Numero chiuso per l’accesso alla facoltà universitaria, prove di ammissioni comuni nello stesso giorno a livello nazionale, riforma della laurea breve, migliore qualità del tirocinio e
revisione dell’esame di Stato.
Questi i principali temi trattati il 12 Aprile scorso a Roma durante “Gli Stati Generali della Psicologia“, evento dal nome altisonante e teatrale organizzato dal CNOP, il Consiglio Nazionale Ordine Psicologi.
Nell’occasione sono state presentati i dieci comandamenti per“realizzare nuovi percorsi formativi per facilitare l’accesso dei giovani professionisti al mercato del lavoro e garantire agli utenti adeguati livelli di qualità del servizio“… questo il proposito riportato in apertura del Comunicato Stampa diffuso dal CNOP.
Qui di seguito il testo del Comunicato:
Secondo i dati ufficiali raccolti dal CNOP sono circa 83.000 i professionisti in Italia iscritti all’Albo degli Psicologi. E ogni anno il numero medio degli iscritti aumenta di circa 5.000 unità. Ma oltre la metà degli iscritti non riesce a esercitare la professione di psicologo. Ecco perché il CNOP presenta oggi alle istituzioni un vero e proprio decalogo ufficiale di proposte, ma anche di azioni già avviate, che riguardano in particolare l’accesso alla professione, la sperimentazione di nuovi percorsi formativi e professionali, il tirocinio, la riforma degli esami di Stato.
“La precarietà che registriamo in alcune fasce dei nostri professionisti potrebbe essere attribuita al rilevante numero di laureati che, negli ultimi quindici anni, sono usciti dalle Università come conseguenza della proliferazione dei corsi di laurea”, ha dichiarato Giuseppe Luigi Palma, Presidente del Cnop. Nel 2010 sono stati attivati più di 40 corsi di laurea di I Livello e più di 60 corsi di laurea di II Livello. Ma, “a fronte di un simile aumento nell’offerta di formazione, continua Palma, è mancata una programmazione degli accessi rispetto al fabbisogno nazionale degli psicologi. Ecco perché il documento propone di definire un numero adeguato di accessi annuali, periodicamente aggiornabile e in base a criteri condivisi di ammissione in modo da decongestionare da una parte il sovraffollamento universitario e dall’altra, garantire l’accesso al mondo del lavoro, una volta conseguito il diploma di laurea.
Sempre su questa linea si propone l’abolizione della sezione B dell’Albo degli psicologi. “Sulla base dell’esperienza maturata con l’istituzione dei corsi triennali”, ha spiegato Palma, “tre anni sono necessari per porre le basi di una cultura psicologica, ma non sono sufficienti per una formazione professionale. A fronte degli oltre 83.000 iscritti, solo circa 200 risultano gli iscritti all’Albo B. Ecco perché riteniamo opportuna l’abolizione o la sua messa in esaurimento”.
Il documento punta, inoltre, a una migliore qualificazione del tirocinio professionalizzante, che oggi si configura ormai come un lavoro semi-indipendente svolto nell’ambito di un team professionale e in contesti sempre più eterogenei, come cliniche e laboratori di ricerca, servizi sociosanitari, aziende, scuole, tribunali, strutture di accoglienza, centri sportivi.
Legato a doppio filo con il praticantato è lo sviluppo professionale continuo che, soprattutto nella categoria degli psicologi, ha un’incidenza elevata. Secondo stime dell’Ordine, infatti, il 97 per cento dei laureati proseguono la loro formazione frequentando corsi di specializzazione, master o dottorati di ricerca.
Il documento, ancora, contiene proposte concrete sulla sperimentazione di una nuova forma di ciclo quinquennale per la laurea in Psicologia, in sostituzione del cosiddetto “3+2”. Infine, si invoca una vera riforma dell’esame di Stato, prestando maggiore attenzione agli aspetti deontologici e professionali. In particolare, l’Ordine chiede che gli esami si possano svolgere in tutte le sedi di corsi di laurea in psicologia, prevedendo solo due prove, di cui una uguale per tutte le sedi e monitorata a campione su tutto il territorio nazionale.
Beh… indubbiamente i punti presentati sono tutti meritevoli di attenzione ed ulteriore approfondimento.
83.000 psicologi iscritti, circa 80.000 studenti di Psicologia che generano nuovi 5.000 iscritti all’anno. Numeri oggettivamente insostenibili.
Voi che ne pensate? Sono misure sufficienti o forse necessiterebbero altre azioni non solo “contenitive”, ma anche “proattive e progettuali”?
Calmierare l’accesso e riformare il percorso universitario sono sicuramente aspetti strategici, e sono curioso poi di capire nel concreto in quale modo verrebbe tutto ciò operativizzato… credo tuttavia che, anche a fronte dell’enorme numero di psicologi già attualmente presente sul mercato, o si chiude del tutto l’accesso all’albo oppure ci sarebbe da mettere in atto anche altre azioni di sostegno, promozione, start-up professionale, ecc… a chi già è psicologo ma incontra importanti difficoltà a dare sostanza e continuità al proprio lavoro.
Voi che ne pensate?
Buon lavoro e buona vita
Nicola Piccinini
42 risposte su “Il DECALOGO del nuovo Psicologo… secondo il CNOP”
Tutto condivisibile.
