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Primo piano Psicologi & Professione

Counseling, in relazione d’aiuto è psicologico

Il counseling è una tecnica in massima parte oggetto della professione di psicologo

Questa l’affermazione di apertura che rilascio nell’intervista all’Agenzia Stampa DIRE in risposta all’intervista precedentemente rilasciata dal collega Alberto Zucconi (leggi la sua intervista).

Laddove il collega Zucconi afferma che ‘in Italia chi fa counseling non può in buona fede asserire sia la stessa cosa della psicoterapia‘, io rispondo che in Italia chi fa counseling non può in buona fede asserire che sia diverso dal fare intervento psicologico!

Come rappresentante dell’intera comunità professionale del Lazio ho rilevato nell’intervista rilasciata da Alberto Zucconi alcune imprecisioni, e in generale un’impostazione apparentemente avversa sia alle normative correnti sulla professione di psicologo, sia alle posizioni deontologiche ampiamente condivise dall’intera comunità degli psicologi rappresentata dal Consiglio nazionale ordine psicologi (Cnop). Credo sia quindi opportuno offrire anche il punto di vista dell’Ordine degli psicologi, a fianco del punto di vista del direttore di una scuola di psicoterapia che, sul proprio sito web, offre anche corsi di formazione a counselor

Il direttore Zucconi afferma che ‘In Italia il counseling è stato regolamentato dalla legge 4 del 14 gennaio 2013, che ha disciplinato un’attività‘. Ebbene, innanzitutto la legge 4/2013disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi‘. Le professioni – per l’appunto – e non un’attività. In altre parole non entra nel merito delle pratiche professionali, delle tecniche, degli strumenti, delle ‘attività’. Tant’è che all’art.2 afferma: ‘Con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in Albi, e delle professioni sanitarie‘.

L’attuale Ordine psicologi nazionale – a cui siedo come presidente dell’Ordine Lazio da un anno – dopo anni di silenzio si è finalmente attivato per denunciare al ministero della Salute la palese sovrapposizione delle ‘attività’ millantate come proprie dai counselor, rispetto a quelle già previste dalla Legge 56/89 ad esclusiva dello psicologo.

Quindi, aldilà del percorso precedentemente fatto dalle associazioni di counselor nel mezzo dell’assordante silenzio del Cnop, ad oggi ci troviamo di fronte a una partita tutta da giocare. Ora non so se questo nuovo Cnop è arrivato tardi, quando i buoi sono già scappati, ma indubbiamente mi fa specie leggere di un esponente di rilievo della comunità professionale usare questa legge di fatto ad oggi ancora incerta per sdoganare professionisti in concorrenza con lo Psicologo

Prosegue poi il presidente dell’Istituto dell’Approccio centrato sulla persona (Iacp), Alberto Zucconi: ‘Il counselling non è psicoterapia e neppure un trattamento psicologico ha una durata massima di dieci sedute, un percorso ben diverso da quello della psicoterapia è un sostegno che viene dato dal counsellor professionista  addestrato ad aiutare gli individui o le collettività a sviluppare al meglio le proprie capacità e risorse‘.

In sincerità, da psicologo e da presidente di un Ordine professionale di psicologi, vivo un certo sentimento di raggiro quando si tenta di dar corpo ai counselor contrapponendoli alla psicoterapia, dicendo che ‘però il counselor non tratta patologie… però il counselor fa solo dieci sedute… però il counselor non fa psicoterapia‘. Ebbene, gli interventi brevi, oltre ad essere una peculiarità distintiva di alcuni approcci psicoterapeutici, sono di fatto usuali nella pratica del sostegno psicologico, del counseling psicologico, applicato al benessere, all’orientamento, piuttosto che al problem solving.

Il problema dunque NON è rispetto allo psicoterapeuta e alla psicoterapia, bensì rispetto allo psicologo e alla psicologia! Il counselor che opera nelle cosiddette ‘relazioni d’aiuto’ sta di fatto facendo lo psicologo, sta facendo counseling psicologico

Nei variopinti tentativi di definire nel merito – e non per contrapposizione – la presunta professione di counselor possiamo annoverare termini quali ‘consapevolezza‘, ‘auto orientamento‘, ‘auto-determinazione‘, ‘affettività nelle relazioni‘, termini che – guarda caso – nascono e si concretizzano all’interno della psicologia della personalità e della psicologia cognitiva.

Ancor più ricorrente l’utilizzo dei termini ‘empatia‘, ‘ascolto‘, ‘sostegno‘, anch’essi termini squisitamente di natura psicologica. L’empatia, ad esempio, nasce all’interno del modello della ‘psicoterapia centrata sulla persona’ di Carl Rogers e consiste nella ‘capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro‘ (http://www.treccani.it/enciclopedia/empatia/).

Ed a poco serve, collega Zucconi, affermare poco dopo vi è ‘ovviamente l’obbligo di invio a uno psicologo, uno psicoterapeuta o uno psichiatra o un assistente sociale qualora nel percorso di counseling emerga un problema di natura psicologica o psicopatologica o sociale’. Le chiederei, a questo punto, di spiegarci come potrebbe il counselor individuare quando emerge un problema di natura psicologia o psicopatologica senza poter effettuare (né per Legge, né per competenza) una diagnosi differenziale? Più in generale, come potrebbe un counselor maneggiare dimensioni psicologiche, intrapsichiche, cognitive ed emotive della persona riuscendo a comprendere se le istanze portate all’interno di quella dai sostenitori di counselor definita ‘empatica, consapevole, affettiva, intrapersonale relazione d’aiuto’ non siano – ad esempio – dovute a dimensioni psicopatologiche non immediatamente evidenti?’. Ebbene, caro collega, scopriamo le carte!

Il counseling nelle relazioni di aiuto è di fatto counseling psicologico e rientra a tutti gli effetti negli atti tipici della professione di psicologo, come stabilito dalla legge 56/89.

In esso sono comprese molte attività, non necessariamente psicoterapeutiche, quali ad esempio gli interventi volti alla promozione della salute e del benessere individuale e relazionale. Può, inoltre, essere utilizzato per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e per aumentare la propria autoconsapevolezza e determinazione. Oppure può aiutare le persone nei percorsi di crescita professionali o scolastici, nel prendere decisioni, nel gestire situazioni di conflitto sul lavoro, in famiglia, nella coppia. Lo si può definire come una relazione di aiuto e di problem solving in assenza di patologia o disagio.

E smettiamola – ve lo chiedo per cortesia – di richiamare come dischi rotti che in altri Paesi (anglosassoni in particolare) il counselor esiste da sempre, usando tale cantilena per sdoganarne la presenza anche in Italia. Sa meglio di me che in tutti quei Paesi – primo fra tutti gli Usa – in cui il counseling è radicato, la formazione degli operatori è strettamente disciplinata e largamente basata sull’acquisizione di conoscenze psicologiche di tipo applicativo, il counseling è sostanzialmente un sottoinsieme della psicologia, e riconosciuto come tale, tanto che per acquisire il titolo occorre avere un diploma in ‘Psychology, Education o Social Work’ (ex: http://education-portal.com/how_to_become_a_counselor.html) .

Questa sovrapposizione di counseling e psicologia applicata è legittima – ad esempio – negli U.S.A., dove vige un sistema di common law e non esiste l’ordinamento delle professioni nel senso del nostro diritto, mentre è illegittima in Italia, in forza della legge n.56/1989. Piaccia o meno! In altre parole, è oggettivo che il sistema normativo italiano è atipico rispetto a quelli di molti altri paesi, soprattutto di matrice anglosassone, ma è di fatto il ‘sistema normativo di riferimento’ e in tal modo va preso. Quindi basta richiamare impropriamente esempi di altri paesi, assolutamente non comparabili’.

