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Psicologi & Professione

CASSAZIONE: Psicoanalisi = Psicoterapia

Importante posizione della Cassazione: la psicanalisi viene equiparata alla psicoterapia e richiede quindi regolare iscrizione all’Albo degli Psicologi ed iscrizione all’elenco degli Psicoterapeuti. Ma andiamo per ordine…

Che la Psicoterapia sia un’attività riservata a Psicologi o Medici che abbiano completato una Scuola quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia riconosciuta dal MIUR e che siano iscritti all’elenco degli psicoterapeuti del proprio Ordine professionale è fatto noto e risaputo.

La Psicoanalisi è invece da sempre sfuggita a questo vincolo, smarcandosi dalla Psicoterapia e quindi potendo essere svolta al di là dell’iscrizione in tale “elenco psicoterapeuti”.
Ovviamente è impossibile comprimere tutto il confronto culturale e politico-professionale di psicanalisi-psicoterapia-psicologia in poche righe, così come non è possible ricondurre la questione ad elementi o aspetti stereotipati. E’ questione complessa. Tuttavia possiamo affermare – ai fini del presente post – che la gran parte delle Scuole di Specializzazione in Psicoanalisi ha poi ottenuto l’accreditamento MIUR e quindi abilita lo specializzando a poter divenire Psicoterapeuta “a norma di legge”. Così come possiamo affermare che alcuni “pseudo-professionisti improvvisati”, quando colti con le mani nella marmellata, si appellano al fatto di essere psicoanalisti e così aggirano il problema del rischio di denuncia per abuso di professione. In pratica questa DEREGOLAMENTAZIONE della psicoanalisi permette zone franche di potenziale abuso della professione di Psicologo.

Veniamo quindi alla posizione della Cassazione [scarica documento] ed alla sua importanza in ottica di tutela della professione.

Nel 2008 l’Ordine Psicologi Emilia Romagna denunciò per abuso una persona per pratica abusiva della professione di psicologo e psicoterapeuta. In un primo momento il Tribunale di Ravenna assolse la persona, successivamente – nel 2010 – la Corte di Appello di Bologna dichiarò invece l’imputata colpevole del reato ascrittole.

La persona decise di ricorrere quindi in Cassazione affermando in sintesi che la psicoanalisi non ha nulla a che fare con psicologia o psicoterapia, e che quindi non ha motivo di sussistere nessun reato. Ed è proprio su questo ultimo passaggio che la Cassazione si esprime:

ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p., l’esercizio della attività di psicoterapeuta è subordinato ad una specifica formazione professionale della durata almeno quadriennale ed all’inserimento negli albi degli psicologi o dei medici (all’interno dei quali è dedicato un settore speciale per gli psicoterapeuti). Ciò posto, la psicanalisi, quale quella riferibile alla condotta della ricorrente, è pur sempre una psicoterapia che si distingue dalle altre per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali, emotivi e comportamentali.”

Ed ancora:

Nè può ritenersi che il metodo “del colloquio” non rientri in una vera e propria forma di terapia, tipico atto della professione medica, di guisa che non v’è dubbio che tale metodica, collegata funzionalmente alla cennata psicoanalisi, rappresenti un’attività diretta alla guarigione da vere e proprie malattie (ad es. l’anoressia) il che la inquadra nella professione medica

Quindi non solo la psicanalisi è pur sempre una psicoterapia, ma anche il “colloquio” può rientrare in una vera e propria forma di terapia che, se declinata e diretta alla guarigione, è da inquadrarsi nell’ambito regolamentato da legge!

Cari colleghi, a mio avviso è una sentenza di rilievo ed importante strumento di tutela!

Da oggi, per scendere nel pratico, ove si ravvisi attività terapeutica svolta da soggetti che si propongono come psicoanalisti, ma sprovvisti di regolare iscrizione all’Albo degli Psicologi, sarebbe possibile effettuare una segnalazione al proprio Ordine regionale per abuso di professione, allegando la presente sentenza della Cassazione.

È ulteriormente importante in quanto sentenzia su una dinamica molto simile a quella che avviene con il counseling ed i counselor, o comunque tutte queste professioni affini.

Di fatto – ad oggi – se non sei psicologo non puoi dire di fare “counseling psicologico”, ma se parli esclusivamente di “counseling” aggiri il problema e – nella sostanza – scimmiotti la nostra professione.

Purtroppo in questo ambito la terminologia sostanzia la differenza. Servirebbe dunque una giurisprudenza che riconduca il termine “counseling” alla professione di Psicologo, alla 56/89… ma di questo vi parlerò in un prossimo post ;o)

43 risposte su “CASSAZIONE: Psicoanalisi = Psicoterapia”

Se non ho navigato male nella Rete nel poco tempo a disposizione già in una sentenza del 2008 si affermava che: “l’esercizio della attività di psicoterapeuta è subordinato ad una specifica formazione professionale della durata almeno quadriennale ed allo inserimento negli albi degli psicologi o dei medici (all’interno dei quali è dedicato un settore speciale per gli psicoterapeuti); la psicanalisi è una psicoterapia che si distingue dalle altre per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali, emotivi e comportamentali”. Ecco il link: http://www.accademiaperlaformazione.it/fileallegati/SENTENZA_24_aprile_2008,_n._22268.doc

In questo documento, però, non si menziona così specificatamente il colloquio.

Caro Nicola, mi spiace ma questa volta non vedo proprio niente di cui congratularsi. Purtroppo il testo della sentenza che tu citi, parla ripetutamente di professione medica e guarigione da malattie. Il prossimo passo è che gli psicologi non avranno diritto ad esercitare, etc. Una storia così vecchia! Ancora a questo punto siamo. Possibile che non si possa ancora concepire che la trasformazione psichica richiede sofisticate competenze ma non ha niente a che fare con l’essere “malati”?
Secondo me è mentalmente molto più sano per la nostra società che ci siano persone che a vari livelli, pretesi counselor o supposti psicanalisti, cercano di aiutare altri attraverso la relazione che non continuare a sostenere una posizione difensiva che ci fa diventare grotteschi come i medici quando sostenevano che solo loro potevano fare la “diagnosi” o “curare” le persone e invece noi psicologi no. Ci sono un mucchio di ciarlatani nella nostra categoria, anche se hanno tutte le carte in regola. Sarebbe più utile fornire alla gente informazioni utili a capire come orientarsi invece di preoccuparsi tanto dei counselor.
Libertà, anche di sbagliare, è fondamentale per il benessere mentale. Noi psicologi dovremmo sapere meglio di chiunque altro che i pezzi di carta non offrono alcuna garanzia e che le costrizioni non hanno mai prodotto grandi risultati. E’ importante che ognuno sia chiaro circa i propri requisiti e il proprio percorso, poi lasciamo che la gente scelga in santa pace e se ci preferisce un counselor ci sarà pure un motivo…