Nessuno però affronta il tema della privatizzazione della formazione post-laurea. Il mercato mostruoso che si muove dietro le considette “specializzazioni psicoterapeutiche”. L’assenza (voluta) della formazione pubblica! L’università che non mostra interesse verso la formazione specialistica dello psicologo. Come mai accade questo in Italia. Chi permette tutto ciò! Ci si puo laureare nell’università pubblica, ma non ci si può specializzare nel pubblico. La specializzazione è prevalentemente privata e spesso non si riesce a conoscere nemmeno il costo effettivo. I giovani colleghi seguono il pifferaio maggico (e onnipotente) della “psicoterapia” che è diventata un’elemento totalizzante della professione. In questo modo il futuro della professione psicologica, amio avviso, misero culturalmente e materialmente.
certo migliorare la qualità degli studi (corsi di laurea più professionalizzanti) è ottimo ma non è il punto chiave. il punto chiave riguarda il numero degli iscritti.il problema della numerosità era già intuitivo da tempo. facendo 2 calcoli: in ciascuna clinica ci sono 1/2/3 psicologi e la sola padova ha 1500 nuovi iscritti all’anno. situazione infermieri: 30-40 per clinica e 20 posti al primo anno. anche considerando altri sbocchi lavorativi di psicologia (che peraltro ci sono anche per gli infermieri, vista l’attività privata al domicilio), è improponibile pensare ad una possibilità lavorativa tale da poterti garantire una qualità di vita discreta.
una volta era contrario al numero chiuso. ora ritengo che sia una forma di civilità: se entri, lavorerai, altrimenti lo saprai a ventanni (e non a 35) e non avrai perso tempo e creato illusioni per qualcosa che non potrà garantirti un futuro-e non solo, che forse te lo ostacolerà. io la vedo anche una forma di tutela per i giovani. e anche per il discorso del prendere una laurea per cultura personale…diciamoci la verità, uno dopo 5 anni ci ha investito, e probabilmente al termine del suo percorso desidererà ricavarci qualcosa.
se l’idea c’è ora bisogna vedere in che termini verrà proposta. per intenderci, i numeri di immatricolazione devono essere proporzionati e calcolati in base alle reali esigenze di mercato. inutile passare da un numero chiuso di 1500 ad uno di 1200. di certo così non si risolve un bel niente. il passaggio dovrebbe essere, purtroppo anche alla base delle numerosità già presenti, davvero drastico.
Credo che sarebbe opportuno operare affinchè aumentino le possibilità di lavoro per gli psicologi perchè nella popolazione ce n’è un gran bisogno, non vedrei male la figura dello psicologo di base da affiancare al medico,pagato dal sistema sanitario, gratuito o quasi per l’utente. Anche una maggior presenza negli ospedali: percorso nascita, problemi dell’alimentazione, sostegno a pazienti oncologici e loro famigliari.
E’ un primo passo. Occorrerebbe ridurre drasticamente i corsi di laurea in psicologia e regolamentare le scuole di formazione in psicoterapia obbligandole a consorziarsi per orientamento teorico. Dunque consentire l’apertura di un numero ristretto di scuole entro un certo numero (ristretto) di filoni teorici monitorando l’accesso alle docenze private con la stessa cura che sarebbe auspicabile in quelle pubbliche. Il mercato della psicoterapia è saturo già da anni, qualcuno avrà prima o poi il coraggio di porre con forza questo problema, in uno con quello della gestione arbitrariamente localistica di ogni singola scuola?
Anche il SSN andrebbe sensibilmente riformato riguardo alla psicologia, regolamentando le specialità richieste per l’accesso alle diverse aree di lavoro e definendo con chiarezza criteri netti per stabilire quanti psicologi occorrano per fare cosa e creando un coordinamento competente di tutto questo entro le singole aziende sanitarie. Oggi siamo contesi tra norme-feticcio concepite 30 anni fa, pressappochismo galoppante nella gestione degli psicologi, apertura caotica di sempre più incerti profili occupazionali sanitari (via volontariato, COCOCO e COCOPRO) e, per paradosso, progressivo restringimento delle risorse stabili assegnate e seriamente programmate. Ciò ha riflessi drammatici per servizi e occupazione. Chi si occupa di tutto questo? Chi mette senso e ordine in questa giungla impazzita a causa del micidiale mixing tra uno stato assente e l’incapacità auto-organizzativa degli psicologi? L’iniziativa del CNOP è un primo passo, niente di più.
Azioni non solo “contenitive”, ma anche “proattive e progettuali”?…83.000 saranno gli iscritti all’albo ma bisognerebbe chiedersi quanti dopo aver sostenuto e superato l’esame di Stato a quell’albo neanche si iscrivono poichè non vi è neanche lontanamente una prospettiva di lavoro. Come dovrebbero pagare la tassa annuale? Dopo anni di sacrifici una percentuale di Psicologi, che non so definire ma che è sicuramente rilevante e significativa, si rassegna a lavorare ai call center o a diventare Doll Maker! Ce lo dovremmo porre il problema o no?
Riformare e riqualificare il percorso formativo ha un senso, ma sinceramente non credo sia il punto fondamentale per trovare una soluzione alla drammatica situazione lavorativa in cui psicologi, iperspecializzati, iperformati e sinceramenete in molti casi assolutamente preparati, si trovano oggi.
La questione della speculazioni delle scuole di specializzazione che leggevo nel primo commento mi sembra invece un punto centrale, come lo è altrettanto la questione del praticantato infinito che si trasforma presto in vero e proprio sfruttamento. Infinito perchè, oltre alle ore di tirocinio per l’iscrizione all’albo, ogni corso di specializzazione (privato) prevede un ulteriore numero di ore di attività pratica che, non raramente, si trasforma per il giovane psicologo in un lavoro gratuito che va ben oltre le ore previste, nella vana speranza di poter un giorno avere un piccolo pagamento, piutoosto che la pubblicazione di articoli.
Oltre alla speculazione delle scuole di specializzazione e allo sfruttamento lavorativo mi chiedo e l’albo dove sta?
Ogni volta che parlo con altri professionisti gli viene da ridere quando mettiamo a confronto le tutele messe in campo dal nostro albo e dal loro. Non esiste nessuna forma di tutela o di ammortizzatore sociale essere iscritti all’ENPAP è addirittura penalizzante rispetto all’iscrizione all’INPS…
In questi giorno gli specializzandi di medicina stanno facendo uno sciopero veramnete serio che penso coinvolga la quasi totalità dei soggetti. Gli ospedali sono senza camici bianchi visto che la stragrande maggioranza si regge sul lavoro degli specializzandi. E noi? E il nostro lavoro? Non sarà ora di farsi sentire?