Un’ultima riflessione rispetto a questo suo passaggio: ‘Ancor prima di chiedersi se qualcuno cerchi d’invadere il campo degli psicologi, bisognerebbe domandarsi come mai in Italia ci sono tanti psicologi disoccupati e come mai i neolaureati in psicologia si lamentino di non avere ricevuto competenze adeguate, una formazione sul proprio codice deontologico‘.

Il fatto che il sistema universitario italiano, spesso, non sia in grado di produrre professionisti psicologi ‘pronti’, non ha nulla a che vedere l’accettazione di un mercato formativo ‘abusivo’, che tenta di colmare questa latitanza in contrasto alla 56/89. E’ di fatti ricorrente anche questo ragionamento da parte dei sostenitori di counselor: ‘Siccome l’università non forma i futuri psicologi, bisognerà pure passare delle competenze pratiche‘. Certo, libero mercato, ma non aprendo l’aula a tutti, perché altrimenti si entra su dimensioni anche deontologiche.

E proprio sulla deontologia le lascio un’ultima nota. All’UNI, come saprà, c’è un tavolo sulla normazione del ‘counselor relazionale’ in cui hanno prodotto anche un Codice deontologico. Vale la pena leggerlo tutto, qui mi limito a compare un singolo articolo:

Art.8 Codice deontologico psicologico:

Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive’

L’art.8 del Codice deontologico counselor relazionale:

Il Counselor contrasta l’esercizio abusivo delle professioni regolamentate ed utilizza il proprio titolo professionale per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive

Ebbene, pure questo hanno copiato dagli psicologi non bastavano le tecniche, i modelli, gli strumenti, le ‘attività’! Hanno clonato ‘intere parti’ del nostro Codice deontologico, probabilmente massima espressione di un’identità professionale

Visto che a Marzo avremo un nuovo incontro, come Ordine Psicologi Lazio, con tutte le Scuole di Specializzazione in Psicoterapia del Lazio, avremo certamente modo di riconfrontarci a voce e di chiarificarci, certo che l’intento di tutti noi sia quello di tutelare e promuovere la professione di Psicologo, secondo quanto previsto dalla Legge Italiana 56/89.

Un caro saluto a lei e a tutti i lettori che liberamente potranno costruirsi una propria idea in merito alla questione’.

48 risposte su “Counseling, in relazione d’aiuto è psicologico”

E' il solito giochetto italiano, si vuole essere in europa solo se fa comodo , la figura del counselor come quella del paramedico vanno riconosciute ed hanno il loro perchè sia terapeutico che funzionale, questi discorsi che fate sono i medesimi che faceva fino al 1986 l'ordine dei medici nei confronti del nascente ordine degli psicologi, in europa esiste il counselor? Si ed è riconosciuto, bene ora anche in Italia, lavorate meglio con prezzi più bassi e siate professionali e competitivi così si batte una oncorrenza non evitando che nascano nuove figure professionali che ormai esistono in tutto il mondo, lo stesso vale in altri settori l'Italia è l'unica nazione (esiste anche in Burundi) che non contempla il blogger professionista, forse a causa dell'ordine dei giornalisti………

Gentile Ermanno Azzolini le assicuro che non vi è problema a misurarsi sulla competenza, come fattivamente avviene. Ciò non toglie che si possa e debba rispettare una normativa – piaccia o meno – ad oggi vigente in questo paese. Ed in ogni casi, in tanti paesi anglofoni, spesso (impropriamente) sbandierati nel belpaese a sostegno della presenza del counselor, tale figura ha una precedente formazione "da psicologo". Quindi, se proprio volessimo dirla tutta, qui in italia il counselor potrebbe esistere come specializzazione post-lauream in Psicologia. Vogliamo parlarne? Perché altrimenti, commenti come il suo che si sfogano senza entrare nel merito, vanno presi come tali 🙂

Nicola Piccinini La mia era una palese provocazione ma continuerei dicendo che esistono operatori olistici, coaching, iridoligi, ayurvedi , reiki, rebirthing e chi più ne ha più ne metta, le professioni di aiuto sono infinite e con infinite sfacettature, se io facessi lo " spiritualista" aiutando le persone a trovare una loro strada spirituale cohe università dovrei fare? Insomma ci sono professioni affini o che si accavallano che sempre entreranno nella sfera psicologica o quantomeno nella sfera umana, la stessa battaglia che ora voi fate, la fece l'ordine dei medici contro gli psicologi , non volevano che in Italia fossero riconosciuti perchè solo il medico può lavorare sulla salute fisica e psichica dell'uomo, fino al 1986 era così, poi intervenne prima la Regione Autonoma del Trentino alto adige facendo un albo provvisorio poi lo stato legiferò, lei dice bene spesso ma non obbligatoriamente, esistono vari gradi di counseling e counselor, molti fanno il liceo ed un corso di tre anni nei paesi anglosassoni, in USA poi ne esostono almeno 10 tipologie diverse e con gradi di studi diversi, ora ribadisco capisco la vostra posiszione, ma ritengo che non sia aprendo una caccia alle streghe che tutelerete i vostri interessi, il mondo va avanti e voi con loro, quindi direi che se nasce una nuova figura professionale ci sta la seccatura di vedere nuovi competitor , ma la soluzione migliore è collaborare e definirne insieme i ruoli , cosa difficile in queste materie, le posso citare centinaia di proessioni affini nel mondo ed in italia e lei capisc ech enon possono divenire tutti corsi di laurea, io segui per anni i malati terminali e fui insignito come tanatologo , in Italia manco si sa che è, ovviamente l'ho fatto come volontariato, e sicuramente ne so qualcosina , ma non esiste laurea o specialità, sono settori umanistici dove la differenziazione è labile e sovrapponibile, lo dice la realtà mondiale non certo io, e se faccio lo sciamano? Vede che non è cosa semplice, poi ogni uno la pensi come vuole.

Gentile Ermanno Azzolini a volte semplificare aiuta e, a ben vedere, è una questione non particolarmente complicata:
se quello che Lei chiama "professione di aiuto" o "sfaccettature" in realtà diventa un reato penale, il problema è vostro.
Quindi i limiti dovreste cercarli e fissarli voi.
Il resto sono solo castelli di parole e tempo perso in provocazioni o in tentativi di parallelismi improbabili con le altre nazioni.
Risolvete la questione dei limiti, delle teorie e dei metodi senza sovrapporvi ad altre discipline (non solo la psicologia, ma anche la medicina, la giurisprudenza, ecc..) e non dovrete più parlare di "soliti giochetti italiani".

Sono felice che l
ordine del Lazio abbia preso una posizione in merito.Purtroppo ci sono scuole di specializzazione come quella di Zucconi (che io
Conosco bene) che formando counselor,ha tutto l interesse affinché questa figura venga riconosciuta.il
Problema è secondo me aggravato dal fatto che il counselor americano (da cui proviene Rogers della scuola di Zucconi) ha un percorso di studi sovrapponibile a quello dello psicologo italiano.qui in italia non è così e per questo si crea confusione.Il counseling è parte integrante delavoro dello psicologo per cui dovremmo insistere affinché le due figure non siano
Più considerate separate ma chi vuole fare counselling deve fare lo stesso percorso di studio di uno psicologo.Ad ogni modo sono soddisfatta del tuo
Lavoro,Nicola.
Alice

su sollecitazione del dott. Piccinini tramite e-mail proporrei la chiusura delle scuole di psicoterapia che "formano" counselor, spesso tali "formatori" sono figure "professionali" che insegnano anche nelle mal ridotte facoltà di psicologia : finiamola con l'ipocrisia della logica dello struzzo e gli Ordini si coalizzassero per risolvere tale delicata Questione
Cordiali Saluti

su sollecitazione del dott. Piccinini tramite e-mail proporrei la chiusura delle scuole di psicoterapia che "formano" counselor, spesso tali "formatori" sono figure "professionali" che insegnano anche nelle mal ridotte facoltà di psicologia : finiamola con l'ipocrisia della logica dello struzzo e gli Ordini si coalizzassero per risolvere tale delicata Questione
Cordiali Saluti

