il senso che ciascuno di noi dà alle parole non è lo stesso, e forse è inevitabuile che sia così. Da anni ho in supervisione(come psicoterapeuta) psicologi giovani e meno giovani, e ti assicuro che conosco il lavoro dello psicologo non psicoterapeuta e le sue difficoltà. Proprio per questo 25 anni fa ho cominciato a riflettere sulla impossibilità di offrire la stessa risposta (intervento psicologico) a persone che cercavano (in quel momento) un intervento diverso: ti parlo ad esempio delle esigenze di genitori di bambini con disabilità, che spesso sono bloccati sugli aspetti informativi delle problematiche del loro bambino (cosa ha, mi avranno detto tutto, perchè mi dicono cose diverse..)e non sono ancora pronti ad affrontare gli aspetti psicologici della nascita di un bambino disabile; o della scelta di un lavoro apparentemente incompatibile con le esigenze familiari, da parte di una persona che pensa di non avere il tempo di vedere le implicazioni psicologiche di quel problema. Un counsellor ben formato occupa questo spazio intermedio, accettando (senza “decodificare”) la richiesta del cliente , e assai spesso attua poi un invio efficace e maturo allo psicologo o allo psicoterapeuta. Perchè non può farlo subito uno psicologo? Perchè il suo linguaggio e la sua epistemologia sono appunto psicologiche, e lo portano a modalità comunicative non adeguate alle esigenze del cliente . Molti psicologi e psicoterapeuti hanno sperimentato questa differenza e frequentano (ORRRORRREEEE) i nostri corsi di counselling. E sanno intervenire con lo strumento del counselling quando lo ritengono opportuno, con quello del colloquio psicologico quando è il momento, e se sono terapeuti con quello della psicoterapia.Il fatto è che la lettura psicologica dell’essere umano e delle sue difficoltà non può essere l’unica: la formazione del counsellor(almeno nel caso di scuole serie) è basata sulle scienze umane, sulla pedagogia degli adulti, sulla linguistica e anche sulla psicologia. Ne esce un professionista non psicologo che fa cose diverse da uno psicologo, o se ha una formazione psicologica la integra e la completa. Detto questo, so perfettamente che non ci troveremo d’accordo ; ma questo non cambierà il fatto che almeno sul piano legislativo l’Italia non potrà legiferaree diversamente dagli altri paesi europei in materia di una professione che esiste ovunque. Secondo me sarebbe meglio integrarsi e vedere le opportunità di una convergenze dei saperi. Ma certo se la convinzione è che chi parla di counselling non abbia “saperi” il discorso si chiude qui.

@Silvana: probabilmente in questi 25 anni hai avuto la sfortuna di incontrare psicologi poco formati. A me sorprende leggere che

la formazione del counsellor(almeno nel caso di scuole serie) è basata sulle scienze umane, sulla pedagogia degli adulti, sulla linguistica e anche sulla psicologia

.
Mi sorprende per 2 motivi: il primo è che anche il corso di laurea che ho frequentato io aveva le stesse aree formative (più alcune altre). Io ho imparato le teorie e le tecniche di comunicazione (Bandler&Grinder, Ivey&Ivey etc.) e le teorie e le tecniche di colloquio (Egan, Gestalt, AT etc.) durante i 5 anni di psicologia.
Il secondo motivo per cui mi sorprendo è collegato al primo: leggendo i programmi dei corsi delle scuole di counselling vedo dei “Bignami” del corso di psicologia. Quello che vedo insegnare ai counsellor sono le stesse cose che ho imparato a Psicologia, ma con meno ore e un background di riferimento più ristretto. Penso sarebbe interessante che quelli che leggono il blog di Nicola vadano a confrontare di persona il contenuto dei corsi (e già che ci sono anche il numero di ore e i costi) confrontandolo con il corso di laurea in psicologia che hanno fatto…

Riguardo sui tuoi esempi, non riesco a capire: ci sono familiari confusi e disorientati di fronte alla malattia del figlio, persone indecise sul tipo di lavoro da intraprendere e/o in stallo rispetto alle pretese della famiglia. Ma, tu affermi, lo psicologo è incapace di gestire queste situazioni

Perchè il suo linguaggio e la sua epistemologia sono appunto psicologiche, e lo portano a modalità comunicative non adeguate alle esigenze del cliente

.
Nelle situazioni che hai descritto c’è bisogno di counselling, è innegabile. La differenza sta nel fatto che secondo te deve essere presente una figura “altra” dallo psicologo per farlo, mentre secondo me è lo psicologo che può utilizzare lo strumento del counselling.