wow! che tempismo! Che coordinamento! Che efficenza! Sono commosso. in Inghiletrra, su 70 milioni di abitanti, ci sono 32.000 psicologi (ricordo però che la formazione in psicoterapia non è riservata a psicologi e medici, quindi non so quanti di questi psicologi siano anche psicoterapeuti, e quanti psicoterapeuti non-psicologi vi siano) e almeno una decina di nuovi posti di lavoro ALLA SETTIMANA! Ora il CNOP si è risvegliato dal lungo torpore. Sarà da ridere, visto lo scollamento, capire se e quando le università applicheranno un serio numero chiuso. Cheers
Trovo davvero poco professionale ed ingenuo l’approccio con cui gli ordini affrontano la questione dell’occupazione degli psicologi. Continuano a dire che ci sono “troppi psicologi”, vorrei sapere quanti sono gli ingegneri o i commercialisti. Le azioni di contenimento della concorrenza non hanno fatto sviluppare il resto dell’Italia e non funzioneranno per la professione psicologo, a mio parere. Il problema della nostra professione è che è attualmente fuori dal mercato e gli ordini non fanno nulla per inserirla; le persone in Italia non si rivolgono allo psicologo come al medico o al parrucchiere, per fare due esempi a caso. La nostra è una professione fuori dal mondo, fuori dalle ASL se non in una presenza risibile, spesso fuori dalle aziende e la proposta di legge per lo psicologo generico ne è l’esempio. Se gli ordini esercitassero veramente il loro compito di tutela della professione andare dallo psicologo non sarebbe più qualcosa di strano e non ci sarebbe bisogno di azioni contenitive completamente inutili e, ripeto, secondo me molto ingenue.
Buongiorno a tutti,
Scusate se faccio polemica, ma davanti a tante belle proposte ed osservazioni tutte costruttive ed interessanti mi chiedo l’Ordine professionale cosa fa???
i problemi del nostro lavoro sono talmente chiari ed evidenti che non so se serve solo lamentarsi. Il cambiamento dovrebbe essere un po’ più profondo a livello di istituzioni, anche perchè mi pare che molti sono gli psicologi e gli psicoterapeuti che si inventano ogni giorno soluzioni alternative per la professione a volte con molta umiltà e con non poche difficoltà, nonostante la preparazione.
In un mondo dove il mercato è libero e la concorrenza al limite del decoro, sbarrare le nuove lauree servirà?? ci saranno meno psicologi e più counselor???Questo mi fa anche più paura.Studiare e lavorare è un diritto, di tutti, ma secondo regole giuste e meritocrazia.
Forse, a mio avviso, servirebbe pensare a ridefnire nuovi spazi e tutele per la professione e per gli utenti del nostro lavoro, così utile, necessario e delicato, ma ancora poco valorizzato.
Leggendo l’articolo, mi trovo in pieno accordo con Elisabetta. Per risolvere la questione in breve tempo, basterebbe rispettare la legge e non aggirarla. I contratti a termine delle collaboarazioni sono tali perchè il personale deve “girare” e rinnovarsi. Contratti ripetuti con mezzi illeciti come i finti avvisi pubblici o i finti concorsi, sono nocivi per chi vi lavora e per tutti gli iscritti all’Ordine degli Psicologi. Ci sono aree inaccessibili, come gli ospedali o le ASL. Il servizio pubblico ha una doppia funzione – oltre al fatto che dovrebbe essere PUBBLICO e quindi di tutti – può mantenere una qualità nel momento in cui il personale all’interno è realmente qualificato. Concorsi e avvisi pubblici dovrebbero servire a questo. Basta leggere qualsiasi ciclo di delibere nelle Aziende Ospedaliere o nelle ASL per comprendere che così non è. Per ciò che pago all’anno all’OP, il tornaconto è totalmente inesistente. Non c’è tutela nè controllo. Sottolineo, poi, che FARE e SAPER ESSERE sono due cose diverse. Un bravo psicologo E’ “un bravo psicologo” e per questo ci vuole esperienza, formazione e opportunità di essere seguiti e supportati. L’OP è carente anche in questo.
Io sono assolutamente favorevole all’introduzione di un “vero” numero chiuso: penso non sia così difficile programmare in anticipo il numero di colleghi che verosimilmente andranno in pensione e quindi il numero di professionisti che avranno realmente delle possibilità lavorative.
Ma quanti sono gli interessi in gioco? quante sarebbero le piccole università o i microcorsi di laurea che chiuderebbero o vedrebbero drasticamente tagliati i loro bilanci?
Perché l’Università non dice chiaramente che per la formazione in psicologia è necessario un curriculum formativo lungo quanto quello dei colleghi medici (5+1+5 anni) e con possibilità lavorative esigue e frammentate ?
Personalmente penso che queste azioni avanzate dal CNOP mettono in evidenza punti importanti per le future generazioni di Psicologi (che si sarebbero dovuti attenzionare già anni fa prima di formare gli attuali 83.000 Psicologi, saturando il mercato e provocando una guerra tra poveri che svilisce la nostra professione). Tuttavia, tali misure mi sembrano piuttosto ininfluenti su quello che è l’attuale panorama degli Psicologi Italiani. Io credo ci sia la necessità di misure che favoriscono e istituzionalizzano il ruolo degli Psicologi nelle strutture pubbliche e private, la necessità di una maggiore definizione di quelli che sono gli ambiti di intervento dove è necessaria questa formazione, ridurre la confusione che spesso permette l’inserimento di altre figure professionali, promuovere il ruolo e le competenze dello psicologo nella società.
In linea generale condivido a pieno questa proposta,aumentare la preparazione universitaria del giovane Psicologo,eliminando del tutto la formula del 3+2 e facendo un ciclo unico, come lo era il vecchio ordinamento. Poi un esame di stato serio e infine il tirocinio: NOTA DOLENTE le strutture per accogliere tirocinanti devono essere accreditate e monitorate con criteri di professionalità e merito. Ci vuole un organo (probabilmente della stessa università), che vigili sul serio su questo. La struttura che sfrutta il tirocinante per fare solo lavoro di archivio o fotocopie o altre mansioni inqualificabili, perde del tutto l’accreditamento.
Finalmente!!! era ora che il Cnop mettesse in dubbio l’utilità della triennale ,ma soprattutto la modalità per gli esami di stato.Ho partecipato come membro commissione a due sessioni esami di stato e sono rimasta perplessa per il fatto che i laureati in psicologia vengano sottoposti a 4 prove per superare l’esame In nessuna facoltà succede una cosa del genere .Va assolutamente a mio parere rivisto l’ter , e semplificato.E poi i tirocini post laurea :durano un anno ma non sempre danno ai laureati gli strumenti adeguati per esperienza sul campo.Perchè non prevedere come per i medici un tirocinio serio e retribuito?