Nicola Piccinini, sconfermo ciò che dici sui "paesi anglofoni". Lo sconfermo per averli frequentati assiduamente e perché li frequento ancora. In UK e Irlanda, per eesempio, ma anche negli USA esistono: Counselors, Psychotherapists e Counselling Psychologists. Premettendo che quando si dice "laurea" e "laureati", in quei paesi, è sinonimo dei nostri triennalisti, i primi due professionisti hanno un percorso formativo autonomo dalla laurea in psicologia. Certo, un laureato in psicologia può certamente iscriversi a quei corsi (che sono lo stesso corso modulato in un triennio di counseling e in altri 1 o 2 anni per ottenere la psicoterapia), ma anche un laureato in filosofia, in Servizio Sociale, ecc. Molti corsi richiedono la laurea triennale per l'accesso al corso di counseling + psicoterapia, ma non tutti. E comunque la cosa non è prevista da leggi dello stato. Non vi è obbligo di iscrizioni a Ordini di alcun genere, ma vi è libertà di iscriversi ad associazioni professionali che garantiscono ai cittadini della qualità dei corsi e degli iscritti. Non mi risulta ciò causi danni alla salute mentale dei cittadini inglesi. Anzi. Lo psicologo, invece, ha più o meno questo percorso formativo e professionale: laurea triennale in psicologia; iscrizione eventuale poi ad un dottorato professionale di specilizzazione (in scuola pubblica o privata accreditate) che è modulare: 2 anni per avere il Master's degree, pari alla nostra laurea specialistica ( lì ci si può fermare con tale ricnoscimento che vale come una laurea ma non è professionalizzante e non dà diritto ad iscriversi a nessuna organizzazione professionale nè ad avere la protezione del titolo) + 2 anni per concludere lo stesso corso e ottenere la specializzazione (quindi si tratta di un percorso 3+2+2, per cui a 26-27 anni si finisce). Ottenuta la specializzazione in una delle 7 specializzazioni (tra cui la Counselling Psychology, che è uno psicologo con specializzazione in counseling, e non la "consulenza psicologica" che erogano tutti gli psicologi specializzati in qualsivoglia disciplina, ma che è altro dal counseling) con TITOLO protetto (da decreto governativo), e se si è frequentato un corso accreditato dall'ente cui il Governo ha demandato il compito di accreditare i corsi e proteggere i titoli relativi, ci si iscrive (senza esame, se non erro) a tale ente, l'HCPC. Non è obbligatorio per "esercitare", ma siccome molti enti pubblici e privati, per assumere uno psicologo, pretendono che vi sia iscritto (perché ciò garantisce che abbia fatto ottimi corsi e continui a formarsi regolarmente e con verifica), CONVIENE a molti, se non ha tutti, gli specializzati iscriversi. Tale ente è fondamentalmente accreditatorio di corsi e di professionisti. Protegge i titoli, ma non "riserva" atti tipici, come il counseling, che sono patrimonio di diverse professioni. Concludendo poi, in UK si è liberi di laurearsi in psicologia (triennale), ma non di iscriversi alle specializzazioni, essendovi il numero chiuso. Alla University of East London, dove ho frequentato io dei corsi, la specializzazioni in counselling psychology è riservata a circa 50 studenti all'anno (così èlo stesso per Psicologia Clinica, Psicologia del Lavoro, Psicologia dello Sport, ecc.). Per entrarvi la competizione è alta. Tieni anche conto che l'HCPC, accreditando i corsi di specializzazione, decide anche se un corso ha perso l'accreditamento. 2 anni fa il corso di specializzazione in Counselling Psychology del Regent's College perse l'accreditamento, con ovvi danni di immagine ed economici. Questo sistema ha prodotto psicologi molto praparati e specializzati, che sono circa 35.000 su 70 milioni di abitanti. Con altissima percentuale di occupazione, spesso addirittura prima della fine della specializzazione stessa. Voilà. Giovanni Turra

Gentile Nicola , io non sono ancora laureata e quindi le parlo forse più come paziente di psicologi e counselor. Entrambi sono strumenti che mi hanno aiutata e che ancora mi aiutano nel risolvere un problema lungo e grave. Le formazioni sono diversi e sono sempre formazioni di psicologia. La forma mentis è diversa , più aperta e flessibile quella del counselor e meno quella degli psicologi. Gli strumenti sono diversi , più azione e duttilità nel counselling e non nelle terapie e psicoterapie. Trovo che il counselor si adatti al proprio cliente quando invece il paziente deve plasmarsi ad una rigida e limitata formazione accademica che nasce e muore sui libri. Per quanto riguarda le leggi più che attaccarsi su questi argomenti vorrei che la psicologia tornasse nelle scuole come materia obbligatoria, che scuole ed ospedali pullulassero di psicologi e che la loro presenza fosse mandatoria nelle aziende, università etc…per il resto , in Italia abbiamo corsi di laurea teorici e fatti anche maluccio tanto che l home schooling sta prendendo piega anche qui. E se poi la nostra legge non è adatta alla realtà mi sembra più appropriato cambiare la legge che non passivamente accettare quello che tanto c'è. I counselor che conosco io studiano almeno 3 anni e non smettono mai di aggiornarsi. Tra tutti gli psicologi, psichiatri e strutture che ho utilizzato se ne salva uno per categoria. L'atteggiamento scientifico è curioso e tollerante di natura. Non accusa per difendersi ma forte della propria onestà affronta la diversità cercando di imparare e di insegnare ciò che sa. Scambi e confronto liberi. la psicologia la propria dignità la rovina con l'uso che ne viene fatto soprattutto da coloro che ne vantano la "proprietà ". Ed è un peccato.

Ci stiamo sempre a lamentare…ma se gli psicologi sono i primi a formare counselor che non hanno per nulla una laurea in psicologia.Tutelare la nostra figura e il nostro lavoro interessa o interessa solo fare soldi.

caro Nicola, posizione ineccepibile. ho avuto occasione anche io scontrarmi sulla questione. I counselor continuano a dire che non si contrappongono alla psicoterapia. E ci mancherebbe altro. Dicendo così sono convinti che tutta la faccenda sia risolta. Invece, dimenticano, oppure fingono di dimenticare o non sapere, che esiste lo psicologo con le sue funzioni definite dalla 56/89. Sono contento che tu come presidente di un Ordine sollevi questa questione. E' una battaglia da portare avanti a spada tratta.

In Lombardia, nel Consultorio in cui presto la mia collaborazione, le ASL hanno fissato in dieci sedute il massimo di qualsiasi percorso psicologico, sia esso di sostegno o "psicoterapeutico". Ciò significa che, nella logica istituzionale, dieci sedute sono tante. Secondo la Regione Lombardia sono "quello che serve" ad un paziente per affrontare il suo problema in ambito pubblico. I Counselor dicono che fanno al massimo dieci sedute… è già un intervento psicologico completo, secondo questa logica, e quindi, in Italia, riservato alla professione di Psicologo.
Poi, che ci siano in Italia ovunque "guaritori" senza alcun titolo, è un dato anche tradizionale, ma che possano fregiarsi di un titolo di diretta derivazione dalle discipline psicologiche ha il sapore di un raggiro nei confronti di chi ha studiato per anni per vedersi riconosciuto e certificato un percorso impegnativo, costoso e faticoso. Credo che il Counseling, nel momento in cui si richiama a teorie psicologiche riconosciute e a pratiche sovrapponibili, debba essere una pratica riservata a Psicologi almeno triennalisti, con limiti chiarissimi rispetto a competenze e attività svolte e con un percorso formativo post laurea adeguato.