Non lo sa fare? All’università non gliel’hanno insegnato in modo efficace? Lo impari. Paghi pure i vostri corsi o quelli di altre scuole. Quando uno psicologo esce dall’università senza saper somministrare e interpretare i test, va a pagarsi un corso che gli faccia recuperare quella competenza che, di per sé, dovrebbe avere. Trovo scorretto inventarsi la figura del “psicodiagnoster” non psicologo per sopperire alle incompetenze di quello psicologo. Lo stesso vale per il counselling.

Infine, già Nicola e molti altri qui hanno spiegato che è da ingenui continuare a fare il paragone con il resto d’Europa. Non facciamo disinformazione: in Europa gran parte delle nazioni consentono di esercitare la psicoterapia anche a sociologi, infermieri, assistenti sociali etc. Solo 4 nazioni su 27 riconoscono la psicoterapia come una professione autonoma e solo in altre 2 è una specializzazione di medicina e psicologia come da noi.

PS. Non ho mai visto un counsellor inviare ad uno psicologo. Ad uno psicoterapeuta sì, ma mai ad uno psicologo. Del resto, ripeto, andate a leggere i siti delle scuole di counselling e dei counsellor: la figura dello Psicologo non esiste.

@Christian Mi piace lo scambio, dimostra che ci sono persone su cui si può davvero dialogare al di là delle rivendicazioni meschine. Guarda che su moltissime cose la pensiamo allo stesso modo, ma se io ho avuto la “sfortuna” di incontrare psicologi non preparati ( ti assicuro che il campione è assolutamente casuale, chi viene o è venuto in supervisione da me mi incontra nei corsi di formazione nelle ASL, nei Consorzi, nei SERT e mi chiede onestamente e sinceramente aiuto perchè non si sente preparato e sa di poter fare danni: li apprezzo e li stimo per questo)tu hai la sfortuna di scoprire che molte scuole di counselling non sannno cosa insegnano; e se i loro programmi ( sono d’accordo) sono Bignami del corso di psicologia… è perchè ci insegnano solo psicologi e psicoterapeuti che di counselling non sanno nulla, e men che meno di formazione al counselling. La differenza fra fare antropologia, o linguistica, o studio delle organizzazioni all’Università e farla in un corso (serio) di counselling è che nei nostri corsi gli studenti sono 15: seguiti e tutorati minuto per minuto, aiutati a vedere immediatamente la trasfornmazione di quello che hanno letto e studiato in modalità di intervento nei diversi possibili ambiti, sanitari, sociali, interculturali ecc.; a rendersi conto delle proprie reazioni personali ad aspetti della realtà come il contatto con la morte,con il dolore,ma anche le reazioni di antipatia, o di eccessiva empatia, nei confronti di un cliente,e a iniziare subito un percorso personale con un counselor, con uno psicologo o con uno psicoterapeuta: e che lo stuidente abbia il titolo di counsellor dopo i tre anni non è affatto scontato, dipende dalla valutazione che i docenti danno del suo sviluppo personale e professionale nel corso dei tre anni.
Riguardo alle situazioni che ti dicevo, non dico che lo psicologo è incapace: dico che spesso il linguaggio che usa – che ha imparato a usare- non è quello che le persone sono in grado di ascoltare: la nostra counsellor che lavora in Terapia Intensiva Neonatale accoglie i genitori dopo il ricovero del bambino, li aiuta a mettere insieme le informazioni che hanno ricevuto, a prendere contatto pian piano con la realtà della situazione, a gestire megliuo il rapporto con i medici ecc. Prima di lei c’era una psicologa, brava, preparata, ma che i genitori in quei momenti iniziali rifiutavano perchè accelerava troppo, parlava di loro e delle loro emozioni, cercava di aiutarli a superare il dolore: troppo presto. Dopo due-tre colloqui con il counsellor ti assicuro che la proposta “perchè non ne parla con la psicologa” viene quasi sempre accolta. La stessa cosa succede negli sportelli per il disagio e la fragilità sociale che abbiamo in diversi consorzi: mandare un neo disoccupato disperato dallo psicologo è impossibile. Dopo qualche colloquio con il counsellor l’adesione agli invii è altissima.
Allora, come dici tu, il problema è la formazione: ma all’Università quando sono stata proposta per un insegnamento di tecniche di colloquio di counselling c’è stata l’opposizione di uno psicoterapeuta (adleriano) che ha sostenuto che il counselling lo devono insegnare gli psicoterapeuti. E allora non ne usciamo: l’obiettivo sarebbe una preparazione più approfondita sulle diverse modalità di colloquio all’Università,e una formazione post laurea che porti lo psicologo (come mi sembra di aver capito hai fatto tu) a diventare counsellor psicologico. E una regolamentazione rigorosa dell’iter formativo e della collocazione professionale del counsellor non psicologo, che può essere utile in tutta una serie di ambiti, anche per facilitare l’invio allo psicologo, o allo psicoterapeuta. Quando dico che c’è spazio per tutti, intenbdo per i professionisti seri; che studiano; che si preparano; che si mettono in discussione.E per fortuna ce ne sono tanti.Non dovrebbe essercene per chi è convinto che portata a casa una laurea questo basta per sentirsi capaci di fare tutto; e neanche per chi propone formazioni dequalificate e abborracciate.