Sono daccordo sull’istituzione di uno psicologo di base prima che i medici ,onniscenti, secondo le leggi italiane soffino agli psicologi anche questa opportunità.
Ho letto l’articolo e i commenti e mi pare di notare che i problemi sono sostanzialmente due. Uno è “che fanno quei tantssimi laureati abilitati specializzati per i quali non c’è posto di lavoro perchè son troppo e i posti miseramente pochi per quanto una persona si ingegni (e mi metto in questo gruppo)” e il secondo è “come regolarizzare l’accesso alla laurea in psicologia per coloro che vorrebbero realizzare se stessi nell’ambito di questa professione” ?? Ecco, due problemi….due soluzioni…. Credo che il decalogo proposto nell’articolo sia mirato ad un iniziale riflessione per risolvere i casini di questo secondo gruppo di futuri colleghi, ma trascuri ancora del tutto i problemi del primo…dei quali dovrebbe farsi davvero pienamente carico l’ordine nazionale….magari se si iniziasse dal non farci fare 5 anni di tirocinio gratuito sarebbe già un passetto avanti (uno post lauream e 4 per la specializzazione….)
dovrebbero ridurre all’accesso ai corsi di laurea con numeri assimilabili a quelli di professioni sanitarie quali logopedia, psicomotricità, fisioterapia, etc
inoltre c’è il problema dell’immagine percepita e dello stereotipo dello psicologo “come medico dei matti”.
Secondo me c`e` il problema dell`ordine: cosa fa e cosa dovrebbe fare. Non credo che la soluzione sia quella di rendere piu` difficile l`iscrizione fissando a priori un numero. Piuttosto l`ordine dovrebbe occuparsi di cose eome il problema della pensione, quella dovrebbe essere una cosa di cui dovrebbe occuparsi con serieta`, invece di comprare sedi di rappresentanza da onorevoli vari.
Invece il problema dell`universita` e` grosso: non prepara a una professione, insegna dei concetti. Tra le due cose c`e` un abisso. Ed e` uno spreco perche` avere centinaia di studenti impegnati nel territorio a fare psicologia porterebbe poi alla crescita di domanda in una fase successiva. Invece cosi` non e`, vedo studenti ventenni trattati come bambini che poi riusciranno a entrare nell`ordine, perche` sanno i concetti, ma non avranno i mezzi per aumentare le opportunita` proprie e degli altri. E finiranno veramente ai call center…
Io credo che innanzitutto in Italia non ci sia una cultura dello psicologo. La gente quasi sempre si rivolge al medico di base per superare ansie e fobie parossistiche giacchè con un po’ di benzodiazepine credono di risolvere il problema, altrimenti vengono inviate dallo psichiatra per cui a noi restano pochi margini. Per tutti lo psicologo è solo uno che “parla” quando poi sappiamo che gli impieghi di uno psicologo sono infiniti purtroppo non c’è stata alcuna cassa di risonanza perchè gli psicologi non danno le medicine che sono il motore portante affinchè una professione possa emergere. La laurea triennale non mi sembra una cattiva idea ma resta il fatto che già all’interno della nostra categoria si fa discriminazione per questi laureati a partire dall’esame di Stato dove le percentuali di bocciati sono alte e non si capisce il perchè come non si capisce perchè di debbano fare ben tre prove scritte + una orale. Chi è stato quel grande genio a proporre ciò? Sicuramente uno di quei accademisti che la psicologia la conoscono solo per teorie. Il tirocinio serve a poco perchè le normative in materia ti tagliano le gambe, cioè non puoi fare assolutamente nulla tranne le fotocopie per i test. Come vedete il male non sta nel numero di iscritti ma nel sistema stesso, poi come in tutte le altre professioni c’è chi emerge, chi resta nella media e chi affonda.
secondo il mio modesto parere tutte queste manovre non bastano per promuovere e valorizzare la nostra categoria. E perchè no sensibilizzare non solo la gente comune ma anche le istituzioni pubbliche Asl, Aziende Sanitarie ecc. tramite concorsi l’accesso ai quali è quasi impossibile perchè tutti richiedono la specializzazione in psicoterapia. L’ordine potrebbe fare di più, tutelarci di più, i specializzandi medici alla fine del mese ne escono con 1500€ min in tasca, i psicologi spacializzandi oltre a non prendere niente, non vengono riconosciuti come professionisti bensì come lo “studente” in formazione, e quello che che fa impressione è che di psicologi negli ospedali, nei reparti di oncologia ecc. non vedi neanche uno strutturato…tutti tirocinanti. che tristezza dedicare così tanto impegno e investire in denaro per non avere niente.
E’ troppo semplice dapprima creare un albo B, con specifice competenze, per esempio, sui test ed ora pensare alla profesionalizzazione mancante.
Forse possiamo continuare a tenere viva questa parte di albo e definire un po meglio come si possono migliorare le competenze. Vedo ancora troppo spesso, quando partecipo a semianri e corsi, colleghi iscritti all’albo A e, in alcuni casi, anche psicoterapeuti che sono presi nei loro problemi. Non è solamente una spino questione di albi professionali e competenze, ma quello che fa la differenza è la persona ed il lavoro che essa fa su di sè. D’accordo sul migliorare: il tirocinio, l’educazione continua.
..che siamo in troppi ce lo ripetono da anni..e diciamo che ce ne eravamo accorti già da prima, che la sez. B porti confusione in un mondo già disorientante per counselor ed altre figure ambigue è evidente..ma la domanda non è toglierla ora..è che l’hanno creata a fare prima..un tentativo di sfoltire il numero degli psicologi disoccupati creando junior disoccupati ugualmente..bho mai capito..
ma nessuno si chiede che forse va riformato il corso di laurea,,che forse è ora di insegnare agli studenti con quale mercato andranno a confrontarsi
Ottima la riduzione dell’esame di stato a due sole prove, che mi sembra l’unica cosa concreta che viene espressa in questo documento…per il resto, certo, ottime soluzioni, è chiaro, ma mi chiedo: perchè, non poteva essere previsto che l’aumento vertiginoso dei corsi di laurea, l’istituzione della laurea breve e dell’albo B avrebbero creato il disagio che oggi ci affligge? E poi, anch’io sarei molto curiosa di sapere in che modo cotante belle parole saranno messe in pratica. In realtà, come al solito, si adotta sempre la politica del “sottrarre” per risolvere i problemi, quando invece occorrerebbe qualificare la categoria con interventi di salvaguardia e promozione professionale.