Sono 'accordo con Nicola e anche con Bruno Gatti, perché fare counselling a mio avviso comporta una formazione psicologica approfondita non inferiore a quella di uno psicologo, ma solo una diversa specializzazione post-laurea. Quanto ad Azzolini, non vedo perchè accomuni alla nostra l'attività di tanti ciarlatani o, almeno di persone a cui la gente si rivolge non certo pensando ad un intervento psicologico. Sono anch'io una rogersiana di vecchia data che ha conosciuto personalmente Rogers a La Jolla e per lui counselling era una psicoterapia breve….quindi psicoterapia, che prevede perciò tutte le competenze di uno psicologo.Grazie Nicola per tutto quello che stai facendo

Buongiorno, Sono Silvia e sto frequentando il corso di counselling. In tutta onestà mi rendo perfettamente conto che l'approccio con la persona e quindi anche i relativi incontri che ne seguono debbano essere fatti da soggetti altamente preparati, per un semplicissimo motivo: come posso individuare se il cliente abbia bisogno di un aiuto differente, se le mie competenze non vanno oltre un certo limite? Questo è il cruccio che più mi assilla. Sto tentando di risolvere la questione in maniera piuttosto razionale, ossia iniziando a seguire dei MOOC per il momento, poi, a tempo debito, con l'iscrizione alla facoltà di psicologia. Cmq si, da studente in corso, devo ammettere che forse, i campi si potrebbero sovrapporre, inutile nascondersi dietro al fatto che il counselor tratti con persone sane, quando in realtà dal canto mio non posso dire con esattezza se colui che ho difronte lo sia. Il mio percorso di psicoterapia, mi ha portata a questa conclusione, se qualcuno chiedesse a me, ora: Silvia, tu credi io sia malato o semplicemente sto accusando il colpo di una serie di eventi? io con tutta l'onestà del mondo avrei difficoltà a poter rispondere esattamente, perché mi mancano le fondamenta. Quando il mio "dottorino", disse a me, tesoro, ti certifico, non sei malata, non lo sei mai stata, hai solo bisogno di ritrovare te stessa e fare qualcosa per te, e lo fece guardandomi dritto negli occhi, capii che la strada per il cambiamento era dentro me, da lì decisi di iscrivermi al corso di counseling, da lì compresi molte cose, da li mi accorsi di quanto potesse essere bello poter aiutare chi è in difficoltà. Lavorando a tempo pieno, con un bambino piccolo, studiando nei tempi morti, non so come e se potrò raggiungere l'obiettivo prefissato, ma non mi sono data una scadenza, ho semplicemente voluto farmi questo meraviglioso regalo, togliermi il velo, comprendere tanti perché in maniera profonda, poi se questo porterà i suoi frutti, sarò ben lieta di accoglierli. Buona giornata a tutti e grazie per la riflessione.

caro Piccinini i buoi ormai sono usciti dalla stalla,ovvero i counselors sono ormai presenti in Italia e,come ben sai, sono per lo più formati da psicologi con alle spalle il modello rogersiano.
fa bene tuttavia l'Ordine in nome della tutela della professione a contrastare questo ambiguo fenomeno.
credo peraltro che sia,scusami,una battaglia persa,come tante altre,tipo pedagogia clinica,arteterapia,psico-filosofia,ecc.,che "accerchiano" la nostra professione.
Questo ci dovrebbe però spingere non tanto a fare campagne corporative,utili ma non risolutive,bensì a migliorare la nostra professione,approfondire ed innovare strumenti e tecniche.
In altri termini arricchire e potenziare lo statuto culturale-scientifico della psicologia(o meglio delle psicologie),costruire saperi riconosciuti e validati. Solo così.secondo me,si allontanano dal territorio della psicologia,ambigue figure professionali. Insomma più cultura più tecniche validate.
In questa prospettiva vedo il counseling solo come una competenza(un po' come la mediazione familiare),una attività di supporto,un "fare aiuto"(ovviamente qualificato),non una professione e men che meno una metodica di cura : l'accostamento per differenza con la psicoterapia è assolutamente fuorviante.
Una capacità di "essere con",che si ritrova trasversalmente in tutte le attività "di aiuto"e che purtroppo la nostra attuale Università stenta a riconoscere e promuovere come competenza sulla vita emotiva nell'agire relazionale e professionale.
Io con altri ho cercato di approfondire il tema vastissimo dell'aiuto professionale con il testo "Psicologia della relazione d'aiuto"(trame,relazioni e contesti) edito da Berti,Piacenza(2010),risultato di un corso universitario a Piacenza,ma mi pare che non abbia riscosso "le simpatie" né degli helpers né degli psicologi…………….

Mi sono abilitata da poco alla professione di psicologo per cui posso in partenza affermare che ne so molto meno di lei. Di base posso affermare dopo 3 + 2 + 1 anno di tirocinio post laurea + esame di stato, quindi 7 anni circa di formazione che lo studio è molto inconsistente, la trasmissione delle conoscenze frammentaria e ripetitiva. Raggiunta la laurea magistrale (5 anni) ho l'onestà di dire con capacità critica che non mi sentivo realmente competente, non abbastanza per lo meno, non come avrei voluto ecco. Per cui credo davvero che l'aspetto formativo vada esaminato e ristrutturato e che su tutto il territorio italiano vada assicurata un'omogeneità nella trasmissione delle conoscenze di base. Poi è chiaro che uno studente universitario debba parallelamente approfondire e definire il suo campo di interesse. Trovo la materia psicologica molto vasta, ambigua e disorientante. Troppe correnti, troppe interpretazioni, troppi punti di vista. Ma questo è plausibile per noi che lavoriamo nell'ambito spesso dell'astratto (pensieri, emozioni, sogni). La diatriba psicologo, counselor e psicoterapeuta si fonda sostanzialmente sul bisogno di ognuno di noi di prendersi un pezzo della piccola torta italiana. Mi riferisco al mondo del lavoro chiaramente. Nel senso che chi più chi meno siamo tutti 'venditori di soluzioni' rispetto a un problema, un disagio, una psicopatologia, un sostegno e quant'altro. Credo all'etica professionale, al fatto che molti siano spinti davvero da uno spirito di aiuto, strutturato con la formazione, ma credo anche che oggi legittimamente anche nei professionisti d'aiuto più o meno consciamente il pensiero primo sia il guadagno, non poi esorbitante, ma necessario. Non voglio qui stare a difendere il counselor, che con una breve formazione rispetto alla mia, mi scavalca e si conquista con meno un pezzo della piccola torta. Ma non posso accusarlo. Perché questa confusione è l'effetto di un campo che ho scelto che purtroppo è tutto e il contrario di tutto. E allora forse l'unico vero criterio è l'efficacia di quello che proponiamo, è considerare quanto quello che rispondiamo impatta positivamente nella vita di chi si rivolge a noi. Con questo non voglio dire che una qualsiasi Vanna Marchi possa legittimamente proporre e vendere soluzioni, ci mancherebbe. Ben vengano gli albi, ben venga un discrimine chiaro. Di base il rispetto della legge, delle fragilità che spesso si rivolgono a noi è imprescindibile. Ma forse dovremmo rivedere questo campo immenso che definiamo psicologia, perché manca ancora la scientificità che distingue un professionista da uno che si improvvisa. E la gente lo rileva per cui, se non nell'emergenza o nella estrema necessità, ci evita accuratamente. Perché ognuno difende la sua corrente teorica spesso acriticamente senza smuoversi dalle proprie posizioni. E questo non fa bene alla scienza psicologica. Voglio dire, una persona con una diagnosi di cancro sa bene o male che le terapie elettive sono chemio e radio. C’è una medicina ufficiale, riconosciuta, chiara nei confini, che supporta un iter piuttosto che un altro. Nella psicologia invece? Ancora confusione. Permettetemi di dire che lo stesso succede anche con i test, col mancato utilizzo dei manuali ufficiali, col mancato riconoscimento di un gold standard che appunto definisca e non confonda. Certo non ci sta bene che un counselor ci rubi la torta. Ma andiamo a fondo…perché accade? Perché tutto appare inconsistente. Ieri Daria Bignardi somministrava ad Arisa tre tavole di Rorshach. Il messaggio che passa è che il nostro campo è accessibile a tutti. E non è così, ma diventa così perché la nostra formazione è discutibile. Non facciamo la differenza ecco. Per molti siamo solo ‘chiacchiere e distintivo’. E allora quel che criticamente andrebbe fatto è ripulire i vari ambiti, definire dei percorsi, considerare gli impatti reali. La guerra tra figure sottende un interesse economico. Ci sta. Ma è la competenza a fare la differenza, un’informazione chiara. In una materia complessa. Un medico può con un esame del sangue dimostrare l’efficacia del suo intervento, uno psicologo/counselor/psicoterapeuta fa più fatica. Eppure – io ho avuto modo di capirlo – c’è una differenza abissale tra un competente e un improvvisato. Ma non è il tempo la variabile. Posso onestamente dire che i miei 7 anni siano più formativi di un corso per counselor? A questo quesito non avendo fatto un corso per counselor non posso rispondere, però posso di sicuro onestamente ammettere di aver trovato nei miei sette anni poca chiarezza, spirito critico, scientificità. E credo qui si annidi il nocciolo del problema.