X SAMUELA

la dicitura “medica” è una patacca appiccicata dall’estensore della sentenza per ignoranza. Fortunatamente è conseguenziale del procedente paragrafo che riconduce sia la psicoterapia che la psicoanalisi a psicologi o medici adeguatamente specializzati come previsto da legge. Quindi si disinnesca qualsiasi potenziale rischio di interpretazione strumentale

farei inoltre attenzione a non confondere la figura dello PSICOLOGO con quella dello PSICOTERAPEUTA. La sentenza parla dello PSICOTERAPEUTA e NON dello PSICOLOGO. E lo psicoterapeuta è indubbio che abbia più a che fare con aspetti di disagio e disturbo. Quindi la sentenza NULLA toglie allo psicologo in termini di intervento per la promozione di benessere e crescita. Di fatto, lo psicologo può continuare a riposizionarsi in ambiti di relazione, facilitazione, convivenza, benessere, ecc… tranquillamente. La sentenza parla dello PSICOTERAPEUTA

più che altro, dovremo essere noi – psicologi – a muoverci efficacemente, a riposizionarci e promuoverci sul versante del benessere, a differenziarci chiaramente dalle dimensioni di cura, ma questo attiva altre situazioni ed iniziative… la sentenza non tocca assolutamente tale ambiti ed è solo che positiva (per ciò che riguarda la specializzazione psicoterapeutica)

Si, é una conquista professionale perchè, da questa sentenza in poi, si evince che la normativa dell’esercizoo dell’attività di psicoterapia sarà più lineare e garante per l’utente.
In parallelo mi viene da dire che, noi iscritti, dobbiamo diventare più competenti, scientificamente più preparati. Quanta psicologia ingenua, del senso comune, viene veicolata anche dai professionisti in materia! A questo riguardo, non possiamo negare che un buon numero di pscoanalisti, pur avendo fornazione non omologa, “sa” parlare di psicoanalisi e delle sue evoluzioni. Inoltre, se consideriamo che l’attuale trend scientifico è dettato dalle neuroscienze cognitive, il polo filosofico psicoanalitico di buon livello, completa il complesso oggetto di studio “mente” ed l’offerta terapeutica all’utenza.
Emma Comensoli

Bene, da un lato. Ma dall’altro, se:

“… anche il “colloquio” può rientrare in una vera e propria forma di terapia…”

mi chiedo che cosa può fare uno psicologo.
Non può più fare nemmeno i colloqui? Cosa fa uno psicologo, allora? A cosa serve avere studiato per 5 o più anni, con tanto di tirocinio ed esame di stato e iscrizione all’albo?
Sono confusissimo, a quasto punto.
Qualcuno vuole essere così gentile da spiegarmi CHE COSA FA o PUO’ FARE lo psicologo?
Grazie

Scrivi che: “la dicitura “medica” è una patacca appiccicata dall’estensore della sentenza per ignoranza.”
Hai davvero un’alta opinione della Corte di cui tanto apprezzi la sentenza! E sei sicuro, evidentemente, che la tua, più corretta, interpretazione sarebbe in ogni momento assunta come fondamento giuridico per dirimere controversie in materia e non già riportata ed avvalorata in altre sentenze, proprio per ribadire quanto in essa letteralmente contenuto!
Curiosamente, però, i criteri adottati dalla Cassazione sono gli stessi utilizzati dalle Assicurazioni Generali per non rimborsare le psicoterapie praticate dagli psicologi: queste le grandi conquiste professionali di cui hai ragione di andar fiero…
E per quanto riguarda il colloquio clinico a fini diagnostici, come la mettiamo?
Rientra a tutti gli effetti in una dimensione di cura, essendo un accertamento della presenza, del grado e della natura di una condizione psicopatologica ed avendo esso stesso una iniziale funzione trattamentale. O ritieni che anch’esso, non trattando il benessere, ma il trattamento, sia dunque da espungersi dall’ambito delle prerogative professionali dello psicologo?
E degli interventi di riabilitazione e sostegno psicologico, espressamente previsti dalla L. 56/89, come atti professionali riservati agli psicologi, dovrebbero secondo te essere aboliti o condotti “in muta presenza”, senza profferire verbo, visto che il colloquio è stato dichiarato una forma di terapia e, dunque, inibito ai non psicoterapeuti?
E’ proprio vero che solo noi psicologi, come categoria professionale, riusciamo ad autodanneggiarci in maniera così ottusa e stupida, privandoci di chanche professionali e rinunciando persino a quello che le norme ci consentono tranquillamente di fare e con tale presuntuosa sicumera…

Gentile Salvatore

quando ho letto la sentenza ho avuto i tuoi stessi dubbi. Prima di scrivere l’articolo ho fatto chiedere ufficioso parere ad avvocato di Ordine professionale. Poi ho scritto l’articolo che adesso leggi.

Detto ciò, i dubbi che riporti sono – a rigor di logica – legittimi.
Sarà quindi mia premura chiedere un parere più formale circa la struttura di questa sentenza.

Rispetto alla chiusura del tuo messaggio, seppur comprensibile l’eventuale rabbia, non mi pare il modo migliore quello di arrivare all’offesa… che di questo si tratta ;o)

Finalmente qualcosa si muove in direzione giusta. Condivido anche io la prossima frontiera del problema: i counselor non Psicologi, proprio quì deve muoversi la battaglia per abuso di professione!