Ohibò… i “baroni” dell’OdP, ormai arrivati, vorrebbero chiudere il recinto perchè hanno paura che l’osso diventi sempre meno rosicchiabile (per loro) !
3 semplici proposte, fattibili da domani:
1) lo psicologo e/o psicoterapeuta con proprio studio non deve svolgere altre attività, men che meno come docente universitario o collaboratore part-time di strutture pubbliche (a pena di radiazione);
2) lo psicologo dipendente da ente pubblico non deve esercitare anche “in privato” (a pena della radiazione);
3)abolizione delle scuole di psicoterapia private; accesso alle stesse esclusivamente ai laureati in psicologia; riduzione della durata (da 4 a 2 anni).
Il resto è solo aria fritta per guadagnare tempo: il numero chiuso va applicato a TUTTE le Facoltà (a cominciare da quelle di Giurisprudenza, che sfornano azzeccagarbugli senza alcuna specializzazione) e tutti i professionisti debbono andare in pensione a 65 anni (basterebbe semplicemente cancellarli dall’Albo).
E, soprattutto, gli organi dirigenti degli Ordini comincino a esercitare davvero i compiti statutari !
Si all’accesso limitato ma con quale test di ammissione? E’ stato più volte affrontato il problema delle modalità di selezione ( stessa cosa vale per l’esame di stato) le quali non tengono affatto conto delle predisposizioni personali ne tanto meno delle competenze di gestione di un colloquio clinico . La famosa domanda ” cos’e la grattachecca” nel test di ammissione di medicina ha fatto storia. Inoltre teniamo presente che l’obbligo di assumere uno psicologo e’ bassissimo …. Asl e comunità ne sono sprovvisti …. In alcuni casi non sono previsti neanche per accedere ai finanziamenti….io non sono d’accordo perché dobbiamo lavorare prima per aumentare l’assorbimento nel mercato del lavoro (aumento della domanda) e solo dopo possiamo selezionare gli accessi. In ogni caso il limite di accesso già c’è in tutta Italia ( 250 alla triennale e 100 magistrale) …. NON CONCORDO mi dispiace 🙂
http://www.youtube.com/watch?v=N7dFIR8qReY
Sono pienamente d’accordo con Fabrizia, Elisabetta e Vincenzo. L’Italia è ancora un paese molto arretrato sulla cultura dei servizi alla persona e alla famiglia. Una modesta proposta: eliminare i notai, che non servono a niente, e, grazie agli enormi risparmi conseguenti a questo provvedimento, istituire un servizio nazionale di assistenza psicologica di base. Va da sé che un livello molto alto di professionalità dovrebbe corredare un servizio cosi importante.
Condivido la osservazione che i corsi di laurea sono in grado si e no di ofrire una preparazione concettuale, non professionalizzante. Figuriamoci se poi i docenti possono orientare la fase di start up dei giovani professionisti in ambiti applicativi nuovi.
Gli stessi ordini regionali e nazionali paiono poco impegnati nello sviluppo della professione, e questo è gravissimo, ma forse è anche lo specchio della categoria. Concordo con Marcello quando definisce in qc modo obsoleta o satura l’area professionale della psicoterapia. ce lo insegnava un docente di psicologia clinica già venti anni fa!!! Forse i professionisti già “diversamente giovani” dovrebbero “misurarsi” in sfide professionali nuove, più sulle capacità di produrre nuovi spazi operativi che sulla capacità di insegnare competenze poi difficilmente spendibili (qualcuno ricorda la storiella ebraica raccontata da Mony Ovadia sul “salmone commerciale”?).
Unica consolazione è la discreta capacità che anche molti giovani colleghi dimostrano, di approfondire e trattare in modo professionale i problemi (lontani dalla approssimazione collusiva con cui altri professionisti possono trattare problemi quali le separazioni, o le dinamiche sociali più varie). Costruire nuovi spazi professionali o, meglio, nuvi prodotti.
Forse proprio in questo manca l’azione di tutela e promozione degli ordini!!! Considero un loro grave insuccesso la richiesta di limitare il numero dei professionisti e, soprattutto, l’elevato numero di iscritti che hanno poi deciso di non esercitare la profesione.
Salve a tutti.
Non credo che la riduzione degli ingressi all’Università o una ulteriore complicazione dell’esame di Stato, possa davvero risolvere il problema. Soprattutto se l’obiettivo è quello che permettere ai colleghi che si laureano di trovare realmente lavoro. Non mi sembra che da quando hanno messo il numero chiuso a medicina (nonostante tutti i vantaggi che hanno i medici) tutti i laureati trovino lavoro. Nè mi sembra che l’esame unico che ora funziona per gli avvocati o per i notai dia migliori risultati.
Sarò contro corrente forse ma, io ritengo che si debba aprire ulteriormente il mercato, fino all’estremo. Liberalizzando completamente la professione, togliendo addirittura l’esame di Stato e persino (ebbene sì) l’Albo professionale e LASCIANDO FINALMENTE CHE SIA IL MERCATO A FARE LA DIFFERENZA!!
Cinico? Qualunquista? Superficiale? Io non credo. Penso piuttosto che dalla Laurea in poi, quel poco che sono diventato me lo sono costruito da solo, scegliendo la mia formazione, pagandomela, accreditandomi presso una clientela e… SENZA MAI L’AIUTO DI NESSUNO degli “enti” che definiscono la nostra professione.