Gentile collega ho già inoltrato il suo articolo sui miei contatti on FB (https://www.facebook.com/giuseppeesp) premettendo ad esso un'immagine che condivido qui.

I COUNSELOR E LA GAMBA TESA
Volevo condividere con voi questo articolo in cui è espressa la posizione del presidente dell'Ordine psicologi Lazio (OpL), Nicola Piccinini in cui si capisce bene, perché è bene argomentato, la differenze tra psicologo e counselor (counselling(ling etc.). Prima volevo però passare questa breve immagine calcistica; mi rendo conto che chi non svolge la professione di psicologo può avere poco interesse per la materia, ma io ritengo utile che anche i non addetti ai lavori (e chi a qualunque titolo fosse interessato a conoscere queste distinzioni), capiscano bene come alcune professioni anche riconosciute (come il counselor) cerchino di fare quello che fa lo psicologo e lo psicoterapeuta intervenendo fallosamente. Ecco l'immagine: il counselor è come quel giocatore che entra a gamba tesa, colpisce e procura dolore e dopo tale intervento falloso si alza prontamente con la faccia stupita, mentre chi è stato colpito si contorce e si rigira sul prato e sollevando le mani al cielo dopo essersi battuto il petto, come a dire "cosa ho fatto io? ma no!" si guarda attorno cercando consenso per convincere che non ha fatto quello che è stato visto, o paradossalmente che chi sta a terra finge, ha esagerato, e che lui non è responsabile di ciò che è accaduto, che quella sofferenza non lo riguarda. Chi gli darà consenso? Chi lo ammonirà? Qualcuno avrò il coraggio di espellerlo? e sopratutto, mi domando, chi ha ha lasciato sul prato?

Concordo con quanto affermato da Nicola Piccinini. Spesso, infatti, mi sono trovata a parlare con persone che sostenevano con entusiasmo l'attività svolta da questi counselor (termine che non riesco nemmeno a pronunciare bene…sarà proprio questo il mistero di tanto fascino suscitato?), e quando chiedo cosa fanno in pratica, solitamente mi rispondono che queste figure tirano fuori le risorse delle persone e le aiutano ad affrontare i problemi. Allora chiedo di nuovo: "E che differenza c'è rispetto a quello che fa lo psicologo?". Ancora non ho ricevuto nessuna risposta.

Maria Elettra Cugini quelli che lei chiama ciarlatani sono professioni di aiuto universalmente riconosciute nel mondo, e potrei citargliene molte altre a partire dallo sciamanesimo, non le associavo alla figura dello psicologo che a mio parere ha una sua valenza chiara che poco ha a che vedere con il counseling come diceva Jessy Dean Anderson, sono due figure distinte che hanno dei punti in comune, sostengo però che piaccia o no le professioni di aiuto sono ormai una realtà europea da anni ed ora anche italiana, che aiuta ciò che funziona, che la migliore deontologia professionale è la correttezza intellettuale, in quanto vorrei sapere se gli psicologi sanno darmi la certezza della loro terapia o psicoterapia o delle sedute di ascolto, non possono, non è una certezza matematica e non c'è, ci sono metodiche più o meno apprezzabili e più o meno adattabili alle circostanze, quindi stiamo e scusate la franchezza parlando del quasi nulla, senza nulla togliere agli studi ai sacrifici ed all'impegno di molti psicologi anche con i quali collaboro( e ci tengo a precisare per lo più a titolo volontaristico e gratuito), ci sono alternative per la psiche e lo spirito umano, ed appunto citavo materie come il Reiki , il Rebirthing, la musicoterapia , lo Yoga ecc., tutte discipline che rientrano nelle professioni di aiuto, che volenti o nolenti rientreranno sempre nelle professioni di aiuto, il prete fa una professione di aiuto, lo spiritualista e non potete negare l'evidenza e neppure contrastarla in quanto esistono da prima della psicologia e della psicoanalisi, solo ora che gli psicologi cominciano ad essere molti e con poche prospettive si cerca di tirare i remi in barca, ma ditemi se io parlo con le persone e queste vengono a chiedermi consiglio e poi stanno meglio con se stessi e con il mondo come può una legge vietarmelo? Dovrebbe vietare a miliardi di persone di essere consiglieri, guide spirituali, guide di pensiero, ecc. Capisco e ribadisco capisco il vostro punto di vista, ma è altrettanto vero che la realtà è questa, bloccate il counselor, ci sarà l'operatore olistico, l'animista, lo spiritualista ecc. ed ogni uno di loro ha il suo perchè ed i suo clienti ed avventori, a mio parere ribadisco il problema è solo vostro o meglio potreste essere voi a soccombere se non vi adeguate e collaborate con queste figure che esistono nel mondo intero, e comunque c'è una legge e ci sono dei diritti acquisiti, ma questi sono ribadisco dettagli, infatti lavorano anche in televisione, cartomanti e veggenti ben più temibili dei counselor , ma sono liberi di vendere la lorio aria fritta e con un discreto successo, proprio perchè non si può normare il credo di una persona, la superstizione o quello che gli fa piacere gli serva per superare momenti di difficoltà od inadeguatezza. aggiungo lo stesso ospite di questa pagina web oltre che psicologo si definisce esperto in social media, sviluppo web, avvio di impresa, con quali titoli? C'è una laurea in scienze delle comunicazioni, ma nessuno gli impedisce di acquisire competenze ed esercitarle, sono mercati dello scibile e dell'umanesimo passatemi il termine, non ci sono solo competenze di laurea e non sono le uniche dententrici di deontologia e vera capacità, quando in Italia capiremo questo saremo veramente liberi e forse ci confronteremo senza scannarci ma trovando la collaborazione ed il giusto lavoro per tutti.