Ribadisco quanto già detto da Nicola che le più accreditate società psicoanalitiche sono state tutte rioconosciute dal Miur. Il problema piuttosto è quello di dimostrare di essere psicoanalista quando ci si definisce tale. Per alcuni la qualifica fa tanto trend, ma ricordiamo a chi non lo sa che per diventare psicoanalista – e al tempo stesso psicoterapeuta, da anni ormai – si affronta un percorso personale molto severo: prima di tutto l’analisi personale (e mi chiedo come si possa essere non solo psicoterapeuti, qualunque sia l’approccio teorico, ma anche psicologi senza una preliminare ‘ripulitura’ e arricchimento della propria personalità, come si possa affrontare la sofferenza altrui senza averla attraversata di persona e compresa ed elaborata), quindi si affronta una seconda analisi didattica, tre cicli di cinquanta ore ciascuno di supervisione sui casi in terapia, oltre naturalmente approfonditi studi teorici e tesi scritte. E tale percorso, sempre per qualificarsi psicoanalista, deve essere completato, perchè se è vero che i pezzi di carta non dimostrano sempre la qualità – soprattutto nel pullulare di scadentissime scuole di psicoterapia, anche universitarie (doppioni dell’esamificio accademico) – è anche vero che non ci si può improvvisare psicoterapeuti, magari ciechi dei propri complessi irrisolti, dunque capaci non solo di non curare (o di non aiutare a trasformare -anch’io non voglio assumere un paradigma medico per la psiche), ma capaci anche di determinare maggiori danni ai pazienti.

Ciao Nicola, ci siamo conosciuti a d una riunione a S. Martino della Battaglia.
Come sempre ognuno, dunque anche noi psicologi, lasciamo commenti proiettando le nostre problematiche. L’affermazione della collega (samuelelavercelli)” che sarebbe mentalmente sano che counselor o supposti psicoanalisti cerchino di aiutare le persone” non mi trova in accordo. Ancora cinque anni di Università non servono per svolgere questa professione. Bisogna studiare, la specializzazione è fondamentale ti insegna che non svolgiamo una missione ma una professione. Abbiamo già discusso dei counselor siamo noi stessi psicologi che apriamo scuole a questa figura. Qui sta la confusione, counselor, psicologi psicoterapeuti, medici che si specializzano in psicoterapia senza aver fatto i 5 anni di università di psicologia. Noi psicoterapeuti ci possiamo forse iscrivere nell’Albo dei medici? I medici però sono iscritti nel nostro Albo.
Ci vuole coraggio specializzazione se si vuole lavorare e fuori i medici dall’Albo. Tutto ciò è un utopia
A presto

Mi spiace. Sono contento per chi pensa di aver vinto, ma io ho perso. Io sono di cultura britannica, e, come tale, per me la psicoterapia non dovrebbe essere “riservata” a una laurea particolare, e non dovrebbe essere considerata alla stregua di una qualsiasi cura medica (il che, tra l’altro, giustifica l’accorpamento di psicologia alle facoltà di medicina, su cui mi pare di aver capito molti di noi non sarebbero d’accordo) ma ad una “persona” con determinate caratteristiche e preparazioni piuttosto che ad un’altra. Non considero la psicoterapia solo una “cura”. Se vedo un talento terapeutico e maieutico in un laureato in filosofia, ahimè, preferisco questo ad un laureato in psicologia con mediocri attitudini in tal senso. Buona giornata. Giovanni

Vorrei che prima o poi su questi siti e blog si iniziasse a parlare VERAMENTE di cos’è una TERAPIA, di cos’è una psicoterapia o un colloquio, quale è l’ambito lavorativo di uno psicologo o di uno psicoterapeuta o di un counselor …dalle mie parti si dice: “Ognuno se la canta e se la sona” in base al tipo di preparazione che possiede…alcune specializzazioni sviluppano la persona fuori dalle categorie…e quindi COSA E’ UN ORDINE PROFESSIONALE? Capisco la necessità di protezione e assicurazioni ma è veramente così? Ho la sensazione, squisitamente italiana, che qui si parli di economia, di bilanci e di interessi…di potere insomma, e voglio lasciarvi un’ultima domanda: perchè non si sviluppano le stesse sanguinarie battaglie su chi somministra e diagnostica i test? Dai tecnici della riabilitazione ai FISIOTERAPISTI…..da parte mia cercherò di vivere parafrasando Jung…ogni psicoterapeuta è una terapia….riflettendo sempre sulla differenza tra il fare e l’essere.
Buona vita a tutti.

Questa sentenza, per noi psicologi, non ha avuto un buon esito. Sancisce (a livello di senso comune) che gli psicologi non possono che occuparsi di disturbi pseudo-medici in qualità di psico-terapeuti, se non dopo anni e anni di studio sui libri.
Pensiamoci, è proprio il contrario delle prime intuizioni di Freud: i sintomi somatici delle isteriche avevano una base emotiva (relazionale) più che organica! E’ da lì che si è sviluppata la nostra disciplina!!!
E poi, la sentenza tutela quale professione? La nicchia di Psicoterapeuti. E gli Psicologi? L’unico modo che hanno per tutelarsi è confrontarsi col mercato, col mercato REALE, pensiamoci un attimo:LA CONCORRENZA FA BENE A TUTTE LE PROFESSIONI, garantisce che il prodotto sia di qualità! Come diceva qualcuno prima, se ci preferiscono dei counselor ci sarà pure un motivo: forse non li vedono trincerati dietro boria e scartoffie (libri o diplomi plurimi), forse li vedono più disposti a mettersi in gioco.
Sia chiaro, questo mio intervento ha anche un intento provocatorio; sono ben consapevole dell’importanza di una formazione completa. Ma la formazione deve essere alla professione di PSICOLOGO! La sentenza sembra svilire la nostra formazione universitaria, rendendola un iter di passaggio (un temporeggiamento) verso la specializzazione. Come se dicessimo che un laureato in medicina, se non ha una specializzazione, non è un medico! MENZOGNA!!!
Gli psicologi hanno degli sbocchi professionali, si pensi alle carceri, si pensi all’orientamento professionale, si pensi ai Sert e alle organizzazioni di ogni tipo, purchè si propongano come promotori di sviluppo di dinamiche relazionali in crisi. Non come demiurghi-pseudo-medici. La concorrenza sul mercato è la vera tutela della nostra professione; se pretendiamo di sfuggire ad essa con l’uno o l’altro pezzo di carta, bè, ri-cito ciò che la collega Samuela Vercelli diceva, “che la gente scelga in santa pace e se ci preferisce un counselor ci sarà pure un motivo…”

Nella mia storia come Psicologa Psicoterapeuta ho assistito con partecipazione alla nascita dell’Ordine e in quegli anni la necessità di regolamentazione rispondeva al disagio e alla confusione di chi come me sudava freddo in percorsi di training che mettevano a dura prova.
Ho imparato che l’improvvisazione di categorie che per leggittimarsi razziano la nostra senza trovare e mettere in moto la loro creatività e la loro specifica distinzione, è una realtà che forse ci accompagnerà ancora nel tempo. Detto questo, tutti i percorsi giuridici che sono fruibili per la nostra categoria diventano un diritto inequivocabile a cui sarebbe stupido, ovvero presuntuoso,rinunciare. Credo inoltre che come ogni santo giorno ci svegliamo rimboccandoci le maniche, così è auspicabile, prima o poi, che chi tenta di lavorare sfruttando leggittimizzazioni improprie non trovi più lo spazio per farlo. Questa sentenza, dunque, mi rincuora.