Grazie dell’attenzione
ritengo assolutamente indispensabili “azioni non solo ‘contenitive’, ma anche ‘proattive e progettuali’”?
non vedo come si possa altrimenti uscire dalla situazione attuale.
la figura dello psicologo di base mi sembra un’opportunità non da poco, se si riuscisse ad attuare, il discorso qui è: l’Ordine desidera imporsi a tale scopo?
lo psicologo nelle scuole sarebbe un’altra declinazione della nostra professione che andrebbe sostenuta e avviata.
il numero degli attuali psicologi in Italia non mi spaventa, di lavoro da fare ce n’è eccome! va creato il terreno, però.
e se qualcuno sostiene che gli Ordini non fanno niente, beh.. va semplicemente fatta sentire loro la nostra voce
in fondo siamo noi l’Ordine e siamo noi stessi a doverci tutelare di conseguenza,
avviando iniziative presso gli Ordini ad esempio gruppi di lavoro per creare nuove occasioni lavorative, partnership e lavoro di rete con altre istituzioni
svegliamoci!
Anche io credo che lo psicologo dovrebbe essere una figura comune ed accessibile, presente in moltissimi contesti. Mi piacerebbe pure favorire un servizio gratuito per il cittadino che veda lo psicologo retribuito dal sistema sanitario (come accade per il medico generico o i pochi consultori). Credo l’iter odierno sia veramente sfiancante (troppi e troppo lunghi tirocini non retribuiti e spesso poco formativi; troppo impegnativo l’esame di stato, fosse anche solo con 2 prove: io lo accorperei alla laurea, che non può non avere di per sè un valore effettivo e spendibile: questo fatto è intollerabile!!); inoltre, vista la situazione odierna, devo ammettere che il numero chiuso sia necessario per i laureati e corretto verso i nuovi studenti. Sicuramente l’Ordine dovrebbe esercitare un potere tutelativo e propositivo più mirato, contestualizzato e forte. Un saluto a tutti i cari colleghi, occupati e non.
Certo è che se la finissero di far superare gli esami universitari mettendo delle crocette su foglietti dal dubbio contenuto, e si tornasse all’esame con modalità quantomeno “classiche” con minimo un orale e anche qualche scritto, il numero dei laureati scenderebbe a picco…
Tenuto conto della preparazione in accesso in base alla quale sono di livello scadente sia la capacità di lettura che di scrittura. E’ che oggi anche gli ignoranti possono accedere ad un corso universitario.
F.to Laureato Giurassico
Oltre al numero chiuso, che mi sembra una buona idea, sto pensando al LAVORO che dovrebbero operare gli ORDINI degli Psicologi, con riferimento sopratutto a quello Nazionale, di tutela della nostra professione di Aree di nostra competenza. Proprio oggi ho assistito ad un congresso tenuto dalle massime autorità della Regione e delle USL della RER sullo STRESS LAVORO CORRELATO, dove le rappresentanze aziendali richiedevano una maggior presenza dello Psicologo del Lavoro. Bene, poichè l’indagine era stata svolta dai responsabili delle rispettive Medicine del Lavoro e dell’INAIL (altro ambiente fortemente medicalizzato) indovinate a chi hanno maggiormente “pensato” per potenziare la rete??? Ma se non erano i nostri “Padri” fondatori che per primi hanno portato l’attenzione sullo STRESS da Lavoro con le rispettive indagini,.. i medici ci avrebbero liquidato con chissà quale pillolina… CARI ORDINI, visto che non siete neppure a buon mercato, VOLETE TIRARE FUORI I DENTI PER I VOSTRI FIGLI??? I soliti POTERI ci stanno rubando un’altra FETTA DI MERCATO e utilizzeranno in modo maldestro i NOSTRI QUESTIONARI!! Un abbraccio!!!
Caro Nicola, io penso che oggi la vera figura professionale dello psicologo non può prescindere da una forte e marcata preparazione iniziale e continua. Ho assistito a sessioni di laurea dove i 110 e lode venivano lanciati come le t-shirt in discoteca… uno spaccio di illusioni a vantaggio di pochi…sono necessarie università sicuramente strutturate e supervisionate e con maggiore capacità di orientamento professionale,tu sai bene quanti, smaltiti i postumi della Laurea, sono più confusi che persuasi sul da farsi. Se non lo fa l’università allora tocca a chi è in grado di offrire orientamento professionale… ma questo poi è un lavoro come ben sai. Sono pienamente d’accordo che ci siano criteri più rigidi per l’accesso alla professione.
un caro saluto
OB
ok….in pratica facciamo il punto zero della situazione!!! E per tutti quelli che hanno già fatto il percorso del vecchio ordinamento?…..e per tutti quelli che sono stati imbrogliati con le lauree triennali?….e per tutti quelli che “devi spendere altri soldi per la specializzazione altrimenti sei fuori”??? Cerchiamo invece di ridurre gli indirizzi di specializzazione magari abbassando i costi delle scuole che siano anche più accessibili tramite borse di studio…Se ne accorgono ora… era possibile già prima modificare le regole per l’accesso alla facoltà di psicologia…troppo tardi rivalutare il percorso di tirocinio (per tutti quelli che lavoravano gratis e magari non imparavano niente!!!).Comunque…
Il problema non è naturalmente il numero chiuso,nè sperare che vi siano decisioni drastiche da parte degli Ordini,dei baroni e dei vecchi psicologi,per lo più medici:il problema è sviluppare lavoro per gli psicologi o per meglio dire per gli psicoterapeuti.La soluzione sarebbe avere uno psicologo di base che possa essere a disposizione della comunità, ma non ci sono fondi nè ci saranno mai,almeno per i prossimi dieci anni.
Io rimango dell’idea che a fronte del fatto che ci riempiamo la bocca con le diciture che fanno ridere,tipo psicologo”clinico” o psico”terapeuta”,poi di curativo non ci viene riconosciuto nulla.E allora ritorniamo alla vecchia ipotesi secondo cui lo psicologo dopo i primi tre anni possa fare 2 anni di specialistica con materie di medicina tipo farmacologia e/o psicofarmacologia ed alre attinenti, e quindi possa poi prescrivere psicofarmaci,come gli odontoiatri per il loro specifico.E questo potrebbe andare bene anche per i già laureati che con altri 2 anni di studi,potrebbero mettersi in regola.
Cari colleghi,questa è l’unica strada,a costo quasi zero per lo Stato,per aprirci mille e mille altre possibilità.Portiamola avanti con la forza dei nostri 14.000 colleghi.