Caro Nicola, finalmente con te l'Ordine ha preso posizione verso questo ambito di "usurpazione di competenze" con il quale siamo in tanti ad esserci "scontrati". Condivido pienamente quanto letto nel tuo articolo, grazie per il tuo lavoro e un caro abbraccio.Loredana

Condivido tutto.
Sottolineo solo che oltre alla difesa della professione questo discorso è in funzione della difesa dell'utente (o paziente): mettere il proprio benessere psichico in mano a un filosofo o a un'insegnante (filosofia e scienze della formazione consentono l'accesso ai corsi da counselor) che utilizzano strumenti psicologici è come mettere la propria bocca in mano a un carrozziere che usa gli strumenti del dentista…
Come minimo mi sembra rischioso.
Come psicologa e psicoterapeuta poi sono contenta che il mio Ordine cominci a tutelare la professione che mi sono costruita con tanti anni di formazione e sacrifici; spenderei qualche parola anche per i pedagogisti clinici, verso i quali nutro un particolare affetto. 🙂

Credo che il collega Piccinini abbia centrato con chiarezza e competenza il problema della invasione di campo di alcune professioni rispetto a quella degli psicologi che francamente vedo sempre più indeboliti e bistrattati. Condivido anche il concetto che visto che gli psicologi sono obbligati ad essere iscritti ad un Ordine perchè lo Stato pretende certezze rispetto ad alcune attività di cura (e mi sembra doveroso) dobbiamo difendere il contesto scientifico e giuridico che ci caratterizza. Difenderlo con ogni mezzo: giuridico, con iniziative culturali, dibattiti ecc. E aggiungo che probabilmente saremo costretti a valutare la richiesta di interventi legislativi o quanto meno interpretativi delle norme vigenti al fine di chiarire sempre di più che chi fa psicologia non può che essere uno psicologo .
Cordiali saluti
Lorenzo Morini (psicologo e psicoterapeuta)

Parlando della prima traduzione di un libro di Rogers, Vittorio Zucconi scrive "E' interessante notare come la scelta della parola "consultore" invece di psicoterapeuta fatta nella traduzione italiana che risale alla prima edizione curata da Lucia Lumbelli traducesse il termine anglosassone counselor (in americano; oggi in Italia e in Europa counsellor secondo la grafia britannica). L'impiego del termine, in luogo di psychotherapist è rivelatore della condizione in cui versavano in quel periodo gli psicologi statunitensi: poiché ad essi non era permesso erogare servizi di psicoterapia, che costituivano prerogativa esclusiva della classe medica, gli psicologi ricorrevano all'espediente di chiamarla con il termine counseling. Nel riproporre la stessa traduzione in questa nuova edizione abbiamo ritenuto modificare consultare con counsellor" Introduzione a "terapia centrata sul cliente" C. Rogers Edizioni la meridiana persone, stampato nel 2007, collana diretta da Vittorio Zucconi!

Credo vada fatta una campagna alle scuole e alle strutture pubbliche in genere che possono in buona fede accettare prestazioni dei counselor. Diverso invece insegnare tecniche di ascolto per i professionisti ai quali può essere utile per il loro lavoro.

Mi aspetto da un momento all'altro il copyrigth sulle parole e sulle relazioni……..Non sono daccordo con nessuna dele riflessioni sopra esposte. Non sto ad argomentarle perchè troppo complesso in questo spazio minimo. Dico solo che la psicoterapia e la psicologia sono una cosa seria e si finirà per dare l'impressione di una debolezza di fondo che va tutelata irrigidendo la struttura delle relazioni culturali che contemplano la libertà di parlare con chi si vuole e quando si vuole, e di non doversi ritenere per questo dei pazienti. Ovviamente la legge sulla liberalizzazione delle professioni non regolamentate ha dato già una risposta culturale. Ma mi pare che nella 56 ci si vuole infilare tutto, un eterno apparato normativo mai divenuto adulto. Invece è proprio quella maturità alla quale dovrebbe mirare. Questo sarebbe il modo più efficace di tutela. Forse pecca proprio in uno di quei principi che rappresenta in ambito di cura: la crescita individuale. Che non si ottiene pensando di modifcare continuamente una norma accapparrandosi i diritti sulle parole, sulle espressioni comuni, sui diritti di scelta. La psicologia è una scienza molle: nasce dalle parole e vivrà sulle parole. Non ha una scelta meccanicistica, ma solo concettuale, teorica. Dunque ha un proprio Se, ed un percorso che dovrebbe curare legittimamente guardando meglio in se stessa. Buone cose amici.

Sono d'accordo con il nostro Presidente. Finalmente l'Ordine prende posizione. Peccato che da più parti sono gli stessi psicologi che aprono scuole o dirigono corsi per diventare counselor. Arrivano da me persone che hanno scelto di farsi seguire dai counselor. Sono personalmenye a conoscenza di istituzioni educative e sanitarie e aziendali, che fanno formazione prediligendo i counselors. li preferiscono anche per consulenze agli studenti. In qualità di psicologa ho solo potuto cercare di distinguere. La realtà è che siamo in grandissimo ritardo per difendere la nostra professione con danni occupazionali e d'immagine notevoli per tutti noi e soprattutto per le nuove generazioni di psicologi. Perché si dovrebbero affrontare anni e anni di università e di specializzazione, se con due o tre anni si diventa counselor? Ricordiamoci che per accedere come psicologo al sistema sanitario è necessario essere laureati in psicologia, aver sostenuto l'esame di Stato ed essere specialisti in psicologia clinica o in psicoterapia. Con sempre meno soldi ma crescente interesse e passione per la psicologia, numerosi giovani forse si orienteranno per il counseling in futuro. Mi auguro che non accada e ringrazio il Presidente. P. Ciocci

buongiorno, mi sono imbattuto in questo articolo. sinceramente capisco chi ha faticato per ottenere tale titolo, avrà pagato, avrà partecipato a lezioni frontali, avrà fatto anche un tirocinio da qualche parte e così via…..ma si può sapere perchè chi ha insegnato tali tacniche non venga sanzionato in qualche modo?
sono forse persone troppo potenti ed influenti?

Articolo 21 L'insegnamento dell'uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all'attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all'esercizio di attività caratteristiche dello psicologo. Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull'applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici. È fatto salvo l'insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. È altresì fatto salvo l'insegnamento di conoscenze psicologiche.

Il disporre dei mezzi di controllare l’abusivismo della professione di psicologo, l’abbiamo persa quando l’ordine Nazionale ha decretato l’abrogazione del comma 2 dell’articolo 51 del decreto de Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, tale articolo dava la possibilità ai laureati triennalisti, dopo aver superato l’esame di stato e l’iscrizione all’albo degli Psicologi nella sezione B, di svolgere varie attività tra cui il counselling. Anche gli obiettivi formativi universitari sono stati modificati sotto la pressione dell’Ordine Nazionale. Gli obiettivi formativi universitari per i laureati in scienze e tecniche psicologiche davano al laureato di primo livello le competenze di primo intervento di aiuto grazie all’acquisizione di abilità di counseling. In pratica abbiamo avuto paura dei triennalisti e non abbiamo considerato che loro erano e sono laureati in psicologia, con tanto di esami sulle materie psicologiche, quindi chi meglio di loro potevano fare counseling in un contesto non clinico? Ma i grandi luminari della Psicologia hanno pensato bene di far abrogare quell’articolo di legge e far modificare alle università l’offerta formativa diminuendo le loro competenze e la possibilità ai triennalisti di fare counseling. Questa scelta ha portato a lasciare un vuoto in tale ambito dando, così, la possibilità a chiunque di riempire questo vuoto. Ora ci troviamo a combattere contro una legge dello Stato che ha riconosciuto i counselor e altre figure professionali affini allo psicologo. Ritengo chae la responsabilità di ciò che sta accadendo è solo nostra, non siamo stati lungimiranti.

è dal 2004 che lo sostengo… che sfortuna essersi laureati in una facoltà ed un percorso professionale che solo per avere una qualifica è di 10 anni!!!! Poi continua, come studi, tutta la vita..e alla fine non è di fatto riconosciuta, chi PAGA l'errore???
Quando arrivi dopo 10 anni di studi e scopri che ci sono "operatori", formati da Psicologi avidi di denaro (agli inizi; ora non servono nemmeno quelli perché i counsellor, coach e altra mercanzia si auto riproducono ), che hanno letteralmente svenduto una professione in sfregio al codice deontologico e a mio giudizio anche alla legge dello stato (legge 56/89), dando vita a questo bel pasticcio all'italiana..
Mi nasce la Proposta…io chiedo i danni allo STATO ..tutti i 90.000 psicologi Italiani lo dovrebbero fare ìn una sorta di Class action: "il patto l'avevo con lo stato Italiano e lo stato lo ha tradito permettendo a moltissima gente di appropriarsi di un professione che era chiaramente riconosciuta e regolamentata per LEGGE dello STATO!!!": quando nel 1991 mi iscrissi alla facoltà di Psicologia non vi era PER LEGGE !! alcun altro percorso possibile se non medicina, intrapresa precedentemente, che però durava 6 anni come Psicologia (ai 5 anni teorici andava aggiunto un 'intero anno di "sfruttamento in tirocinio")
E poi scopro che con qualche Week end all'anno pagando 3000- 4000 eurini l'anno mi compro la professione???? VERGOGNA!!