Salve,
sono una psicoterapeuta dell’età evolutiva ad indirizzo psicodinamico ed sono in training come psicoanalista.
Ci tenevo a ricordare che le scuole di psicoanalisi propriamente dette in italia sono solo due: la SPI e l’AiPsi. Esse afferiscono all’IPA che ha sede a Londra e che detta i protocolli con i quali si lavora, ma soprattutto i criteri di formazione per diventare psicoanalisti (per esempio obbligo di analisi personale didattica a cadenza quadrisettimanale per svariati anni,
obbligo di supervisione settimanale di due casi clinici a quattro volte a settimana per almeno 2 anni ed altro). Non ci si può definire psicoanalisti fino a che non si è finito il percorso di formazione.Nè se ci si forma a scuole ad indirizzo psicodinamico o psicoanalitico (che non sono necessariamente malvage). Volendo ridurre,la psicoanalisi è un percorso di conoscenza della persona, una maggiore consapevolezza dei propri contenuti inconsci porta anche a rimuovere conflitti e/o a integrare la strutture di personalità con la conseguente soluzione di eventuali sintomi (quando ci si riesce) o migliore gestione degli stessi. Quindi la psicoanalisi è anche un tipo di psicoterapia. Fino a parecchi anni fa le società di psicoanalisi , per questioni snobbistiche( a mio parere personale) non avevano fatto richiesta al ministero per l’accredito come scuola di psicoterapia. Ma non è più così da molto tempo: la SPI e l’AiPsi sono accreditate ed hanno appunto degli standard di formazione assai più alti da quelli previsti dal ministero.
Per amor di chiarezza…

mi spaventa un pò quel:
“…il metodo “del colloquio” … tipico atto della professione medica … un’attività diretta alla guarigione da vere e proprie malattie… il che la inquadra nella professione medica”
capisco che si tratta solo di un’estensore ‘ignorante’, ma non riesce a non mettermi un po’ in ansia. comunque mi sembra un’ottimo passo. è necessario come ben dici darsi da fare nel far riconoscere il conseling come atto psicologico, ma questa è un’altra storia.
grazie del tuo impegno.

Ritengo che la Psicoanalisi sia la madre di ogni altra forma psicoterapeutica attuale.
E così la psicologia analitica junghiana, o adleriana, o lacaniana.

Però in questo modo la Cassazione fa di ogni erba un fascio in quanto se ogni forma di colloquio che tenda alla guarigione costituisce una forma psicoterapeutica, allora anche la confessione dei sacerdoti, il colloquio con i counselor, ed altro vanno a costituire una forma terapeutica che non nobilita questa professione, ma la avvilisce.

Salve a tutti,
concordo con Anna anche a me spaventa questa sentenza ma soprattutto quando dice “Nè può ritenersi che il metodo “del colloquio” non rientri in una vera e propria forma di terapia” ,anche perchè il metodo del colloquio pur avendo una valenza terapeutica lo utilizzo anche io che terapeuta non sono, ma solo psicologa. Mi chiedo cosa scrivero’ da oggi in poi sulle mie ricevute fiscali!?! 🙂

Ma non so se esultare o meno. Di fatto gli psicoanalisti erano gia nell’elenco degli psicoterapeuti o in quanto medici o psicologi.
La sentenza definisce il colloquio uno strumento di cura e come tale ad uso della professione medica. Quindi ai medici non agli psicologi. Si aprira una diatriba con i medici.
Sarebbe stato opportuno definirlo uno strumento attribuibile alla prof. Sanitaria di cui med e psicologi terapeuti fanno parte.
Certamente esclude il suo uso ai non terapeuti compresi i cosiddetti pedagogisti clinici o gli psicopedagogisti e questo e buono.

Ad Anna Castelnuovo
…Per amor di chiarezza, esistono in Italia società psicoanalitiche junghiane di antica data e di elevatissimo standard, poi, dietro loro richiesta, riconosciute anche come scuole di psicoterapia, come l’AIPA e il CIPA, affiliate internazionalmente alla IAAP (International Association of Analytical Psychology).
Daniele Rondanini

Io penso che la tutela della professione cominci a partire del ruolo pubblico che possiamo rivestire nei servizi. Fintanto che la psicologia rimane esclusivamente uno strumento ad “uso e consumo” privato, la nostra professione non riesce ad accreditarsi nei vari ambiti di intervento (bisogni sanitari e sociali).
Il problema non è se la psicanalisi sia o non sia riconosciuta come intervento leggittimo di un corso di formazione psicanalitica, ma che la moltitudine di psicologi destinati alla disoccupazione, si possano svincolare dalla necessità di scuole e scuolette di specializzazione, per esercitare la propria competenza e formazione nelle complessità della società (psichiatria, dipendenze, disabilità ecc.) Uno psicologo in Italia si laurea dopo 5 anni studi e successivamente deve “pagare” una scuola di formazione per accreditarsi e “qualificare” la propria laurea. (Se non è un delirio questo!) In Inghilterra, dopo la laurea uno psicologo è obbligato ad un tirocinio retribuito, esercitato in tutti i settori della società. Alla del tirocinio si resta di “ruolo” dopo l’esame di abilitazione effettuato sull’esperienza maturata.L’attività privata? Si può fare con tutti i corsi possibili, ma solo dopo aver concluso il tirocinio obbligatorio…

Bravi, complimenti all’autore di questo intervento e a tutti colori che non si rendono conto di stare esultando di fronte ad un reato di opinione. Si, solo un reato di opinione, precisamente quella che considera la psicoanalisi una psicoterapia, contrariamente a l’opinione di migliaia di professionisti, critici, intellettuali che la pensano diversamente. E il tutto in difesa della salute pubblica! Salute pubblica perché quella sentenza, come altri hanno già rimarcato, fornisce una buona mano al trend della medicalizzazione della psicologia. Agli psicoanalisti resta che espatriare e andare a praticare la loro disciplina in Francia, in Inghilterra o in tanti altri paesi dalla tradizone democratica ben superiore all’Italia ma che molti psicologi italiani forse considerano arretrati, visto che da loro la psicoanalisi è ben distinta dalla psicoterapia e spesso entrambe queste discipline possono ancora essere praticate liberamente. Alla faccia di cbi sostiene, senza prove, che psicoanalisi e psicoterapia possono essere pericolose per i pazienti. La verità è che la psichiatria è pericolosa, ma veramente, visto che contempla ancora il TSO trattamento sanitario obligatorio e la somministrazione diffusa di psicofarmaci dai molti e gravi effetti collaterali.