Riguardo sui tuoi esempi, non riesco a capire: ci sono familiari confusi e disorientati di fronte alla malattia del figlio, persone indecise sul tipo di lavoro da intraprendere e/o in stallo rispetto alle pretese della famiglia. Ma, tu affermi, lo psicologo è incapace di gestire queste situazioni

Perchè il suo linguaggio e la sua epistemologia sono appunto psicologiche, e lo portano a modalità comunicative non adeguate alle esigenze del cliente

.
Nelle situazioni che hai descritto c’è bisogno di counselling, è innegabile. La differenza sta nel fatto che secondo te deve essere presente una figura “altra” dallo psicologo per farlo, mentre secondo me è lo psicologo che può utilizzare lo strumento del counselling.

Non lo sa fare? All’università non gliel’hanno insegnato in modo efficace? Lo impari. Paghi pure i vostri corsi o quelli di altre scuole. Quando uno psicologo esce dall’università senza saper somministrare e interpretare i test, va a pagarsi un corso che gli faccia recuperare quella competenza che, di per sé, dovrebbe avere. Trovo scorretto inventarsi la figura del “psicodiagnoster” non psicologo per sopperire alle incompetenze di quello psicologo. Lo stesso vale per il counselling.

Infine, già Nicola e molti altri qui hanno spiegato che è da ingenui continuare a fare il paragone con il resto d’Europa. Non facciamo disinformazione: in Europa gran parte delle nazioni consentono di esercitare la psicoterapia anche a sociologi, infermieri, assistenti sociali etc. Solo 4 nazioni su 27 riconoscono la psicoterapia come una professione autonoma e solo in altre 2 è una specializzazione di medicina e psicologia come da noi.

PS. Non ho mai visto un counsellor inviare ad uno psicologo. Ad uno psicoterapeuta sì, ma mai ad uno psicologo. Del resto, ripeto, andate a leggere i siti delle scuole di counselling e dei counsellor: la figura dello Psicologo non esiste.

Io sono davvero interdetta…
“[…] mandare un neo disoccupato disperato dallo psicologo è impossibile. Dopo qualche colloquio con il counsellor l’adesione agli invii è altissima”…
Ma come sarebbe che dopo qualche colloquio con il counsellor l’adesione aglil invii è altissima?
Non sarà che dobbiamo ridefinire la figura dello psicologo?
Magari far capire alle persone che lo psicologo (e lo psicoterapeuta), non sono i “medici dei pazzi” come si pensava un tempo?
E’ gravissimo che una psicologa/psicoterapeuta dichiari queste cose, sta remando contro la categoria.
E’ come dire che un insegnante con un po’ di formazione “specifica” può andare a fare il commercialista o un avvocato può andare a fare l’assistente di sedia dell’odontotecnico. E che i pazienti si fiderebbero di più perchè non hanno formazione specifica e si esprimono in maniera “meno tecnica”.
Gli esempi sono volutamente forti e provocatori…sono senza parole!
Questo è abuso di professione.