La questione dovrebbe essere a mio avviso discussa dal CNOP e non soltanto dai singoli ordini ed ha ovviamente a che fare con tutta la questione della formazione, da quella universitaria, esclusivamente teorica e poco applicata, alle scuole di formazione in psicoterapia, un esercito di macchine mangiasoldi che, in tempo di crisi, e quindi con maggiore difficoltà a reperire persone che possono permettersi un simile percorso, hanno creato questi format per attingere ad altre professionalità. Parliamo dell'ovvio, tutti sanno che quello che fa un counselor rientra nel lavoro dello psicologo, la vera questione è al solito chi tutela, garantisce, la professionalità ma anche chi dovrebbe implementare il potere, il credito dello psicologo nella comunità tutta. Un esempio per tutti, ancora non siamo riusciti ad istituire la figura dello psicologo di base…

Io penso che l unico modo per dimostrare la differenza tra psicologo e Counsellor possa essere solo quello di informare il più possibile le persone e anche i professionisti che girano intorno alla figura dello psicologo ( medici, avvocati, educatori,….)

Caro Nicola Piccinini, la ringrazio per la possibilità che mi da di esprimermi sul suo blog, dopo aver letto l'interessante articolo che ha postato. Non voglio entrare nel merito della questione in particolare, anche perchè ritengo che il modo in cui viene condotta la discussione, sia da una parte che dall'altra, sia un modo per rimpallarsi alcune posizioni, il più delle volte speculari e quindi di difficile soluzione se si rimane su questo tipo di terreno di accuse reciproche. Per quanto mi riguarda ritengo che tale situazione conflittuale sia il sintomo di un intrecciarsi di problematiche diverse a cui bisognerebbe, a un certo punto, dare un certo ordine logico, ma non voglio dilungarmi.
Su un aspetto vorrei soffermarmi su quanto lei scrive, a proposito del fatto che " è oggettivo che il sistema normativo italiano è atipico rispetto a quelli di molti altri paesi, soprattutto di matrice anglosassone, ma è di fatto il ‘sistema normativo di riferimento’ e in tal modo va preso"; mi pare questa sia una posizione politica ben riconoscibile e definibile come di conservazione, verso la quale, in se, non ho nulla da obiettare, se solo si enunciasse come tale, con tutte le conseguenze pratiche che ne conseguono, quando certamente il valore del più forte ha tutto il suo peso. Una politica progressista invece, ritengo, non può che porsi come tentativo di legittimazione delle minoranze, anche, e forse soprattutto, nel caso del singolo individuo (leggendola mi è venuto in mente il caso di Rosa Parks come esempio emblematico). Ovviamente in questo articolo lei assume un ruolo politico, dismettendo quello dello psicologo, eppure l'attenzione al cambiamento e alla critica accomunano questi due ambiti, politico e psicologico, forse per qualche ragione strutturale…
Mi domando a quando un approccio non ideologico ai molti problemi che viviamo in Italia, ma per questo non servono psicologi o counselor o altro, piuttosto cittadini politicamente consapevoli.

Caro Nicola, grazie!
Direi che è giunta l’ora di azioni efficaci e mi pare tu possa essere la persona giusta per promuoverle. Credo che questa situazione si autoalimenti nell’arroganza e nell’interesse dei formatori (psicoterapeuti) ma produca nei fatti un pericolosissimo quanto svilente effetto sanitario e culturale. Se noi psicologi continuiamo ad accettare che chiunque possa lavorare sul miglioramento della qualità della vita, sul disagio esistenziale, sull’ansia, sulle emozioni… implicitamente assumiamo che le conoscenze e le abilità acquisite nel nostro percorso formativo (laurea) non abbiano nessuna ragione di essere.
Mi chiedo inoltre come sia possibile, e qui mi riferisco a percorsi formativi attivati dall’università, che si stia tentando di illudere i counselor di poter essere autorizzati a svolgere un’attività in ambiente ospedaliero o comunque sanitario per la quale non hanno l’abilitazione (vedi legge 4/2013 art.2 che tu hai citato).
Ti ringrazio ancora per avere riportato all’attenzione un tema tutt’ora irrisolto, che richiede sostanziali e imprescindibili puntualizzazioni sulla base dell’attuale normativa italiana e delle criticità che chi lavora in questo ambito si trova ad affrontare ogni giorno!..

Caro Nicola, pur essendo iscritta all'Albo degli Psicologi, faccio attualmente l'insegnante, in attesa ovviamente di tempi migliori per potermi di nuovo dedicare alla Psicologia. Nel mio lavoro capita di imbattermi con logopediste tuttofare (che si sentono Counselor, Psicologhe, Psicoterapeute e anche Neuropsichiatre) e Counselor di ogni genere…Mi auguro che come Presidente dell'Ordine tu possa trovare una soluzione a problematiche così importanti. Ritengo che l'Attività di Counseling debba essere svolta soltanto dagli Psicologi…sinceramente dopo la triennale mi pare un po' poco…..e il tirocinio che quelli come me si sono fatti per 1 anno dopo la laurea quinquennale, per poter fare l'esame di stato, dove lo mettiamo???

Condivido appieno la risposta, ma penso anche che il problema sia fondamentalmente nella loro formazione: troppi corsi non riconosciuti, i cui contenuti sono , a volte, piuttosto superficiali. Credo che una base di competenze psicologiche sia fondamentale anche per questa nuova professione. Forse riconoscere la laurea come titolo qualificante per i counselor potrebbe essere una soluzione?!?

Sono del tutto d’accordo con quanto asserito nel presente articolo: considero l’attività di counselling psicologico un abuso a tutti gli effetti, un reato mascherato da buone intenzioni. Consente facili guadagni a chi vuole ‘aiutare’ senza sobbarcarsi l’impegno della lunga e faticosa preparazione per l’acquisizione delle necessarie competenze psicologiche, scientifiche e relazionali. Dietro a questo ‘buonismo a basso costo’ si intravvede molta presunzione, superficialità e arbitrio, che costituiscono il rovescio della medaglia di uno scarso senso di responsabilità nei confronti del ‘cliente’ (così sono chiamati i pazienti, e già questo la dice lunga….), ai quali possono arrecare danni psichici e inganni ideologici – anche involontariamente – non possedendo la dovuta formazione.
D’altro canto, c’è da dire che la persona in situazioni di disagio, a volte, preferisce rivolgersi a un counsellor poiché più facilmente avvicinabile e disponibile, oltre che economicamente abbordabile. Questo denota che il più delle volte si ha principalmente bisogno di qualcuno che ci ascolti con umanità, accoglienza non giudicante e attenzione consapevole. Purtroppo, per rispondere a questo bisogno, si rischia di incappare in tutto ciò che offre il mercato sociale, in maniera sprovveduta e acritica, a maggior ragione se si soffre qualche disagio psicologico. E ciò aumenta ancor di più il pericolo. In conclusione, auspico una presa di posizione dell’Ordine degli Psicologi e Psicoterapeuti a questo riguardo; altresì il problema stesso pone la necessità
di una messa in discussione circa le modalità, i tempi e i costi delle psicoterapie, che fanno defluire le persone ad altri luoghi.