Ad Anna Castelnuovo
…Per amor di chiarezza, esistono in Italia società psicoanalitiche junghiane di antica data e di elevatissimo standard, poi, dietro loro richiesta, riconosciute anche come scuole di psicoterapia, come l’AIPA e il CIPA, affiliate internazionalmente alla IAAP (International Association of Analytical Psychology).
Daniele Rondanini

Naturalmente, non è un atto di legge che può stabilire se una pratica è terapeutica o meno, ma solo la ricerca scientifica. La legge, come in questo caso, si limita a constatare che l’attività viene esercitata con un DICHIARATO SCOPO terapeutico, e retribuita PER IL MEDESIMO SCOPO.
Non è una novità che la psicanalisi è stata esercitata fin dai primordi dal suo inventore con un presunto scopo terapeutico. La legge, però, non sancisce la validità di questa presunzione (cioè che vi sia un effettivo effetto terapeutico); semplicemente, sancisce che va considerata “psicoterapia” per il solo fatto di avere tale scopo.

E’ un grave errore. Sono totalmente contrario. Ci vuole una nuova legge che superi questa idiozia positivistica ottocentesca, o meglio medioevale nel peggior senso della parola. Non si difende una professione danneggiando altre attività. Occorre cancellare ordini, corporazioni e tutta la paccottiglia pseudoscientifica e pseudoprofessionale che non conosce nemmeno il vero significato della parola “terapia”. Inquisitori, ecco il mestiere che dovevate fare e che state facendo, de facto. Adieu, a mai più risentirci, Angelo Conforti, professore di filosofia, storia, letteratura, scienze dell’educazione e psicologia.

Rispondo a Samuelevercelli:
Caro Samuele, mi rendo conto che il tuo punto di vista sviluppa una questione meritocratica che in questo paese stenta a decollare. Purtroppo tu stai confondendo la meritocrazia e la competenza professionale con la legittimità di poter esercitare una professione basata sulla documentata legalità di un percorso che rende ragione di poter garantire un servizio. In sostanza i cialtroni, come di ci tu, ci sono tra i commercianti, tra i meccanici, tra i medici, tra gli artigiani tra…. insomma in ogni categoria professionale. Ergo… ci sono tra gli psicologi e tra i counselor come scrivi tu: “Secondo me è mentalmente molto più sano per la nostra società che ci siano persone che a vari livelli, pretesi counselor o supposti psicanalisti, cercano di aiutare altri attraverso la relazione che non continuare a sostenere una posizione difensiva che ci fa diventare grotteschi come i medici quando sostenevano che solo loro potevano fare la “diagnosi” o “curare” le persone e invece noi psicologi…”. con questo però non possiamo permetterci di mischiare varie professioni e di fare un unico calderone, altrimenti mi metto anch’io da domani ad approfondire qualche testo di medicina e tra sei mesi potrò pensare di fare il medico specialista. Il meccanico non si può confondere con l’ingegnere meccanico… seppur entrambi siano esperti di meccanica! Le persone che si rivolgono ad un medico, psicologo, meccanico, o qualsiasi altro professionista devono pretendere Garanzie in relazione a ciò che chiedono, spesso vanno da un counselor convinti di andare dallo psicologo e pensano che si equivalgano, non sanno la differenza… QUESTO E’ IL PROBLEMA! E si affidano nelle mani o nelle parole di un’altra persona… ma quali garanzie e responsabilità si prenderà Questo sedicente professionista in materia specifica per la specificità della materia? Libertà di sbagliare significa anche responsabilità di poter rispondere dei propri errori! e avere anche gli strumenti e competenze per poter riparare! Questo non può essere confuso, come hai fatto tu, con il professionista capace e bravo e il professionista che, anche se ha parità di titolo,non eccelle e non ha le stesse capacità di un’altro, quindi è bene che si chiarisca cosa deve fare un counselor e cosa uno psicologo, cosa uno psicoterapeuta e ogniuno faccia la propria professione! I titoli purtroppo in Italia sono stati abusati e questo ci pone ormai in una posizione di renderli capri espiatori dei problemi di questo paese… dimenticando la loro nobile funzione discriminatoria. Per finire, nel tuo discorso viene a mancare completamente la dimensione della complaiance che come saprai.. non dipende dalla preparazione nè dal titolo ma dalla specifica aderenza terapeutica che si è creata tra terapeuta e paziente… Ti ringrazio e ti invito a riflettere.
Rosario.

In fine per tutti penso che questa sentenza sia un buon risultato! non si danneggia nessuna professione e in fine ritengo che gli albi vadano cancellati!! solo perchè non rispondono alla legittima funzione nobile che (purtroppo solo in teoria) dovrebbero avere!

Recentemente ho avuto occasione di venire a conoscenza di pratiche cosiddette da “counselor”, in cui si osserva solo una grande confusione di metodi, tecniche e teorie (in un gruppo in cui alcuni partecipavano per la prima volta, una “paziente” ha simulato, con l’aiuto di un partecipante, la violenza sessuale da lei subita anni prima!), allo scopo di (come mi dicevano i partecipanti) far raggiungere al paziente il suo “limite” e (forse…) passare oltre, una specie di catarsi. Sinceramente spero che anche queste attività (counselor, etc.) vengano regolamentate al più presto!