Mah, purtroppo è meglio se si comincia a comportarsi da corporazione, proteggere noi che hanno fatto un percorso di studio lungo e poco apprezzato. Si deve inizziare in primis con le università, che formano più psicologi che il mercato è capace di assorbire. Bisognia premere perchè ci sia per legge una presenza di psicologi in tutte le ospitali, e bisognia cominciare a pensare i requisiti necessari se si vuole lavorare in ambito di cura.
Scrivo questo da un laureando incavolato che ha scappato all’estero in cerca di lavoro.

Bah! Io sono basita! Ma di cosa stiamo parlando? Lo sappiamo tutti cosa fanno i counselors. E a me non sta bene per niente sapere che chiunque possa fare il mio mestiere senza titoli e non mi sta bene sapere che alcuni nostri colleghi, solo ed unicamente per riempire le loro tasche, facciano corsi di questo genere a persone che non sanno niente di psicologia. Non gli è chiaro il punto che il solo insegnare l’uso di strumenti psicologici a chicchessia è già una violazione? E allora??? Cosa sono tutte queste sviolinate sui counselors più bravi o meno bravi degli psicologi??
Ve ne racconto una:
Appena qualche mese fa ho distolto una signora dal fare un corso triennale di questo genere. Lei si è diplomata al liceo artistico e fa la badante, baby-sitter e cose del genere. L’hanno talmente “infinocchiata” che un giorno mi ha detto che saremmo diventate colleghe.
Le ho risposto, cortesemente, che sarebbe diventata una mia collega solo se avesse fatto un percorso “istituzionale” come ho fatto io, e le ho spiegato pazientemente come fare. Lei mi ha ribadito il fatto che le era stato detto che si trattava di una scuola riconosciuta legalmente, solo che era privata, perciò faceva prima. Tra l’altro, la cifra che mi ha riferito era considerevole. Quando è andata a chiedere spiegazioni al “nostro collega psicologo” che teneva il corso, lui ha cambiato versione e le ha rifilato altre baggianate tipo: “siamo già ad un buon punto per il riconoscimento. Si figuri che c’è già un’associazione riconosciuta!”
Ora, io non mi vorrei alterare ancora, ma vorrei dire, a chi ha orecchie per intendere, che per me il dialogo non esiste quando si parla su due registri diversi. Io posso dialogare con chi mi porta degli argomenti e mi mette la cosa su un piano di realtà e cioè che i counselors fanno delle cose PSY, per cui vogliamo trovare una soluzione o continuare a dire cose senza senso? In quanto alla bravissima counselor (di cui si riferisce qualche post fa) che lavorava in ospedale, come cavolo ha fatto ad entrarci, visto che le aziende ospedaliere non ci vogliono neanche gli psicologi (andando contro la legge)se non specializzati??? Ah! poi, per quanto riguarda l’esame di counseling, io mi sono sciroppata una anno tra esame scritto e orale, seminario, pratica in mezzo alla strada tra senzatetto, prostituzione e umanità varie. Se lo sapevo, avrei detto al mio prof. : “tanto ci sono i counselors!Mica ci vuole lo psicologo!”
Ma andiamo….! la verità è che abbiamo le serpi in seno…..altro che nemici farmaci!

Silvana, quello che continuo a non capire è:
perché se lo psicologo non è capace di comunicare con i clienti si deve inventare una figura “terza” come il counsellor?

Ci sono psicologi incapaci di promuovere il benessere psicologico. Non per questo si sente l’esigenza di “benessering”.
Ci sono molti psicologi che non sanno fare psicodiagnosi. Ne conosco parecchi. Non per questo si istituiscono scuole di “psicodiagnoster”.

Ma sono certo che se la legge non lo impedisse, spunterebbero ovunque costosissime scuole di “psicodiagnostering” come funghi. Aperte a tutti, ovviamente. C’è spazio per tutti, no?