Personalmente reputo giusto riordinare le cose e fare un pò di pulizia, ma se questo riordinamento è giusto e imparziale . .
Vi dico la mia esperienza: mi sono laureata in psicologia a roma e a breve prenderò la magistrale a Milano. Parlando con alcuni docenti del corso ho scoperto che la facoltà da circa un’anno non è più considerata valida ai fini dell’iscrizione all’albo A perchè le scienze cognitive “pure” quindi non parlo di neuropsicologia o riabilitazione) in Italia non sono ritenute “psicologia” . .
in più ho letto che vogliono togliere anche l’albo B . . per cui mi chiedo: che fine farò? o meglio cosa sarò??
A mio avviso si creano corsi di laurea troppo facilmente, così come troppo facilmente vengono eliminati e a pagarne le conseguenze siamo sempre noi. si sapeva sin dall’inizio che il 3+2 in italia non avrebbe funzionato perchè non sono state creati i posti di lavoro adatti. E’ inutile cercare di modernizzarsi quando non ne siamo capaci!!!
forse gli adolescenti che si iscrivono ,vogliono risolvere i loro problemi psichici con i libri? forse forse se si crede a questo ci sarà la rivoluzione?forse un mestiere come questo necessita di verità e non di menzogna?forse i vecchi hanno qualcosa da dire? certo le illusioni non sono sogni e i sogni sono progetti che vanno oltre i bisogni sani e i desideri.AUGURIAMO a tutti scelte reali ben distinte ,altrimenti se si promette e poi non si mantiene hanno ragione questi figli del nostro millennio
concordo pienamente.
secondo me però bisognerebbe tutelare di più la nostra professione da parte dell’ordine ,spiegando dettagliatamente a che cosa vanno incontro tutti quelli che si iscrivono in psicologia. credo che se ai giovani displomandi venisse spiegato che cosa veramente fa un psicologo concretamente ci sarebbero meno inscritti.
Il mercato non potrà assorbire tutti gli psicologi che escono dall’università, la gente non ha soldi per curarsi, assistiamo a proposte di tariffe umilianti da un lato e indecenti dall’altro:problemi reali, situazioni concretamente difficili che tanti di noi cercano di affrontare da soli con più specializzazione, agevolazioni per il cliente, ecc. ma non basta, da soli forse è una mission impossible? Io credo anche che sarebbe più utile una maggiore “protezione” non in casa propria ma rispetto a spazi esterni come dalle scuole di counseling, per dire quello che fa più rumore ultimamente; noi psicologi da tempo non riusciamo più ad avere propri spazi di lavoro, quello che facciamo noi (con costi di formazione e supervisione praticamente continui!!!)lo “possono” fare altre professioni a volte molto meno qualificate o qualificate diversamente come il medico di medicina generale che decide di mettersi a fare lo psicoterapeuta (che come tutti sappiamo continua a fare ciò che già fa come dare farmaci ai clienti, che comunque ha, con la differenza che si fa pagare le “visite/sedute” e non invia più nessuno allo psicologo/psicoterapeuta!). Se l’ordine degli psicologi pesasse diversamente e tutelasse davvero la nostra professione con la chiarezza e il rigore che la nostra professione deve avere per la stessa tutela dei ns. clienti, con proposte serie che vanno incontro all’utenza che non si rivolge più a noi non perchè non ha difficoltà ma perchè sempre più spesso non se lo può permettere,forse avrebbe un senso pagare l’ordine e servirebbero meno comandamenti!
Bene, ma non è sufficiente, può essere un primissimo passo, ma è su altro che bisogna battere chiodo: concordo con quanto scritto prima di me sull’appiattimento dello psicologo sulla professione di terapeuta (perchè è una formazione che è appannaggio del privato?)e questo appiattimento è dovuto al fatto che non abbiamo una solida identità professionale, non facciamo una politica che tuteli i nostri interessi; sono cose che molti di noi sanno e sono idee che si stanno diffondendo, ma forse dirlo una volta in più non guasta. Non riusciamo a far capire (e forse a volte non ci crediamo neanche noi, almeno parlo per me perchè a volte c’è un pò di sconforto)che a maggior ragione in questo periodo di crisi lo psicologo, non solo lo psicoterapeuta, può essere una risorsa
…
Riporto un commento apparso sul fatto quotidiano che coglie dei punti interessanti. Si riferisce a tutte le professioni, ma anche a quella dello psicologo, in pratica. In pratica dice: severità all’ingresso, ma apertura dopo.
Laurea? Più accesso alle professioni La consultazione del governo sul valore legale del titolo di studio chiede come favorire la competizione al rialzo tra le università sul modello anglosassone e così superare la cultura del “pezzo di carta”. C’è però il rischio di incagliarsi su meccanismi tecnici pericolosi, come il ripesamento dei titoli e voti di laurea. La priorità invece è aprire ai giovani l’accesso a concorsi e professioni, valorizzando la varietà dei percorsi individuali di studio.
di Umberto Marengo
Il governo ha aperto una consultazione online sul valore legale del titolo di studio con l’obiettivo di andare oltre la cultura del “pezzo di carta” valorizzando le diversità e le eccellenze nei percorsi di studi individuali. Il dibattito sul “valore legale della laurea” solleva due ordini di problemi: primo, la standardizzazione delle classi di laurea (e del reclutamento dei docenti); secondo, la laurea come titolo di accesso a professioni e concorsi. Mentre per il primo punto non sembrano esserci margini di manovra, il governo vorrebbe differenziare il valore di titoli“nominalmente equivalenti” (ma qualitativamente diversi), ispirandosi al cosiddetto modello anglosassone. È possibile?