La spaventosa ignoranza di che cosa sia la psicoanalisi che trasuda dalla sentenza della Cassazione e da molti di questi commenti è purtroppo tipica della situazione italiana, in cui la forma normale del rapporto con la legge è il privilegio. Chi ce l’ha se lo tiene, lo difende, e si sente autorizzato ad ignorare la realtà nel suo complesso. Lo statuto epistemologico della psicologia è di una fragilità impressionante, ma parlare di epistemologia a degli psicoterapeuti forse è come parlare di fisica nucleare a un bambino di un anno.
Vi consiglio di documentarvi un po’, perché difendete una sentenza che medicalizza il disagio e, in pratica, sostiene che siamo tutti malati. La psicoanalisi invece ha ribaltato questo concetto… Vi consiglio di leggere il sito http://www.manifestoperladifesadellapsicanalisi.it, almeno vi fate un po’ di cultura vera.

Concordo appieno con Samuela! Non dico che non vi debba essere regolamentazione formale della formazione in psicoterapia ma non credo ci possiamo fermare a questo.
Non possiamo confondere i livelli: quello giuridico non sempre coincide con quello sostanziale e proprio noi dovremmo essere più attenti a quest’ultimo! Ma lo sapete che in Germania sono regolamentate tutte le professioni di aiuto relazionale non convenzionali che stanno sul mercato al pari dello psicologo, psicoterapeuta, terapisti vari? E’ tutto alla luce del sole, le persone sanno a chi rivolgersi e che percorso il professionista che a di fronte ha fatto. Laurea, specializzazione o semplicemente pratica, basta esplicitarlo e ciascuno può scegliere! Altro che tutela, competenze, solo competenze! Ma la Germania forse è un altro mondo… forse però potremmo aprire gli occhi per guardare mondi migliori… non so…

Direi che è un altro passo importante verso la piena dignità della nostra professione, tuttavia dobbiamo fare i conti con lo scarso controllo dei praticanti abusivi, compresi medici “factotum”. Non è possibile che per far emergere tutte le attività illecite di counselor e psicoterapeuti non titolati si debba ricorrere alle “Iene” o a fare querele esponendosi personalmente. Ma l’Ordine che fa, come ci tutela?

Ciao e grazie per il tuo interessamento.
Renato Solinas

Gentile Sig. Piccinini, come in tutti i contesti anche nella psicoanalisi ci sono persone non preparate così come nella psicoterapia ci sono psicoterapeuti non preparati e medici nella medicina. Ma pure persone preparate sia all’una che all’altra cosa.
Muove tuttavia curiosità che persone che, non a conoscenza di cosa effettivamente sia la psicoanalisi se non per averne sentito parlare o per avere letto qualcosa, si permettano di parlarne e di dire che sia una psicoterapia. Legittimo il fatto che possano esprimersi ma così facendo mostrando una certa ignoranza dei fatti e facendo soprattutto disinformazione.
La invito quindi a studiare a fondo la psicoanalisi sia per quanto concerne il campo di interesse specifico che il metodo psicoanalitico e probabilmente, come conseguenza, potrebbe anche arrivare a capire perchè la psicoanalisi non può essere una psicoterapia con le ovvie conseguenze.
Capisco le esigenze di mercato e corporative che hanno però a che fare con la sopravvivenza e l’autoconservazione di chi esercita un lavoro, da ciò a farne una virtù ci passa molta differenza.
Cordiali saluti. Emilio

Secondo me, siamo alle solite! Il nostro problema SIAMO NOI, sempre e solo noi, sia per quanto riguarda i counselors sia per la psicoanalisi, infatti gli argomenti si intrecciano. Stavate parlando di psicoanalisi, se non sbaglio?
Allora, come per i corsi di counseling per “non aventi diritto” sia per la formazione psicoanalitica (fatta in posti non riconosciuti da Miur; e vi assicuro che ce ne sono!) chi è che mette in piedi queste attività? ma NOOI! Se vi fate un giro sul web, oppure per le scuole di specializzazione, come è capitato a me quando dovevo decidere quale intraprendere, vedrete un incredibile mondo parallelo dove i counselors ti sembrano l’ultimo problema.
Ora, non che questi ultimi non siano fuorilegge, ma al nostro cospetto sono delle “mammolette”. Non vi voglio terrorizzare ma tra noi vagano dei veri e propri “banditi”, e questo lo sappiamo bene tutti.
Proprio poco fa guardavo il sito di un collega toscano (non dico di più, visto mai…) che fa corsi di counseling “mentale” (confesso che non ho la minima idea di che cosa sia) dicendo espressamente che non c’è bisogno di nessun titolo di studio.
Tutto ciò per dire che sono ben convinta che le serpi ce l’abbiamo in seno:
siamo noi che formiamo questa gente per nostri scopi personali, cioè la grana o che diavolo altro! Guarda se lo fanno i medici? Pensate veramente che facendo causa a questi poveretti che per ignoranza, o non so per cosa, spendono dei soldi credendo di avere un titolo di studio, risolviamo la questione?

Chiedo scusa per la prolissità (è il mio secondo intervento in questa dicussione, ma lo ritengo doveroso). Il mio primo intervento (chi vuole può rileggerlo più in basso) aveva una valenza molto provocatoria nei confronti di voi colleghi, nella speranza di convocarvi a discutere di un tema che va al di là della sentenza stessa.
La sentenza tutela, a mio avviso giustamente (e sottolineo giustamente) gli psicoterapeuti, la cui formazione è irta di complessità e di costi (emotivi, intellettuali ed economici). Un counselor non può spacciarsi per psicoterapeuta o psicanalista, sarebbe una frode.
Chiarito questo, spero che gli psicologi (laureati in psicologia ed abilitati) si rendano conto che la propria disciplina non può diventare solo e unicamente (de facto) una preparazione alla specializzazione in psicoterapia (o psicanalisi). Questo può indebolire la categoria molto più della concorrenza, leale o sleale, dei counselor. Numerosi autori italiani si sono sforzati di individuare autonomie teoriche e occupazionali per la disciplina psicologica (a livello giuridico tale autonomia è sancita dalla 56/89). La questione non è squisitamente accademica; la differenza la fa il confronto con la domanda sociale che agli psicologi è rivolta (da scuole, ospedali, aziende, comunità ecc.) e la risposta fornita dagli psicologi stessi. Se la mentalità degli psicologi non cambia, non abbraccia una concezione imprenditiva della professione; se gli psicologi continueranno a ritenere più utile un iter di specializzazione piuttosto che apprendere a collaborare per formulare ipotesi utili ai clienti …insomma, se non si mette in rapporto la competenza acquisita all’università (modelli e strumenti d’intervento) con la domanda reale che ad essa è rivolta, non abbiamo futuro, ma solo perchè ci stiamo dando la zappa sui piedi.