Dopo l’esplosione di livore che ho provocato, faccio un ultimo tentativo di chiarire il senso del mio lavoro di formazione al counselling, anche utilizzando alcune cose scritte in risposta alle mie note.
1- Se la gente continua a credere che lo psicologo è il medico dei matti la colpa non è dei counsellor; è della scarsa preparazione fornita agli psicologi, e della conseguente difficoltà che incontra lo psicologo a adeguare i suoi interventi alla richiesta di persone che sono infastidite, spaventate, disturbate da un linguaggio troppo “psico” in un momento della loro vita in cui sentono l’esigenza di un approccio diverso
2- In molte realtà, specie sanitarie, sono le associaioni di genitori, quelle di familiari di pazienti e di pazienti che chiedono spesso una figura complementare o alternativa allo psicologo, per i motivi che ho detto. Spesso lo psicologo non specificamente preparato al colloquio non psicologico accelera troppo, a fin di bene certamente, e non riesce a sintonizzarsi con l’esigenza del malato o del familiare. Visto che vi piacciono gli aneddoti trucidi, che ne dite della nostra giovane collega che si è presentata al letto di un ragazzino appena operato di cancro, per il quale i medici stavano accuratamente preparando con i genitori la modalità più idonea per informarlo nei tempi e nei modi dovuti della sua malattia, annunciando garrula “Ciao, io sono la psicooncologa”???
3- Esiste, che lo si voglia accettare o no, un colloquio non psicologico. Arroccarsi sull’idea che l’unica forma di colloquio di aiuto sia quella psicologica è la causa principale dell’arretratezza delle formazione universitaria italiana. Se poi, come in alcune facoltà triennali, viene cancellato anche l’insegnamento del colloquio tout court, siamo nel delirio
4- Come tutti i cambiamenti, la comparsa e la diffusione della figura del counsellor dovrebbe servire più a chiedersi cosa l’abbia resa possibile che a strepitare sul fatto che non dovrebbe esserci. Se riflettiamo sul senso, probabilmente vediamo, come Christian, che non serve una figura intermedia ma una modalità di intervento che nella formazione dello psicologo finora non è stata sviluppata. Basata su competenze, strumenti, saperi che per ora stanno maturando nelle scuole di counselling perchè l’università non le accoglie, o peggio le affida a persone che non le hanno nè praticate nè studiate ma alle quali “tocca” una cattedra per anzianità o diritti acquisiti. Se e quando gli psicologi ammetteranno (come molti dei nostri corsisti) di avere la necessità di imparare a svolgere interventi di counselling, invece di rivendicare il diritto di farli per il semplice fatto di avere una laurea, se ci saranno più psicologi capaci di offrire una gamma di risposte diverse alle richieste di persone in situazioni diverse, magari i counsellor non psicologi spariranno, avranno fatto il loro tempo, si riveleranno meno rispondenti alle esigenze delle persone( e il mondo non sarà nè migliore nè peggiore di prima). Il punto chiave di tutto è la formazione. Se la battaglia contro i counsellor servirà a riflettere sulla qualità della formazione dello psicologo la nostra professione ne avrà solo dei vantaggi. Basta non sbagliare il bersaglio:far sparire qualcosa che ormai esiste non sarà possibile, rioccupare spazi utilizzando la competenza e la professionalità probabilmente sì.

Siccome la gente vede lo psicoterapeuta come un “medico dei pazzi” e ci sono psicoterapeuti incapaci di adattare al cliente il proprio linguaggio e la propria metodologia di intervento, allora promuoviamo una figura alternativa. Insegniamogli 3-4 tecniche di base, facciamogli un riassunto della formazione decennale che ha uno psicoterapeuta e mandiamolo a svolgere il lavoro che la legge prevede sia svolto dagli psicoterapeuti, con l’unica raccomandazione di non dire mai la parola “psicoterapia”.
Mi sembra un’ottima idea.
Ah già, che sbadato: questa figura esiste già. Si chiama counsellor.

Al di là dell’umorismo, Silvana, penso che hai centrato il punto: formiamo gli psicologi a fare gli psicologi.
E allora perché “far sparire qualcosa che ormai esiste”? Già, perché impedire a quei tanti poveri odontotecnici che si improvvisano dentisti di esercitare? Perché denunciare quei tanti volenterosi che fanno un corso di medicina alternativa o di theta healing e vanno a guarire le persone? La gente ci va così volentieri!

Il punto chiave è tutto nella formazione. Lo sottoscrivo. Allora iniziamo a chiudere i rubinetti che portano energie, denaro e posti di lavoro verso la formazione dei counsellor e apriamo quelli che alimentano la formazione degli psicologi.