Lei che scrive si occupa di social web, personal branding ecc. cose che alcuni anni fa in Italia erano sconosciute. Non è che una laurea in psicologia del lavoro dia la patente specifica di occuparsi di personal branding, di web marketing o altro. Se lo fa, e non ho motivi di dubitare che lo faccia bene, lo farà perché sente di farlo. Non vedo perché un sociologo come me – laurea quadriennale – non possa dopo tre anni di master fare un’attività di sostegno e di ascolto delle persone o un’attività di coaching. Non mi sento affatto un usurpatore, so quando fermarmi e quando è il caso di fare un invio a uno psicoterapeuta. Se negli anni 80 e 90 a Roma si faceva lezione nei cinema (il Metropolitan, ancora me lo ricordo), perché la facoltà di Psicologia scoppiava, sfornando persone che poi non avrebbero trovato una collocazione professionale adeguata, è un problema che riguarda la solita cattiva gestione delle facoltà. Adesso si cerca di tagliare le gambe ai counselor, quando ci sono psicoterapeuti che si occupano anche dei fiori di Bach! Lo fanno perché ci credono? Per tirare su qualche soldino in più? Esiste una laura in “fioridibaccologia”? Non stigmatizzo nessuno per questo, anche se per me è fuffa pericolosa.

Gentile Massimo Botarelli l’esempio del social web, ahimé, non è proponibile 😉
Lo Psicologo, in Italia, è riconosciuto da una legge dello Stato, si occupa di Salute dei cittadini. La funzione di counseling è intrisa di psicologia, è propria a tutte le professioni ed utile per performare la loro capacità di comunicazione e relazione (pur continuando a fatturare come tali), ma quando diviene attività primaria ed il suo fine è quello di lavorare su dimensioni psichiche, emotive, comportamentali del “cliente” (perché la persona paga per quello)… beh… in questo caso diviene atto tipico dello Psicologo, in Italia (ripeto!).

Lo psicologo è un professionista con Ordine professionale. Il webmaster o il social media specialist sono invece mestieri, che non hanno esami di stato, ordini, leggi e GIUSTAMENTE possono essere fatti da chiunque abbia capacità tecniche adeguate…

Buone cose, Nicola 🙂

La mia domanda è molto semplice: in Italia ci sono circa 100 mila psicologi, un terzo di tutti gli psicologi d’Europa. Se è vero che la figura dello psicologo oltre all’attività clinica, si occupa anche di promozione e benessere, perché il paese d’Europa con più psicologi è anche quello che più difficoltà ad uscire dalla crisi economica, se confrontato ad altre economie europee? Un numero così consistente di psicologi, se rapportato ad altri paesi, non dovrebbe avere un impatto a livello di benessere generale, di iniziativa e autoefficacia? Invece quello che noto è che nei paesi in cui sono diffuse figure meno ortodosse legate alla crescita personale, come il life coach, c’è anche più fiducia nel futuro. Tralasciamo gli USA, dove non esiste una differenza netta tra psicoterapeuta e counselor, il paese più avanzato del mondo, dove la maggior parte dei “terapisti della parola” non sono psicologi ma “social worker”, ovvero assistenti sociali, benché con aree d’intervento più ampie rispetto alla figura italiana. La psicologia americana è quella che sforna i manuali su cui studiano gli studenti italiani di psicologia… ebbene negli USA, che hanno una popolazione cinque volte quella italiana, ci sono quasi un milione di social worker e meno di 200 mila psicologi, ai quali si aggiungono i “licensed counselor” regolarmente riconosciuti dai singoli stati, e che ottengono la licenza dopo un Master’s Degree corrispondente alla laurea magistrale italiana.Figura che non corrisponde esattamente né allo psicologo italiano né al counselor italiano, ma diciamo si tratta di una via di mezzo, in quanto negli USA segue un percorso universitario diverso rispetto alla canonica laurea in psicologia. Quel che pure negli USA non è regolamentata è la figura del Coach, che spesso si tratta di praticanti la PNL. In Italia al contrario ci sono 100 mila psicologi, che sono più degli assistenti sociali. Non sarà forse che la figura dello psicologo in Italia è un pò inflazionata, poco efficace nel produrre un aumento di motivazione e benessere psicologico generale nella comunità, e soprattutto ha privilegi riguardo aree d’intervento che in altri paesi sono riservate anche ad altre categorie?

Sarà, ma è un pericolo per le libertà quello che sta avvenendo, con gli psicologi pronti a reclamare a sé, a suon di sentenze, qualunque attività intellettuale di supporto alla persona. Vedo tante ragazze che fresche di laurea aprono lo studio, e si propongono per le più svariate prestazioni, dalla consulenza psicologica, al benessere, al sostegno per questo o quel disturbo, pur non avendo ricevuto una vera e propria formazione di sostegno psicologico, perché l’università sforna persone che conoscono molta teoria, molti esperimenti, ma poca pratica e metodi di colloquio e aiuto. Per trattare un’altra questione affine, lei conosce il fenomeno del coaching? Ce ne sono un pò di tutti i tipi e con vari nomi, business coach, life coach, mental coach, mental trainer, performance trainer, coach per il carisma, la leadership, la comunicazione, e persino coach di seduzione. Spesso si tratta di professionisti riciclati, spesso apprezzati dalle aziende, spesso con una laurea in economia o scienze della comunicazione e con grande esperienza aziendale. Per fare due nomi famosi, Roberto Re ed Emanuele Maria Sacchi. Siccome si propongono di facilitare il cliente al raggiungimento di obiettivi di natura comportamentale, o come esperti di comunicazione e relazione interpersonale, d’immagine, è da aspettarsi che in futuro prossimo gli psicologi, sempre più in sovrannumero, facciano la guerra pure a questa categoria, iniziando a pretendere che anche cose come la gestione di risorse umane o corsi di comunicazione siano di esclusiva competenza dello psicologo. In quel caso ad esempio gli scienziati della comunicazione potrebbero pretendere un loro ordine e una loro definizione di professione, così da difendersi da queste invasioni di campo. Ma in quel caso sarebbe il caos, perché anche gli economisti potrebbero avanzare pretese, e tutti richiederebbero una rigida codificazione. Per questo motivo le nazioni più progredite dell’occidente non hanno gli ordini. Sfido a sostenere che una 26 enne neoabilitata che di comunicazione sa poco e niente possa essere più competente di personaggi del genere, solo perché in possesso di una laurea in psicologia. Non sarà un caso se personaggi del genere sono molto apprezzati dalle aziende, e sarebbe davvero tragicomico se a queste aziende venisse detto che non possono più chiedere la consulenza di chi ritengono più competente solo perché un decreto di casta gli impone che tutto ciò che presuppone un lavoro sulle risorse umane debba far parte di un ordine corporativo. Dalle pretese delle associazioni di categoria pare che gli psicologi debbano essere gli esperti di tutto ciò che è supporto alla persona per il raggiungimento di un obiettivo comportamentale non rigidamente definibile in una qualunque professione esistente, quasi per grazia divina, e sta diventando quindi un problema di libertà professionale. Il vero problema sono i numeri, 5000 nuovi psicologi all’anno (90% psicologhe), 50000 attesi quindi in un decennio, e non è limitando le libertà professionali altrui che si risolve questo problema.

A Massimo Bottarelli voglio dire che anch’io ho visto psicoterapeuti che consigliano i fiori di bach, e non sono cose che nascondono, ma che mettono in bella vista sui loro siti nella descrizione delle loro supposte competenze professionali, magari avallando questo con un attestato di qualche corso non riconosciuto (alla maniera di quanto gli psicologi contestano al counseling). Ma questo è il meno, perché ho visto ben di peggio, ho visto psicologi psicoterapeuti proporsi come medium tra paziente e anime dei defunti. Ho visto le più disparate idee di parapsicologia e pseudoscienza seguite da psicologi regolarmente abilitati e professate come metodi d’aiuto. In questi casi pare quasi che i titoli siano soltanto un ombrello dietro il quale proteggersi a livello legale, e mi chiedo perché a queste persone le associazioni di categoria di psicologi non rivolgono la loro attenzione e la loro preoccupazione per la tutela della salute. Questi personaggi, per usare una metafora, è come se fossero preti cattolici che nel bel mezzo di una messa, siccome si sono convertiti, si mettono a predicare gli insegnamenti di Budda.

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