Angelo Conforti, “professore di filosofia, storia, letteratura, scienze dell’educazione e psicologia”, scrive:
“E’ un grave errore. Sono totalmente contrario. Ci vuole una nuova legge che superi questa idiozia positivistica ottocentesca, o meglio medioevale nel peggior senso della parola. Non si difende una professione danneggiando altre attività. Occorre cancellare ordini, corporazioni e tutta la paccottiglia pseudoscientifica e pseudoprofessionale che non conosce nemmeno il vero significato della parola “terapia”. Inquisitori, ecco il mestiere che dovevate fare e che state facendo, de facto. Adieu, a mai più risentirci…”
Non si comprende bene però su cosa realmente dissenta. Quale sarebbe il grave errore e l'”idiozia” contro cui si scaglia. Quali sarebbero le attività danneggiate, perché bisognerebbe a suo parere cancellare gli ordini, e quale sarebbe a suo parere il significato del termine terapia. E così abbandona, lasciandoci con numerosi interrorgativi.
Non si può sfuggire alla sensazione che sia stato toccato un punto sensibile, forse un nervo scoperto, oppure un interesse costituito.

Caro Nicola
non dici nulla dell’imputata. Dovresti. Si tratta di una persona che è l’emblema della scelta laica. E’ una laureata in medicina e successivamente in Filosofia. Non si è mai voluta iscrivere all’ordine dei medici e nemmeno a quello degli psicologi durante il periodo della sanatoria.
Ella ha frequentato per 20 anni seminari teorici sulla psicoanalisi lacaniana e freudiana, sia in Italia che all’estero, è stata in analisi per oltre un decennio…
Inoltre, ti segnalo che nel libro Psicologia clinica, rivolto agli studenti universitari, Ezio Sanavio, docente di psicologia all?Università di Padova, luminare della psicologia accademica italiana e non certo un sostenitore della psicoanalisi libera, afferma infatti che: “Come si è visto, Freud è esplicito nel sostenere il primato della psicoanalisi come metodo d?indagine rispetto alla psicoanalisi come metodo di cura. Secondo Freud „l?eliminazione dei sintomi non viene perseguita come meta particolare, ma si produce con l?esercizio regolare dell?analisi come un risultato accessorio ?. Da ciò la distinzione tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica, che si differenzia dalla prima perché più direttamente finalizzata al miglioramento del malessere ed alla risoluzione dei sintomi”.
Penso che l’accanimento verso questa imputata sia una vergogna e fortunatamente sono molti i nostri colleghi che stanno reagendo. Perchè non firmi anche tu il nostro manifesto? Lo firmano molti psicologi iscritti all’Ordine: http://www.manifestoperladifesadellapsicanalisi.it/

Cara Eleonora
personalmente sono interessato alla sentenza che, dal mio vertice di osservazione, fornisce un ulteriore strumento di tutela della professione. Ovviamente non ho NULLA contro la Persona. Il mio post non intende “accanirsi” contro nessuno. Tuttavia reputo importante la Sentenza per questioni di Tutela della professione di Psicologo e quindi ne do diffusione. Detto ciò, riporto senza problemi anche il tuo riferimento cosìcché ciascuno ne possa prendere visione e decidere il da farsi. Buona vita, Nicola

Salve,
vorrei aggiungere un nuovo commento dopo aver rilasciato il precedente prevalentemente sull’onda emotiva.
Sono contento che la sentenza in questione tuteli gli Psicoterapeuti: è giusto che sia riconosciuto il loro iter formativo.
Al contempo mi auguro che noi laureati in Psicologia riusciamo a individuare e proporre sul mercato del lavoro le competenze acquisite all’università e tutelate dalla 56/89; credo che ciò dipenderà soprattutto dalla nostra capacità di metterci in gioco in contesti reali d’intervento e dalla capacità di confrontarci (anzichè scontrarci) tra colleghi. Dobbiamo tenere conto dei problemi che ci sarà chiesto di risolvere, più che delle filosofie o ideologie del nostro indirizzo teorico preferito; non sarà facile ma dobbiamo provarci.