Un discorso che condividerebbe chiunque, no? Eppure – non so perché – ho la sensazione che i tanti psicologi, psichiatri, psicoterapeuti e guru che si arricchiscono con il counselling-ai-non-psicologi non lo troveranno così condivisibile…

formazione, cara formazione…
da qui a breve ci attendono novità veramente stimolanti sul fronte della tutela :o)

servirà l’aiuto e l’attivazione di tutta la base dei colleghi, ma le novità per chi svende competenze psicologiche a non psicologi sono abbastanza succolente 😀

stay tuned!

Una domanda s Silvana…perchè hai fatto la psicologa/psicoterapeuta e hai studiato tanto, se ti bastava essere counsellor (ah già forse ai tuoi/nostri tempi non era ancora stata inventata. Che peccato!
Hai studiato tanti anni inutilmente e ti sei formata in cose altrettanto inutili, giacchè ora ci vogliono personaggi che non parlino in linguaggio tecnico, che non siano “competenti in materia”, per essere accettati dai pazienti (ops, scusa, clienti), perchè lo psicologo non è adatto ad approcciarli.

Chritian, hai diimenticato i cartomanti.
Lo sai che la gente spende centinaia di migliaia di euro per andare a farsi leggere la meno e le carte, ma non va volentieri dallo psicologo, nè dallo psicoterapeuta?

Se poi, leggedo un po’ meglio gli scritti di Silvana, lo psicologi imparasse anche a parlare e scrivere in italiano corretto, tanto meglio…ma forse no, perchè poi la persona comune, non riuscirebbe a capire ciò che dice…meglio rimanere al suo livello!

Nicola, spero davvero che tu ci porti buone notizie in questo senso, perchè al di là delle nostre opinioni discordanti, questa piaga dilagante continua ad espandersi…e qualcuno dice:
“Dopo tutti i soldi che le centinaia di migliaia di counsellor hanno speso per formarsi (e tutti quelli che le scuole di counselling gestite da psicologi/psicoterapeuti incassano), vorrete mica che tolgano loro il titolo e la possibilità di esercitare? Succederebbe una rivoluzione”.

Eh già, siamo in Italia…
una bella sanatoria che trasformi il diploma di counselling come minimo in laurea triennale, equivalente alla triennale in psicologia, vuoi che non la inventino?

L’aspetto incredibile è che il MIUR riconosce le scuole di Psicoterapia private consentendogli l’insegnamento mentre queste stesse scuole non riconoscono l’istituzione dell’università italiana affermando che gli Psicologi sono solo dei testisti !?!

Volevo precisare l’intervento precedente:
1)ovviamente mi riferivo solo ed esclusivamente alle scuole di Psicoterapia private che propongono corsi di formazione per Counselor;
2)mi è capitato di sentirmi dire che in fin dei conti l’unico strumento peculiare dello Psicologo sono i test psicologici ecco perchè ho scritto che in parte le scuole succitate non riconoscono l’università italiana (come se gli insegnamenti ivi appresi riguardassero esclusivemente la psicodiagnosi e i test): uno dottore in Psicologia per poter somministrare test psicologici deve essere iscritto al relativo ordine. (E l’osservazione?, la relazione?, il sostegno???). E aggiungo che in parte non riconoscono nemmeno l’ordine degli Psicologi in quanto ignorano un tirocinio formativo di 900 ore e il superamento di un esame di stato (oltre alla continua formazione continua cui siamo giustamente obbligati).

Di fatto, su tutto il territorio nazionale i Counselor vengono formati soprattutto da Psichiatri e filosofi applicati..e ancora da alcuni Psicologi, ben noti a Barcucci. come fermarli davvero?

Io sono un laureando in psicologia clinico-dinamica all’università di Padova. Ho fatto anche una scuola triennale di counseling. Mi manca un esame per laurearmi e mi sto giocando il 110 e lode… Facciamo un po’ di paragoni tra psicologi e counselor:

psicologia a Padova si dice sia una delle migliori in Italia. Penso che questo sia vero.

Io, che frequento una delle più prestigiose facoltà di psicologia italiane, mi sento truffato dalla mia università. Mi sono iscritto per imparare a fare lo psicologo clinico e non me l’hanno insegnato. Tanta teoria, insegnata in modo slegato dalla pratica. Esami che l’unica cosa che sono in grado di misurare è la capacità di imparare a memoria. Quello che dico non è vero per il 100% dei casi ma l’80% sì. Ho dato circa 40 esami in questa facoltà è gli insegnanti che hanno favorito lo sviluppo di competenze in me si possono contare sulle dita di una mano.