Accesso a professioni e pubblico impiego nel regno unito
Nel Regno Unito e nei paesi anglosassoni la laurea non ha valore legale: il riconoscimento e la garanzia del percorso di studi non sono svolte da un ministero, ma da agenzie indipendenti, spesso finanziate da università e dallo stato, senza però entrare nel dettaglio di come i singoli corsi di laurea debbano essere organizzati. In Inghilterra è la Qaa, Quality Assurance Agency for Higher Education, a fissare una serie di criteri minimi per l’emissione di titoli di studio. Negli Stati Uniti le agenzie di accreditamento sono molteplici e a loro volta accreditate dal governo federale o dal Council for Higher Education Accreditation. Nei casi di lauree professionalizzanti (medicina, legge, ingegneria) i percorsi di studio sono concordati anche con le associazioni dei professionisti (i Bar o l’American Medical Association, la Law Society inglese, eccetera). Nel Regno Unito per l’accesso ad alcune professioni è richiesto un titolo triennale (sei anni per medicina) conseguito presso un’università accreditata o un corso annuale di conversione (per esempio, legge). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non è richiesto alcun titolo specifico (per esempio, i giornalisti) e gran parte dell’educazione alla professione (per esempio, avvocatura o contabilità) avviene all’interno della professione stessa attraverso contratti di apprendistato di due o tre anni. Si tratta di apprendistati pagati e generalmente con la prospettiva di continuare il rapporto anche dopo aver ottenuto la qualifica. In breve, i profili d’ingresso per i giovani nelle professioni più remunerate sono molto ampi, ma visti i costi di formazione le aziende sponsorizzano un numero limitato di praticanti.
Anche per i concorsi pubblici inglesi (civil service) l’unico requisito è un qualsiasi titolo triennale e candidati con background non tipico (scienziati o umanisti) sono incoraggiati a partecipare. Sebbene esistano concorsi specifici per economisti o giuristi, la gran parte della dirigenza pubblica (il fast-stream) viene reclutata attraverso concorsi generalisti e attitudinali, in cui l’unico criterio d’accesso è aver ottenuto una first class (1) o upper second (2.1) come voto di laurea, fascia che comprende circa il 40 per cento dei laureati. Proprio perché i criteri d’accesso sono molto ampi, diventa importante l’università di provenienza ma, soprattutto, la preparazione attitudinale che l’università ha fornito e il percorso di studi individuale dei candidati.
La consultazione del governo
Nella consultazione il nostro governo discute se siano richiesti titoli non necessari o troppo specifici per l’accesso ad alcune professioni e come sia possibile ripesare titoli e voti di laurea assegnati in contesti diversi e quindi non paragonabili. Più in generale, ci si chiede se il titolo di studio sia un’effettiva garanzia di qualità e se non sia possibile trovare un sistema che incentivi le università a diversificare l’offerta formativa e creare un mercato competitivo. Un terzo del questionario proposto dal governo si concentra proprio sulla differenziazione qualitativa di titoli di studio nominalmente equivalenti. La proposta già circolata prima della consultazione sarebbe ri-pesare il voto finale di laurea sulla base di una ranking della qualità didattica dell’ateneo o dipartimento. Si tratta, vale la pena di sottolinearlo, di un sistema che non avrebbe precedenti né in Europa né nel mondo anglosassone, con il risultato perverso di valorizzare ancora meno i percorsi individuali rispetto al “titolo” di provenienza. In nessun paese esiste un sistema per cui l’accesso ai concorsi pubblici viene valutato applicando un coefficiente maggiore ai diplomati di Harvard o Oxbridge, il cui valore reale sta tanto nel titolo quanto nella educazione (non solo accademica) fornita dall’università. Per di più, questa proposta si limita ai concorsi pubblici e sarebbe di minimo impatto sul modello sociale. (1)
La priorità è l’accesso alle professioni
Il sistema anglosassone si fonda su flessibilità dei percorsi di studio e accesso alle professioni. La priorità in Italia dovrebbe essere dare meno spazio possibile agli ordini professionali per limitare i candidati che possono accedere all’esame di Stato. Per esempio, l’obbligo di possedere un titolo in una classe di laurea specifica per sostenere alcuni esami di Stato potrebbe essere sostituita dall’obbligo di aver acquisito un numero minimo di crediti in discipline essenziali. Una proposta simile era circolata a gennaio per l’ordine degli avvocati e dei commercialisti ed è stata bloccata dalla lobby di chi oggi esercita quelle professioni. Se le facoltà di giurisprudenza italiane strabordano di studenti non è perché stanno formando specialisti per i più diversi impieghi, ma per la semplice ragione che una laurea di classe LMG/01 apre le porte a una numero smisurato di professioni e concorsi.
In Italia l’accesso ai concorsi pubblici è limitano a specifiche lauree mentre nei paesi anglosassoni la diversità di background, percorsi individuali e studi porta un contributo essenziale al servizio pubblico. Per quale ragione non dovrebbe essere permesso ai laureati in filosofia o matematica di partecipare al concorso diplomatico o della presidenza del Consiglio? È infine vero che l’attuale sistema di punteggi favorisce gli studenti che provengono da facoltà o atenei dove i voti sono troppo concentrati tra i 110. Se si vuole seguire il modello anglosassone, piuttosto che ripesare i voti si stabilisca un punteggio minimo per l’accesso e si lasci che sia poi il concorso a scegliere i migliori. Il paradosso italiano è che tutti possono accedere a una laurea, ma l’accesso alle professioni è una corsa a ostacoli. Il modello anglosassone è l’opposto: più competitività all’ingresso, e massima apertura alle professioni all’uscita.
Sono una psicoterapeuta che lavora come libero professionista da venti anni e insegno in una notascuola di formazione per futuri psicoterapeuti. Non e’ piu’ tollerabile vedere ragazzi che pagano circa cinque mila euro all’anno per la formazione(senza contare viaggi, libri e altro) nell’illusione, una volta diplomati,di poter lavorare come liberi professionisti o di vincere i sempre piu’ rari concorsi che ci sono.Non concordo assolutamente sul fatto che il mercato fara’ la differenza e premiera’ chi vale. Poteva essere cosi’ in passato, ora il campo e’ veramente saturo. Perche’ il nostro ordine non si impegna a restringere drasticamente l’accesso alle facolta’ di psicologia con un esame di accesso programmato nazionale come per medicina? Questo riqualificherebbe anche la nostra facolta’ che da tanti viene vista come “troppo facile” o “ripiego” per chi non e’ riuscito ad entrare in altre facolta’. Ci sono in gioco troppi interessi da parte delle scuole private di formazione post laurea che restringendo i numeri vedrebbero diminuire drasticamente il numero degli iscritti( e forse qualcuna dovrebbe chiudere)?