Cari psicoterapeuti, sono un Antropologo etnopsichiatra, e devo ammettere che ciò che leggo nei post e nei commenti di molti psicologi a proposito di pronunciamenti di tribunali in merito ad abusi della “vostra” professione, mi lascia a dir poco esterrefatto. secondo le logiche che emergono dai commenti, lo struggle for patience, ( letteralmente lo sgomitare per il paziente ) rispecchia e rimembra la triste vicenda della psichiatria coloniale dei secoli passati, che voi certamente conoscerete, sia per i suoi esiti antropologici, sia per quelli, gravissimi, sul piano psichiatrico, o meglio etnopsichiatrico, della standardizzazione legale della sofferenza. Anche se sono convinto che questo termine, etnopsichiatria, crea inquietudine strutturale rispetto alle “blindature” pseudo politiche degli albi Italiani e, fatto ancor più grave, costringe il paziente su uno sfondo di solitudine oggettivante in cui la sofferenza si materializza potentemente in attesa di dipanare le sterili diatribe tra psicoanalisi e psicoterapia . Ora: mi rendo conto, e spero anche voi, che quando si tratta di esseri umani qualsiasi discorso deve avere il beneficio e l’onere del dubbio, compreso quello dello scrivente,e assodato ciò, senza voler apparire provocatorio, potrei rispondervi con numerosissime argomentazioni che smontano pezzo a pezzo, altrettante, imprudenti, affermazioni sull’uomo e sul disagio di questo. Come voi dovreste sapere, a differenza dei giudici, la psicoterapia e la psicoanalisi trovano nella cultura sia la radice del disagio, sia gli strumenti per “ristrutturare”, termine molto caro agli psicologi, la personalità del sofferente psichico. Detto ciò potrei tranquillamente rivolgermi a voi chiedendovi quale diritto avete di parlare di cultura, settore, come si sa, prettamente di pertinenza dei sociologi, filosofi, nonchè degli antropologi? Dovremmo per caso, noi studiosi comportamentali, chiedere al legislatore un albo professionale, cosa semplice in un paese iper politicizzato come questo, nel quale pseudo albo vietare alle altre professioni di utilizzare costrutti culturali al fine di svolgere una professione a quel punto non autorizzata? Mi sembra abbastanza triste vedere studiosi, operatori, scienziati che si occupano di umanità,sforzarsi con cartesiana perizia, separare l’uomo dalla cultura. Ovviamente la psicoanalisi è una produzione di racconti, metafore, figure retoriche, dalle quali io stesso,ora, traggo viva indignazione per quelle stesse sentenze, per le quali altri si rallegrano. L’uomo, dietro queste visioni che di esso la società dispone,a questo punto scompare, si eclissa, oscurato da logiche che appartengono più all’economia, alla spartizione di forza lavoro che al soccorso, alla dedidizione e passione verso il ricongiungimento delle fratture intercorse tra essere umano e società, individuo e famiglia, soggetto e genere. Vi chiedo, con sincera simpatia , se questa stessa società che stà rapidamente cambiando nel suo portato culturale e umano,nei nuovi cluster,nelle nuove culture,e nuove visioni del mondo e della vita, della psicologia e della malattia, determinandone scenari davvero imbarazzanti per un certo diffuso etnocentrismo che gli albi incarnano, sia la stessa nella quale si muovono i vostri giudizi sulla legge, sull’uomo, sul lavoro immane di riparazione.Mi domando se negli stessi palazzi, vie, esercizi commerciali, scuole, strade, ambienti i lavoro,comunità umane, dove sia io che voi viviamo, rappresentando le nostre rispettive culture, credendo e introiettando quei valori e strutture sociali, familiari, di genere, che una società ormai in piena confusione, forse rispecchiando proprio la stessa confusione, che preferisco chiamare in piena mutazione, che voi riconoscete, a ragione,o a torto, ad un albo troppo paziente e permissivo, non si trova per caso, questa stessa società, impreparata a fornire risposte realistiche ad esempio al trattamento e alla cura di soggetti Cinesi, Indiani, Africani, che, come lei ben sà, non riconoscono i DSM dai quali le diagnosi e gli approcci sono emanazione conseguenti. I cinesi, ad esempio, dispongono di un loro DSM, completamente diverso dal nostro. MI chedo, e vi chiedo, come si regolerà il vigile e attento albo censore nei casi in cui queste realtà si sottrarranno all’ordine costituito, io credo di diritto, come è diritto di chiunque scegliere da chi farsi curare quando si tratta di una cura che mira a gratificare soggetti de-gratificati, “ristrutturare” soggetti de- strutturati? Nell’ambito di un desiderio di conoscienza, vi chiedo se voi, l’albo, e le cassazioni, vi schiererete per l’applicazione coattiva della cura etnocentrica? Cioè, costringerete i nuovi cittadini alla cura obbligatoria? Trascinerete nei tribunali coloro che saranno scelti dai pazienti di occuparsi del loro disagio? Srotolerete fior di test da compilare i cui risultati non avranno nessun senso sia per i compilatori sia per la “pietas scientifica” degli intervistati? Ebbene, sono convinto quanto voi della enorme confusione che regna sovrana, ma mi sembra di percepire che la confusione alla quale mi riferisco, a differenza della vostra, abbia un raggio di azione molto più ampio di quanto intendono gli “interessati” interventi dell’ interassantissimo dibattito. Siamo certi che l’Italica creatività avrà la meglio (o la peggio?) sul diritto reale, sulla cultura, sull’appartenenza.Chiaramente l’anropologia è pronta da tempo ad un serio confronto sui significati e le semantiche della cura, degli approcci, dell’incontro con l’altro, un confronto senza “profillassi”, coraggioso, serio, vivamente partecipativo, privo di frivoli ragioni pratiche e ricca di riflessioni epistemiche.
Cordiali e simpatici saluti

Sono spiacente di comunicarvi che con sentenza 1165/2003 del tribunale di Rimini, confermata dalla Corte di Appello di Bologna 293/2007 ,pendente in Cassazione il 14/7/2011 rg 16979 è stato riconosciuto a personale ASl in particolare assistenti sociali il seguente diritto :
Anche chi non è medico in particolari circostanze è autorizzato ad emettere diagnosi anche se questo esula dalla propria competenza e capacità .
se confermata potete fare le valige perchè chiunque può emettere diagnosi .
I vostri ordini sono astati ampliamente avvisati, ma nulla è successo.

Ovviamente la cassazione fa un ragionamento corretto ravvisando nelle esigenzxe del cliente la vera discriminante tra approccio terapeutico o meno del’analista. Tuttavia vi faccio notare che fu una precisa disposizione di Freud quella di non inquadrare la psicoanalisi in una logica psicoterapeutica. Al di là dell’ignoranza mostrata dai giuristi diCassazione, Freud riteneva che la psicoanalisi fosse figlia della filosofia e non della psichiatria. In realtà l’atteggiamento della giurisprudenza, fomentato dall’ordine degli psicologi, non fa altro che riflettere l’atteggiamento tecnologico che caratterizza gli approcci medici rispetto a quelli filosofici. Mentre la filosofia scava nella persona alla ricerca dela “sua” verità, il terapeuta scava nel paziente alla ricerca di una verità “ufficiale”, che semplicemente sposta il problema del paziente su un piano diverso, spesso difficile da individuare se non dopo anni. Ed è per questo che negli ultimi due decenni le industrie farmaceutiche stanno investendo sempre di più sugli psicofarmaci, a dimostrazione del fallimento della psicodimamica intesa come cura. Freud aveva capito perfettamente questo rischio, e infatti nutriva il sogno di uomini e donne che fossero in grado di autoanalizzarsi imparando da soli a toccare il fondo della propria anima, proprio come lui aveva fatto su di sè, con tanta fatica e poco riconoscimento accademico. Ma la competenza psicoanalita dei filosofi o degli artisti (perchè no?), ovviamente potrebbe dare molto fastidio a coloro i quali ritengono possibile schedare gli individui normali all’interno di categorie che invece dovrebbero essere trattate filosoficamente prima che psicologicamente.
Il fatto è che lo psicoanalista non dovrebbe porsi come “curatore”, ma come sostegno dialettico a un’esigenza di confronto esistenziale insita del cliente, e di cui il cliente è consapevole. Certo se poi di fronte ad un caso di anoressia, ad esempio, lo psicoanalista individua la necessità del cliente di risolvere il problema con una formula magica o con una medicina altrettanto magica, dovrebbe invitare la persona a cercarsi uno psicoterapeuta.
La psicoanalisi non è e non deve essere una psicoterapia,pena il suo snaturamento ontologico.

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