Meno male che ho fatto l’erasmus e la scuola di counseling. Senza queste esperienze sarebbe ben poco etico permettermi di esercitare.

Nelle scuole di counseling c’è molta pratica e spesso per ricevere il diploma bisogna aver fatto dalle 40 alle 120 ore di terapia.

Gli psicologi quando si iscrivono all’albo, generalmente, non hanno mai visto una seduta (o comunque non la sanno condurre), non sono andati in terapia, e hanno ricevuto in gran parte informazioni teoriche slegate dalla pratica. Questo percorso è stato spacciato loro come formativo alla professione di psicologo e quindi si sentono competenti in tale professione.

Qiundi concludo a chiare lettere: CI MERITIAMO LA CONCORRENZA DEI COUNSELOR CHE SPESSO SONO PIU’ FORMATI DEGLI PSICOLOGI. CI LA MERITIAMO PERCHE’ ABBIAMO ACCETTATO UN SISTEMA EDUCATIVO FALLATO E FALLACE.

gentile Salvo, ti ringrazio del contributo ma mi permetto di farti notare che fa un pò di confusione 😉

Lo stato dell’arte della formazinoe universitaria è sotto gli occhi di tutti. Il fatto che si esce spesso impreparati è vero. Anche il fatto che i nostri Ordini dovrebbero mettere maggiormente spalle al muro l’università è parzialmente vero.

Il passaggio fallato del tuo commento è che tale situazione, per quanto reale e condivisibile sia, NON DEVE comunque dar luogo al fatto che poi, fuori dall’università, quelle che sono tecniche psicologiche vengono offerte ai quattro venti!

Che si organizzino corsi di counseling privati dedicati SOLO E COMUNQUE a psicologi!

E che se vi partecipano professionisti, che tali tecniche vengano usate internamente alla loro professione e NON per creare una nuova figura professionale!

Capisci la differenza??

Si può benissimo continuare ad offrire counseling, ma rimanendo dentro la 56/89 e tutelando la professione di Psicologo!

Ma capisco che i flussi di cassa sono una variabile prioritaria per tante strutture formative…

E non mi si dica neppure che il counseling esiste in tanti altri paesi al mondo perchè è vero che esiste, ma con forme molto diverse tra loro e comunque con assetti legislativi diversi dal nostro! Che se lo vadano a fare all’estero se lo gradiscono…

Pratico la professione del counsellor in Inghilterra. Qui la professione e’ rispettata sia da psicologi che da clienti (pazienti, se preferite). Anzi, una mia conoscente sta studiando per diventare psicologa e vi posso garantire che lo studio di counselling e’ molto piu’ arduo. Qui il counsellor e’ praticamente simile allo psicoterapeuta. Infatti l’associazione principale e piu’ famosa usa entrambe le parole nel proprio nome (British Association for Counselling and Psychotherapy – bacp.co.uk). Qualsiasi persona che ti dira’ di aver ricercato aiuto psicologico, ti parlera’ del counsellor e raramente dello psicologo.

Cio’ che sto vedendo in Italia e’ assurdo, perche’ molti psicologi non sanno cos’e’ veramente il counselling. Concordo che diversi corsi di counselling in Italia non sono adatti a formare counsellors e anzi, alcuni corsi non dovrebbero usare tale nome perche’ ne stanno sminuendo il vero significato. Pero’ l’ordine degli psicologi farebbe bene a focalizzare l’attenzione su singoli individui che ritengono non sufficientemente adatti alla professione invece di parlare del counselling in generale, perche’ evidentemente non sanno di cosa si tratta.

In Inghilterra psicologi, counsellor e altri professionisti della salute mentale lavorano spesso in gruppo in ospedali, scuole e carceri e tutti vengono trattati come professionisti. Ognuno ha poi un compito diverso. Il counsellor e’ di solito quello che vede regolarmente il cliente in terapia. Molti psicologi mandano clienti a me proprio per questo.

Cio’ che sta succedendo in Italia sarebbe incomprensibile per gli psicologi in Inghilterra.

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